il ventre dell'architetto regia di Peter Greenaway Gran Bretagna 1987
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il ventre dell'architetto (1987)

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locandina del film IL VENTRE DELL'ARCHITETTO

Titolo Originale: THE BELLY OF AN ARCHITECT

RegiaPeter Greenaway

InterpretiBrian Dennehy, Chloe Webb, Lambert Wilson, Sergio Fantoni, Vanni Corbellini, Stefania Casini, Alfredo Varelli, Francesco Carnelutti, Geoffrey Coppleston, Rate Furlan

Durata: h 1.58
NazionalitàGran Bretagna 1987
Generedrammatico
Al cinema nell'Aprile 1987

•  Altri film di Peter Greenaway

Trama del film Il ventre dell'architetto

Un architetto americano cinquantenne, Stourley Kracklite, più teorico che realizzatore, viene a Roma, accompagnato dalla giovane moglie Louisa per allestire la mostra celebrativa di "Etienne-Louis Boullée, uno degli architetti utopisti dell'illuminismo francese del '700, verso il quale nutre un'enorme ammirazione. Tra le persone che lo aiuteranno nel lavoro c'è Casparian Speckler, un bel giovane, pure lui architetto, ma di scarso talento. Mentre i preparativi hanno inizio e l'entusiasmo di Kracklite è grande, questi incomincia a soffrire di forti dolori al ventre...

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Voto Visitatori:   8,23 / 10 (26 voti)8,23Grafico
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Voti e commenti su Il ventre dell'architetto, 26 opinioni inserite

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Romi  @  22/06/2018 19:48:55
   8½ / 10
Film particolarissimo come tutti quelli di Greenaway. La fotografia, come sempre, spettacolare impone immagini di Roma come non si era mai vista. Un ilm molto raffinato, ma il cinema di Greenaway non piace a tutti e non sempre.

Gianfil  @  21/07/2016 10:34:47
   8 / 10
Il Mereghetti lo massacra. Come massacra Lo zoo di Venere. Mereghetti però non ha ancora capito che il cinema prima che racconto è immagine, e luce. In questo senso Greenway è un maestro. The Belly è un capolavoro di inquadrature e luce. Regia, fotografia e montaggio sono strepitosi. La vicenda e l'introspezione dei personaggi forse non sono all'altezza della regia; ma il tema della ricerca del senso della vita/morte/malattia attraverso l'unica chiave di lettura che il protagonista conosce davvero - cioè l'arte figurativa classica e neoclassica - è reso molto bene. Da vedere.

Oskarsson88  @  15/02/2015 01:20:23
   6½ / 10
Stilisticamente ben concepito ma troppo lento nello svolgimento. Apprezzabile l'intento, ma non è da tutti.

_Hollow_  @  18/02/2014 07:15:48
   10 / 10
Molto bella la recensione al film.

Non mi piace particolarmente Greenaway da un punto di vista emotivo; i suoi film per il 90% del tempo mi indurrebbero al sonno, se non fosse che si ha come l'impressione che perdersi anche un solo secondo di un suo film possa non solo essere un insulto al Cinema, dove bisogna apprezzare anche il singolo fotogramma senza distrazioni, ma compromettere del tutto la ricerca di un senso di ciò che si vede (tant'è criptico ed elitista).

Il suo stile, soprattutto quì, è stranissimo, fatto di movimenti di macchina magistrali che si spengono in inquadrature statiche, plastiche e quasi monumentali come la stessa città di Roma. Verrebbe da poter distogliere lo sguardo a tratti, concentrandosi solo su i dialoghi avendo ormai la scenografia fissa nella retina, ma ci si chiede se magari in uno stile da cinema narrativo non sia tutto voluto per cogliere ancora qualche particolare dello sfondo (alla von Stroheim); oppure se non sia una trappola per far perdere di vista il gesto decisivo, la chiave di volta della scena; oppure se semplicemente da buon cinema dello sguardo il tempo non sia semplicemente eccessivo e adatto farsi una propria idea su quello che sta succedendo, sul significato di quello che si sta osservando.

La musica fa da commento a molte stranezze; a volte è chiaramente opera di Wim Mertens, altre volte sembra quasi diegetica (come se ci fosse un pianoforte a suonare dietro l'angolo, appena al di fuori dell'inquadratura e che aspetta solo di essere ripreso) ma non lo è, altre volte lo è effettivamente (quì un violino, il bambino ne "Il cuoco ecc").

