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La crisi della ragione

"Il più bel film del XVIII secolo": Barry Lyndon

Dopo la trilogia dei film dedicati al futuro -più o meno lontano- per il suo prossimo film Kubrick avrebbe guardato al passato. Nel farlo scelse di adattare Barry Lyndon, romanzo di Thackeray, scrittore del 1800. Era la storia di un giovane -Redmond Barry- che tra duelli, storie d'amore e gioco d'azzardo riusciva ad entrare nell'alta società per poi perdere tutto. E si capisce perché il romanzo attraesse Kubrick; le sue tematiche ricorrenti, ovvero l'incapacità dell'uomo di determinare e controllare il proprio destino, il ruolo del caso e dell'imprevisto, sono in Barry Lyndon costantemente presenti e sintomatiche. Kubrick decise che il film sarebbe stato una favola per gli occhi; scelse di concepirlo come se se si trattasse di un documentario sul XVIII secolo e la ricerca e la cura riposte nei particolari sarebbe stata senza precedenti. Il lavoro mastodontico iniziò con la scelta delle location. Ken Adam fu scelto come scenografo; dopo aver lavorato nel dottor stranamore e aver rifiutato di collaborare in 2001, Adam tornava ad occuparsi di scenografie in un film di Kubrick. Ci fu subito un contrasto tra i due: Adam, come la maggior parte degli scenografi, espresse gradimento nel fatto di lavorare con scenografie appositamente ricostruite in studio. Avrebbe così avuto, oltre ad un maggiore controllo, l'occasione di creare quella che era la sua idea del 1700. Ma Kubrick si dimostrò inamovibile e pretese di girare in ambienti reali. Per il suo Barry Lyndon non voleva un'immagine stilizzata dell'epoca ma il '700 vero e proprio, che si trovava certamente presente in qualche palazzo inglese. Il regista mandò quindi delle unità in giro per la nazione con il solo scopo di "catalogare" i palazzi dell'epoca, trovandone parecchi in Irlanda. Era un luogo ragionevolmente distante per Kubrick, noto per essere restio ad allontanarsi da casa. Alcune unità furono mandate in Germania per filmare castelli e strutture. Risolto il problema delle location, toccava alla fotografia del film, ancora ad opera di John Alcott. Kubrick era certo del fatto di voler ricostruire fedelmente non solo i luoghi dell'epoca, ma anche l'illuminazione; per far ciò si sarebbe usata in prevalenza l'illuminazione naturale ispirata ai quadri del '700 e la famosa illuminazione a "luce di candela". Va detto che intorno alla metà degli anni '70 le pellicole non erano sensibile alla luce come quelle di oggi: arrivavano al massimo a 100 Asa, il che vuol dire che la capacità di assorbimento della luce era abbastanza ridotta. In condizioni di penombra e illuminazione a lume di candela, la pellicola non avrebbe impresso nulla. Per far ciò ci voleva un obiettivo fuori dal comune; Kubrick si rivolse alla NASA da cui ottenne l'obiettivo Zeiss. Era un obiettivo da 50 mm utilizzato dai satelliti per fotografare le stelle, ed era quindi più sensibile di qualunque altro obiettivo. Il fido Di Giulio dovette adattarlo alle normali macchine da presa, ed ecco che Kubrick fu quindi in grado di lavorare in condizioni di luce anche scarse. L'unico "difetto", se tale si può considerare, dello Zeiss era quello di annullare totalmente la profondità di campo. Si può vedere chiaramente nelle scene illuminate da centinaia di candele; la figura a fuoco è sempre quella in primo piano. Ma, nonostante l'obiettivo, Alcott dovette virare la pellicola continuamente, in fase di stampa. Ottenere quelle scene (poche, in verità) non fu facile. Alla fioca illuminazione delle candele, faceva da contraltare l'immensità e la maestosità degli spazi aperti. La profondità di campo era quasi sempre al massimo, in modo da non tralasciare nulla degli stupendi e favolistici paesaggi. Ogni inquadratura è una fotografia a sé, spesso introdotta dall'uso dello zoom all'indietro che lentamente svela i più piccoli particolari, come se si stesse osservando un quadro partendo da un punto e gradualmente allargando il campo di vista. In effetti, la fonte principale per la composizione dell'inquadratura fu proprio lo studio dei quadri dell'epoca. Così come i costumi, che non furono semplicemente ispirati al '700, Kubrick si procurò degli abiti d'epoca per far studiare dai suoi costumisti come fossero stati confezionati, con che tecniche fossero stati cuciti. La preparazione di Barry Lyndon fu immane e durò un anno. Per la parte di Barry, Kubrick scelse Ryan O'Neal, attore secondo negli incassi solo a Clint Eastwood; la parte di Lady Lyndon fu affidata a Marisa Berenson, attrice con la quale Kubrick tenne uno strano atteggiamento, dal momento che preferì comunicare con lei tramite lettere, piuttosto che a voce. Leon Vitali recitò nella parte di Lord Bullingdon, trovando successivamente collocazione come assistente alla regia nei prossimi film di Kubrick. Lo si può infatti vedere nel documentario making the shining di Vivian Kubrick, ed è anche l'uomo vestito di rosso che batte il bastone in terra in Eyes wide shut. Durante la lavorazione Kubrick aggiornò il suo record personale di scene rigirate. Scrive Baxter: «Barry Lyndon avrebbe fatto conoscere Kubrick come il regista che richiede venti, trenta, cinquanta ciak di una stessa scena. Il metodo per le prove che aveva perfezionato in Arancia meccanica, passando fino a dieci giorni a improvvisare con gli attori prima di girare la scena, si trasformò in Barry Lyndon in una sorta di prova filmata. Charlie Chaplin era stato il primo ad impiegare questa tecnica, filmando ripetutamente una scena, non perché i primi ciak gli potessero essere utili nel film montato, ma perché la tensione di lavorare con la piena illuminazione e la pellicola che scorre nella cinepresa stimolava sia lui che gli attori. "E'vero che porta la gente all'esasperazione e alla paranoia?" chiese Pat McGilligan a Ryan O'Neal. "All'esasperazione sì". "Era vero che di alcune scene girava venticinque ciak?" "di tutte", sibilò O'Neal.». Un tecnico disse: «se pensa che tu abbia ragione, lo ammette. Ma se pensa che ti sbagli, è capace di spendere un milione di dollari per provarlo».

