source code (2011)

L'infinita ripetizione di un frammento di vita per individuare il responsabile di un attentato, per cambiare il corso degli eventi e riallineare in positivo le dinamiche degli ingranaggi spaziotemporali della realtà ha allo stesso tempo la valenza di un percorso per cercare delle risposte su se stessi e sulla funzione determinante del proprio ruolo: la missione sperimentale che coinvolge suo malgrado il capitano Colter Stevens ruota attorno all'alienante esperienza di una duplicazione/riproposizione del sé nella realtà parallela di un altro individuo, ma una realtà fittizia, perché risultante unicamente dell'elaborazione di un parametro manipolato di un fatto già accaduto, a sua volta comunque oggetto di un possibile riaggiustamento. Il paradosso ‘quantistico' innesta una serie progressiva di disvelamenti ma anche di morti rivissute e subite con un'angoscia ogni volta più sconvolgente a cui fa da contraltare il ‘risveglio' sistematico nella dimensione claustrofobica di una capsula, ogni volta con un brandello di consapevolezza in più. Il "non-luogo" della mente ha la consistenza della vita vera, mentre in realtà la vita vera è un corpo smembrato e una memoria dai contorni sfumati.
Un buon film che ripete in parte l'ottima qualità dell'opera prima di Duncan Jones, Moon, ma con il ritmo teso di un'azione più dinamica e proprio per questo con un grado diverso di introspezione e un indice di spettacolarizzazione forse più accessibile al grande pubblico. Moon resta comunque superiore, perché se pure entrambi pongono l'accento sulle derive disumanizzanti della ricerca scientifico-militare, non si presta però come avviene in Source Code alla tentazione di un finale forse eccessivamente edulcorato che tra l'altro scardina parzialmente il meccanismo narrativo che lo ha preceduto.