Come in quello si trovano elementi ricorrenti: la fisicità e realtà carnale dei corpi (che danno la vita e marciscono allo stesso tempo) contrapposti a tutto ciò che è invece etereo e spirituale; il cibo ed il suo rapporto fisico e mentale col corpo; un cromatismo zeppo di verdi e di rossi.


Vi sono talmente tanti simboli poi che trovo ridicolo anche solo pensare di poter snobbare con un sei marcio un film del genere non trovandoci nulla di che; abbiate il coraggio semplicemente di ammettere che un regista simile, un vero regista di quelli coi contro******** ed una cultura mostruosa, se vuole possa rendere la visione di un film difficile, ma la sua comprensione praticamente impossibile.
E se una cosa simile non vi passa nemmeno per l'anticamera del cervello, beh cicci rendetevi conto di essere piccoli pesci in un oceano enorme.
Se (Greenaway) non se ne fosse uscito tempo fa ammettendo che "Il cuoco il ladro la moglie e l'amante" fosse un'opera profondamente politica, avrei sfidato chiunque a vederci un dipinto macabro della politica tatcheriana. Mi vien da ridere e da piangere a pensare che qualcuno possa sentirsi talmente sveglio da aver bollato magari anche un film come quello come qualcosa di insensato e vuoto, un film in realtà complessissimo e registicamente ineccepibile per cui il regista è arrivato a dire che il titolo dovesse esser scritto senza virgole.

E quì siamo alle solite, la storia, per quel poco che conosco di Greenaway, sembra sempre la stessa: film lenti e monotoni, anche piuttosto noiosi ma dove si deve dare atto di un utilizzo della MdP perfetto, unito alla perfezione dell'intera composizione scenica, musica inclusa.

E dietro a questa perfezione formale risiedono concetti e pensieri anche importanti e meritevoli a volerci fare attenzione, un'emotività nascosta e poco accessibile perché difficilmente empatica. Sia perché è difficile per lo spettatore immedesimarsi in quell'alta borghesia colta e raffinata (che deve comunque sempre avere a che fare con il livello abbietto della corporalità) spesso centrale nella poetica di Greenaway, sia perché volutamente (anche in quel modo) nascosta, filtrata per non apparire ad uno semplice sguardo spettatoriale: come ad attestare l'impossibilità per la MdP di esplorare gli anfratti dell'animo umano, il suo "ventre", che perennemente nascosto anche se continuamente esposto esternamente, imperscrutabile alla vista anche di colui a cui appartiene (e infatti Kracklite non conoscerà mai fino alla fine il suo male pur essendoselo immaginato, anzi pur avendolo praticamente creato con una sorta di autosuggestione; come non si accorgerà mai da solo di suo figlio che nasce nel ventre di sua moglie).

Penso che da questo punto di vista, il dialogo (meglio il monologo) da ubriaco tra i tavoli del ristorante iniziale sia emblematico e centrale per comprendere almeno un po' questa concezione. Come se, secondo saggezza antica, le parole dette da ebbro siano sempre sincere e portatrici di verità.
Viene detto che tutti noi, anche se stranieri, abbiamo una pancia ("scusate dovevo dire addome") simile, riempita con una dieta simile, viene poi urlato e confessato (nell'indifferenza generale e nello sconcerto snob delle donne in primo piano a tavola) di avere il cancro, e il monologo si conclude con l'affermazione "anche Gesù Cristo sarebbe morto di cancro all'addome, se voialtri non l'aveste crocifisso prima!" .
Il "voialtri" può significare l'umanità tutta (quella di cui si parla nella recensione, sorda all'arte e sfruttatrice del lavoro dell'architetto per motivi di lucro), come può riferirsi ai romani in particolare (Pilato, esecutori delle leggi romane sotto il regno di Augusto).

Penso che Greenaway sia un po' come quelle opere di Boullée, possono ricordare l'inferno o il paradiso; io personalmente preferisco di gran lunga altro (e quì torna per la 200° volta la citazione di Wim wenders su Ozu), ma devo ammettere che il suo cinema mi incute un fascino e soprattutto un timore e rispetto assoluti; per cui mi ritrovo mio malgrado a dare il massimo dei voti e a considerare un capolavoro qualcosa che, a pelle, nemmeno mi piacerebbe. Ma non c'è scritto da nessuna parte che l'arte debba piacere, e soprattutto che debba essere accessibile e immediata (e quì mi torna in mente per la seconda volta Stronheim, e la visione che debba essere un martirio tramite cui filtrare gli spettatori più degni).

Woodman  @  02/09/2013 00:24:36
   9 / 10
Sarei un bugiardo se dicessi che il cinema di Greenaway mi convince.
Tuttavia è innegabile che mi affascini moltissimo.