Le riprese subirono uno stop quando Kubrick parve ricevere un avvertimento dall'IRA; da sempre paranoico e sospettoso, dopo due giorni fece armi e bagagli e trasferì la lavorazione in Inghilterra, ma non si è certi di quello che sia veramente accaduto. Un secondo stop avvenne durante il periodo natalizio. Gli assistenti, macchinisti e attori pensarono, illudendosi, di potersi godere una vacanza natalizia, ma Kubrick parve non condividere quest'assurda pretesa; suggerì anzi ai suoi tecnici di dormire con l'attrezzatura sempre pronta e indossata. Con uno stratagemma, gli si fece credere che i proprietari delle ville in cui il film si stava girando volevano per quel periodo le loro abitazioni indietro; e fu vacanza. Adrienne Corri un giorno trovò un assistente che prendeva a calci un elemento di scena ripetendo ossessivamente «Pensa all'ipoteca, pensa all'ipoteca». Sempre la Corri, vide un giorno lo scenografo Adam con lo sguardo perso nel vuoto, che cercava di accendere con un fiammifero un pezzo di cioccolata, convinto fosse una sigaro. Ken Adam lasciò la produzione in seguito a forte esaurimento nervoso e non lavorò mai più con Kubrick.

Dopo tre anni e undici milioni di dollari, Barry Lyndon uscì a New York il 18 dicembre del '75. Si era alle solite; la critica fu divisa come non mai, tra chi trovava il film un'esperienza visiva affascinante e mozzafiato e chi lo trovava una semplice galleria di fotografie, e per di più tediosissima. Sta di fatto che il film fu un flop commerciale che depresse Kubrick in modo particolare; pochi sembravano essersi resi conto dello sforzo immane compiuto per quei risultati. Il regista veniva accusato di essersi lasciato alle spalle le questioni etiche dei suoi precedenti film per essersi dedicato ad una semplice storia. Eppure Barry Lyndon è la summa principale del classico uomo kubrickiano; Barry, fra tutti i personaggi delle storie di Kubrick, è quello che fa del rito di passaggio il proprio fine, e lo manifesta chiaramente. La sua vita è volta alla ricerca della soddisfazione sociale, attraverso una sua integrazione in essa. Il giovane Barry, all'inizio del film, è senz'altro più umano e simpatico di quello che sarà poi; la passione per sua cugina si estinguerà in breve soffocando in Barry l'amore di tutte le altre donne. E Lady Lyndon non è l'amore di una vita, ma semplicemente un cognome che nobilita la sua persona. Lady Lyndon è importante per Barry in quanto pura firma; ed è sottoforma di firma -negli assegni di mantenimento- che rimarrà accanto a Barry in seguito al suo allontanamento da parte di Lord Bullingdon. Ma c'è un aspetto fondamentale che colpisce e che per la prima volta viene messo al centro dell'attenzione; il ruolo della famiglia, vista qui come un'organizzazione statale in piccolo e quindi destinata a fallire. Tutte le famiglie messe in scena da Kubrick falliscono in qualcosa; bisognerà aspettare Eyes wide shut per una minima riconciliazione. Inizialmente si assiste ad una sequenza in cui il padre di Barry viene ucciso, in campo lungo, in un duello. Tutta la prima parte del film è incentrata sulla ricerca di un padre da parte di Barry; questi lo trova dapprima in Grogan, poi nel cavaliere Balibari. La voce fuori campo funge da narratore onnisciente; il racconto non è narrato in prima persona come il romanzo e ciò ha la funzione di non farci simpatizzare troppo per il protagonista, come ad esempio succedeva con l'Alex di Arancia meccanica. Quello che per Alex era un comportamento naturale, per Barry è frutto di un calcolo, quindi innaturale. Barry è una persona falsa che nel suo atteggiarsi da "arricchito" trascina sua moglie sul lastrico finchè Bullingdon non trova il modo di allontanarlo di casa; suo figlio viene tramortito da un cavallo negandogli di fatto un successore. Barry, semplicemente, fallisce in tutto. A niente vale lo sguardo compassionevole e il suo decidere di sparare a terra nel duello con il figliastro Bullingdon; il destino punisce Barry ogni volta che questi faccia prevalere il sentimento sulla ragione. E' per calcolo ed interesse che a Barry vengono attribuiti i maggiori successi -la fuga da entrambi gli eserciti-, ed è per passione che viene punito -non ottiene la cugina, il figlio muore-. Non è un caso che la vicenda sia ambientata nel '700, il secolo dei lumi, del trionfo della ragione; il '700 è un'ossessione ricorrente nei suoi film: la camera di 2001, la musica e gli abiti di Arancia meccanica. Kubrick, teorico della sua crisi, ne cerca le cause nell' origine del suo mito.


Torna suSpeciale a cura di cash - aggiornato al 26/10/2004