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Tra guerra, noir e ninfe

Tirannia nel cinema: pro (Kubrick) e contro (Spartaco)

SpartacusIn soccorso di Stanley torna Kirk Douglas, che aveva appena iniziato a girare il suo kolossal, Spartacus, una mega-produzione hollywoodiana finanziata dalla Universal, la cui regia era affidata al celebre Anthony Mann. A soli trent'anni, Kubrick, si trova a dirigere un film per cui sono stati stanziati 12 milioni di dollari e a dover dirigere scene di guerra con più di diecimila comparse. Il grande salto, l'occasione che ogni regista vorrebbe avere a disposizione. Ma non trovò sotto di sé una strada lastricata di soffici petali di rosa ma piuttosto di pungenti aculei. Douglas licenziò Mann per una presunta "presa di controllo" da parte del regista. Il divo di certo non avrebbe mai potuto immaginare che il sostituto che aveva scelto sarebbe ben presto diventato famoso per lo stesso motivo: il controllo totale e senza condizioni, ma in maniera decisamente più drastica rispetto al "tranquillo" Mann. Douglas provò in prima persona l'ossessione per il controllo di Stanley, al punto da proferire, in futuro, sentenze del genere: «Un giorno sarà un bravo regista se solo gli capiterà di dare una testata contro un muro. Potrebbe insegnargli ad accettare il compromesso». Oppure, con meno perifrasi: «Stanley è una merda di talento». Un'altra cosa non proprio gradita alla "merda di talento" fu la sceneggiatura scritta da Dalton Trumbo, uno dei "dieci di Hollywood" vittima del maccartismo anni '50. La sceneggiatura era inoltre basata su un libro di Howard Fast, scrittore ex-comunista. Il film nasceva già nella polemica.

Kubrick non riuscì a digerire l'ingenuità della sceneggiatura, che proponeva in chiave marxista la rivolta degli schiavi nei confronti dei padroni romani; eppure Fast «rimproverò lo sceneggiatore per non aver tenuto conto delle lezioni di marxismo durante il periodo in cui era rimasto in prigione» (LoBrutto). Fin dal principio, il messaggio che Douglas voleva infondere fu differente da quello di Trumbo: Douglas, sionista e acceso sostenitore dell'indipendenza di Israele, desiderava che il film proponesse lo stesso tema, quello che Derek Elley definisce come «variazione romana del tema "lasciate che il mio popolo sia libero"». Trumbo preferì sfruttare il film per fare propaganda delle sue convinzioni marxiste.

Spartacus Marx o meno, la sceneggiatura di un personaggio "non gradito" fu un problema e quindi fonte di agitazione per Douglas. Si decise di utilizzare uno pseudonimo, nella fattispecie Sam Jackson. Stanley ebbe un'idea: quella di inserire, nei crediti, la scritta "Sceneggiatura di Stanley Kubrick", trovata che lasciò perplesso Douglas, che prontamente disse: «Non ti sentiresti in imbarazzo a porre la tua firma su una sceneggiatura scritta da qualcun altro?». Pare che il regista rispose con un secco e laconico «No». Comunque siano andate le cose, la sceneggiatura venne poi accreditata al suo autentico autore, Trumbo.

Era la prima volta che Kubrick si trovava nell'insolita, per lui, posizione di non poter esercitare il suo controllo sulla sceneggiatura, esprimendo il secco giudizio per un soggetto che era un «sommario trattamento di un personaggio storico», anche se va riconosciuto che un certo schematismo è compagno fedele di tutte le produzioni hollywoodiane. Ghezzi sintetizza così la riflessione sulla sceneggiatura: «Anche il problema della schiavitù è trattato molto sommariamente nel soggetto, visto che la solita voce fuori campo all'inizio lo introduce con un ingenuo "pure, allo zenit della sua potenza, Roma è ancora affetta dal morbo della schiavitù", per cui tutto lo scontro tra i ribelli e il potere romano è impostato spesso come quello tra indiani e giacche blu nel western più semplicistico, dove il più forte vince tautologicamente perché è "il più forte", senza che si sappia perché la sua costituzione lo renda tale, senza che (in questo caso) si chiarisca come la schiavitù fosse uno specifico (e non un morbo) nella civiltà romana come in quasi tutte quelle dell'antichità».

SpartacusD'altro canto, lo star-system contribuiva non poco ad aumentare la già sufficiente tensione. Douglas ebbe l'idea di far interpretare i ruoli romani ad attori inglesi, mentre agli americani (lui compreso, recitando nei panni di Spartaco) sarebbe toccato recitare nel ruolo degli schiavi. Questo provocò una sorta di cameratismo, anche -e soprattutto- nella fazione dei "conservatori e aristocratici inglesi"; partendo dalla poca simpatia nutrita da Douglas nei confronti di Mann, Baxter analizza così la situazione: «[A Douglas] sembrava che il regista fosso troppo ben disposto nei confronti delle star britanniche importate per il film, che non nascondevano la loro scarsa considerazione per lo status di Douglas ed erano irritati dai suoi modi da spaccone. Laurence Olivier, che recitava la parte di Crasso, aveva fatto preoccupare Douglas l'anno precedente quando questi gli offrì la parte a Londra, suggerendo che lui, Olivier, avrebbe potuto dirigere il film e interpretare Spartaco. Charles Laughton, scelto per interpretare Gracco, il principale avversario di Crasso nei banchi del senato romano, era un masochista che si autocommiserava e che vedeva affronti e insulti anche nelle situazioni meno offensive e rifuggiva dal prepotente Douglas. La sua rivalità con Olivier era esacerbata dalla disparità dei loro salari […] Quello che dava a Douglas maggiori preoccupazioni era Peter Ustinov […] Giunse voce a Douglas che Ustinov soleva scherzare ai party hollywoodiani dicendo che nei film di Douglas "devi far attenzioni a non recitare troppo bene"».