Rigidi schemi compositivi tolgono anima ad una storia di follia e solitudine estrema, che fa capo ad un personaggio memorabile come Kracklite (Dennehy, strepitoso ma mal servito da un doppiaggio non all'altezza).
Lo sfarzo visivo è da ricercare stavolta nei contrasti cromatici portati al verde scuro, al grigio e al rossastro, nella maestria delle panoramiche, nella plasticità conferita al tuttotondo di creature e creazioni. Il dandyssimo e maniacale autore più che mai riesce a coniugare il suo sconcertante pessimismo con una forte e perfetta cura visiva, fotogramma dopo fotogramma.
E il film stesso risulta forte. Probabilmente è un capolavoro, ma come biasimare coloro che vedono in Greenaway una bufala, una carica infinita di presunzione e superficialità?
A me piace pensare a quest'ennesimo, anomalo, intelligente autore britannico come ad una personalità rivoluzionaria, piena di magia, di inventiva e di fremiti. C'è così tanto furore da sviscerare, così tanto erotismo da fondere alla tristezza, così tanti colori da glorificare, così tanta arte da descrivere.
E allora che si parli di pittura, che si mostri la pittura, che si reinventi la pittura.
E "Il ventre dell'architetto" più che mai furibondo furoreggia una barocchissima esplosione di intenti figurativi, sublimati sino alle estreme conseguenze (lo sconcerto, l'irritazione, il cerebralismo aiutato anche dai dialoghi ambigui e metaforici). Una valanga di perfezionismi geometrici, di simmetrie narrative, di tableau vivants in movimento, di dialoghi ermetici come i personaggi che li esibiscono.
Un film tragico, disperato e agghiacciante, che ha scacciato via ogni mia diffidenza non appena sopraggiunta la scena dell'arancia. Quella è poesia e basta. Quella è maestria. Associazioni mentali varie condiscono a sufficienza il brivido che provo in quel punto. Greenaway e il suo cinema. Greenaway e la sua follia controversa.
Indubbiamente estetizzante, ma quanti altri artisti come lui hanno saputo raccontare al tempo stesso? E al tempo stesso scavare nei personaggi? E affascinare attraverso unioni di caratteri, attraverso tecnica e contenuto magistralmente fusi come in un bacio proibito? E, aggiungerei, senza mai smentirsi, senza mai perdere d'occhio loro stessi, senza mai sacrificarsi o tradirsi? Io penso solo Kubrick. Che era un altro pianeta, quindi lasciamo stare.
Greenaway ha fatto di questa impossibile, ossessiva e incredibile reincarnazione di tele, tavole, pigmenti e incisioni il suo codice linguistico.
Prendere o lasciare, quindi. Perchè questo dannato sperimentatore presuntuoso, colto e apocalittico, musicofilo, voyeur, perverso dettatore di copioni in forma di rebus, crede in ciò che fa. Ha le idee chiare. Non è sprovveduto, non è stolto, non è accademico. Perchè capace anche di commuovere, pietrificare, innescare imput di riflessioni amare. E' capace di far pensare a lungo, di infettare lo spettatore delle sue stesse ossessioni, attraverso i superlativi temi musicali di Nyman o Mertens.
Quindi ci penserei dieci volte, e solo dopo averlo studiato, averlo ascoltato e aver visto tutta la sua opera, prima di definirlo superficiale.

In sintesi credo che, nonostante un formalismo stavolta non sempre adatto o digeribile e che tradisce la materia truce della vicenda, "Il ventre dell'architetto" sia un film grande, che attraverso visioni gigantesche parla di cose gigantesche. Sin dagli sconsolati titoli iniziali lo si evince. Se ne ha conferma sino alla scena clou della depressiva concessione alla sorella di Speckler e al finale che esplode di simbolismi e allegorie, in un delirio definitivo e incommensurabile, spettacolare e sconfinato come l'infinito pittorico. Anche se ad essere sincero mi sarei aspettato di trovare Louisa e Kracklite lontani, alternando le loro conclusioni con panorami e piani sequenza molto più vasti, con più onirismo.
Ma la ciliegina finale è splendida: In un fotogramma si riassume la potenza visiva e il male del destino, chiavi di lettura dell'intero film.
Menzione anche per la strabiliante scena dell'irruzione al ristorante, in cui si fa fortissima la compassione per il povero e infausto architetto. Dipinto sempre più come un mostro, immerso in una disarmante alienazione, sempre più tangibile, sempre più ancestrale, vicina, soffocante.
E vogliamo parlare della potenza allucinante che genera il simbolico ventre? Tetro, vitale, mortifero, splendido e doloroso al tempo stesso. Vita e morte, insieme. Arte e decadenza, incomunicabilità e solitudine, ossessione e rassegnazione.
Tutto converge in un'analisi costruita e motivata, riempita di amore e dolore.
Un lungo finale, un epilogo selvaggio, lanciato sulle note di Wim Mertens, che con "Struggle for pleasure" realizza uno dei componimenti cinematografici più stupefacenti e mirabolanti di sempre.
Pazzesco, folle, corrosivo.
La marcia funebre più pittoresca e lucida della storia del cinema.
Avanguardia pura. E' proprio il caso di dirlo.

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DogDayAfternoon  @  17/05/2013 20:41:01
   6½ / 10
Dopo aver visto "Il cuoco, il ladro, sua moglie e l'amante", sull'onda dell'entusiasmo sono andato a ripescare altri lavori di Greenaway; la mano del regista si vede subito anche se le stravaganze sono meno rimarcate rispetto a "Il cuoco, il ladro, sua moglie e l'amante". Filo conduttore di entrambi i film è il cibo e l'ingordigia, anche se ne "Il ventre dell'architetto" la storia non convince fino in fondo ed è fin troppo ripetitiva. Mi ha un po' deluso, mi aspettavo qualcosa di diverso, anche se l'idea di fondo non è malvagia. Perlomeno ha fatto un po' di pubblicità alla nostra capitale.

Gruppo COLLABORATORI atticus  @  26/09/2011 19:15:33
   9 / 10
Presentato in concorso al 40° Festival di Cannes, è forse il più accessibile tra i film di Greenaway, un punto di vista sulla perdita e sulla caduta, artistica ed affettiva.
Non c'è minuto de "Il ventre dell'architetto" in cui il regista britannico non precisi una coscienza profondissima dell'incontrollabile ciclo della vita e della morte (già tema tra i temi del precedente "Lo zoo di Venere"): il film inizia con Sturley Kracklite e sua moglie Louisa che consumano un rapporto sessuale in un treno, e termina con la nascita del bambino e la conseguente uscita di scena del padre (Krack-lite è un nomen omen). Proprio in questo senso è funzionale l'ambientazione a Roma, ventre artistico per eccellenza che divora e digerisce tutto: gli stili, le epoche, le persone, le ideologie….
Il film si interroga ancora una volta sul potere dell'arte come elemento di mediazione nella società contemporanea, ma allo stesso tempo rappresenta l'itinerario di un'umiliazione artistica che non conosce scappatoie e che trova l'unico sfogo nel decesso. Tra cupole e pancioni in primo piano, si assiste al decadimento dell'uomo che non è più in grado di amare perché sopraffatto dal dolore fisico e dall'incombere della morte.
Un'opera di straordinario livello, tra le più emozionanti che Greenaway abbia mai fatto, merito anche dei grandi interpreti (sontuoso Dennehy) e della splendida colonna sonora di Wim Mertens, con l'irrinunciabile "Struggle for pleasure" posizionata ad hoc in un'affasciantissimo momento clou della vicenda. Unico difetto: la scrittura un tantino affrettata (o volutamente criptica, sentitamente superficiale) dei personaggi di contorno.
Da umanista, non ho potuto fare a meno di notare un parallelo tra il protagonista di Greenaway e il pellegrino oltretombale della Divina Commedia di Dante: entrambi sono intellettuali esuli in terra straniera che, «nel mezzo del cammin di nostra vita», si ritrovano in una selva che per il primo (Kracklite) ha la fattezza, anche fisica, di una città d'arte divoratrice come Roma, per il secondo (Dante) ha i cromatismi oscuri del peccato che avvinghia l'essere umano; come Dante sviene di fronte a racconti ed emozioni forti, così Sturley Kracklite perde i sensi al cospetto della perfezione plastica delle statue romane; ambedue ricorrono alla tutela di un'illustre personalità artistica, il poeta Virgilio ed il teorico illuminista Etienne Louis Boullée, che possa guidarli con sennatezza nella loro impresa; tanto il viaggio di Dante è improntato sulla salita, tanto il percorso di Kracklite si compie tra loggioni ed alture, fino a sfaldarsi in una mortale caduta.
Ma è solo un'interpretazione personale che probabilmente avrà dei detrattori.