SpartacusCome si può facilmente evincere, la lavorazione durante le riprese non avvenne in un clima sereno. Sarebbe lecito chiedersi come Kubrick reagisse di fronte a tali soluzioni. Gettando benzina sul fuoco, potrebbe essere l'ovvia risposta. Perché, nonostante le rivalità, i battibecchi e le tensioni, c'era un nemico comune il cui nome metteva subito tutti d'accordo: Stanley Kubrick, quel giovane regista che osava trattare le star di Hollywood alla stregua di infime comparse, forte della sua fede dell'equazione (del primo Pudovkin e di Kuleshov) attore=oggetto; quello Stanley Kubrick che costringeva a ripetere scene fino alla nausea; quello Stanley Kubrick che, insoddisfatto di una complessa scena girata in esterni, fece spendere una fortuna per allestire uno studio e farla in interni; salvo poi, con tutti già pronti a girare nell'enorme set costruito, sostenere: «Non mi piace, voglio girare fuori».

Celebre è divenuta la sua battaglia personale con il direttore della fotografia assegnatogli, Russel Metty, che aveva già lavorato con Welles (L'infernale Quinlan) e Hawks (Susanna). Esattamente come era già capitato in Rapina a mano armata, Kubrick costruì il rapporto con il direttore della fotografia a suon di schermaglie. «Non riesco a vedere le facce degli attori», disse una volta, l'ennesima, il regista. Metty, esasperato dal fatto che qualunque cosa facesse non era mai quella giusta, scalciò un proiettore vicino alla sua sedia. «Adesso c'è abbastanza luce?» fu la risposta che accompagnò il rotolamento del proiettore. «Adesso c'è troppa luce», rispose calmo e indifferente Kubrick. Woodfield, un fotografo che, armato di polaroid, testava "in tempo reale" l'illuminazione delle scene, raccontò al meglio la rivalità fra i due: «Pare che Metty fosse andato da Ed Muhl e gli avesse detto: "Io me ne vado". Muhl rispose: "Non puoi andartene, sei sotto contratto", "Allora lasciatemi fare il mio lavoro". SpartacusE Stanley disse: "Puoi fare il tuo lavoro standotene seduto sulla tua sedia e zitto. Sarò io il direttore della fotografia" […] Da quel giorno Metty non fece più nulla. Stanley diceva alla troupe quello che dovevano fare, loro guardavano Metty e Metty faceva un cenno d'assenso. Stanley illuminò il film - e Metty vinse l'Oscar!». Il perfezionismo di Kubrick era felicemente esploso, con tutta la paranoia che quella detonazione portava con sé. Dettagli che altri avrebbero ritenuto del tutto superflui, per lui erano assolutamente fondamentali. Facendosi forza, con tutta probabilità, della celebre frase pronunciata da Griffith in Birth of a Nation ("spostate quei 10.000 cavalli un po' più a destra"), Kubrick non perse occasione di aggiustare, seduto su una gru di dodici metri, i più piccoli particolari nelle scene con un gran numero di comparse. E' divenuto celebre questo passo, felicemente narrato da Baxter: «Trecento comparse, vestite di ruvido tessuto marrone, sono sparse su un pendio erboso sotto il sole cocente. Ognuna di loro regge in mano un cartello con un numero. Nessuno ha l'aria felice. […] Nell'accento monocorde del Bronx [Kubrick] bisbiglia qualcosa al suo assistente, che prende un microfono. La sua voce tuona: "Numero 23. Spostati a sinistra. Numero 104 - contorciti!". Il 104 non si muove. "George", dice il subalterno "Stanley vuole che il 104 si contorca". L'assistente alla regia si fa strada fra la folla e poi ritorna sui suoi passi. "E' un manichino!" urla verso la torretta. Il volto del regista resta impassibile. Bisbiglia qualcosa all'assistente. "Stanley dice di metterci dei fili e farlo contorcere"».

La prima di Spartacus è datata 19 ottobre 1960; tra lodi e quattro Oscar -miglior attore non protagonista (Ustinov), fotografia (Metty!), scenografia e costumi- il film fu principalmente attaccato, com'era prevedibile, per la sgradita presenza di Fast e Trumbo. Ma quest'ultimo fu gratificato dal fatto che il presidente JFK apprezzò il film, facendone un'ottima recensione. Douglas, per buona pace dei suoi nervi, non volle più ad avere a che fare con Kubrick.
«Una persona di grande talento non deve essere necessariamente simpatica. Puoi essere una merda e avere talento e al contrario puoi essere la persona più simpatica del mondo e non avere talento. Stanley Kubrick è una merda di talento».


Torna suSpeciale a cura di cash - aggiornato al 26/10/2004