2 risposte al commento
Ultima risposta 15/05/2013 20.08.24
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento williamdollace  @  01/06/2011 09:20:17
   9 / 10
La ripetizione esponenziale di un'ossessione, l'unicità magnifica di una perfetta simbiosi. Il Cinema chiama, Peter Greenaway risponde.

paride_86  @  25/10/2010 00:10:27
   6½ / 10
Finora, dei film che ho visto di Greenaway, è quello che mi è piaciuto di meno, forse per l'eccessiva insistenza del protagonista in una sofferenza immaginata e provocata dalle sue stesse paure.
Certo, è difficile non rimanere affascinati dalla grande capacità di Greenaway come regista e dal suo eccezionale talento visivo: tutto ciò, unito al gusto per il cinema colto e ad una certa raffinata perfidia, che sempre lo contraddistingue, fa de "Il Ventre dell'Architetto" un film davvero particolare e denso di materia, ma - almeno per me - difficile da amare davvero.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR Ciumi  @  19/04/2010 16:55:23
   8½ / 10
Ovunque domina un’immensa simmetria. E al cospetto di questa ‘perfezione’, di tanto rigore, della fissità delle geometrie, della grandiosità dei monumenti romani, gli uomini terreni divengono macchiette, piccole imperfezioni architettoniche, minuti seppure ‘importanti’, caotici seppure composti nei loro spazi diminuiti.

Lo sguardo del regista è quello marmoreo dei monumenti immutabili, freddi, quasi eterni: spia in quelle sale classicheggianti, all’ombra delle maestose opere d’arte, i comportamenti ridicoli e aristocratici dei personaggi, i loro tradimenti, le loro debolezze, i loro traffici, i vizi che bruciano nelle prime sequenze in una banconota lasciata sopra a una torta - la loro transitorietà.

E al centro di Roma, dell’umanità e del cosmo intero, più che quello gravido della moglie: ecco, il ventre gonfio e malato di un corpulento architetto straniero, l’ombelico egocentrico del dolore terreno, confrontato con l’addome perfetto di una statua d’Augusto, e poi con quello più simile di un presunto ritratto dell’artista Boullée, il maestro francese tanto ammirato.

Spesso si accenna ai malanni e alla morte dei grandi del passato. Già in una sequenza all’interno di un palazzo, davanti a una vetrata, il protagonista assume la posa di un crocefisso. Tra le tante opere artistiche, egli chiede della tomba d’Augusto.

Il ventre, l’eccentricità, l’intestino, la solitudine, la gravidanza, il cancro.

Davanti all’estetica mastodontica della capitale italiana, alla vigilia d’una inaugurazione, noi assistiamo al male interiore che rode l’impotente architetto, ai ruvidi tessuti intaccati del suo ventre, ai nervi che si tendono impietosi - alla rovina del corpo e della mente - fuori dalla vista delle sculture e dei monumenti.

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Ultima risposta 26/04/2010 10.45.40
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Stone Face  @  20/02/2010 23:09:36
   6½ / 10
Che fatica i film di Greenaway!questo però mi è piaciuto di più rispetto agli altri, soprattutto per il protagonista: condito da tutti gli eccessi tipici del regista non scade mai nel truce (a Greenaway, a mio modesto parere, capita) ed è incredibilmente espressivo. Quanti rimandi però, quante citazioni velate, quanta boriosità tecnica, quanta irritazione mi comunica sempre Greenaway.

Gruppo REDAZIONE VincentVega1  @  02/02/2010 12:46:02
   8½ / 10
Liquidato dal Mereghetti come film di grande forma ma poca sostanza, lo reputo tutt'altro. Difficile descrivere un personaggio così bene, magnifico poi il suo percorso di follia, aiutato da immagini sobrie e musiche ipnotiche.

Un film unico ed affascinante.

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Ultima risposta 02/02/2010 13.36.50
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gandyovo  @  25/01/2010 15:49:16
   8½ / 10
altra pennellata del maestro greenaway. ottime come al solito le musiche, il personaggio di kraklite fantastico.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR elio91  @  04/10/2009 23:52:35
   8½ / 10
è il primo film che vedo di Greenaway e da quello che avevo sentito pensavo di annoiarmi e invece mi ha preso sin da subito. Le inquadrature sono stilisticamente perfette (anche se un pò stucchevoli a volte) e non è un film fatto solo per le immagini come dicono i critici che lo denigrano,anzi la storia è molto importante.
C'è un senso fortissimo di morte,emulazione e rinascita,si capisce che l'Arte sia destinata a ripetersi negli anni. E che,come scrive Palahniuk in Diary,la vera Arte si puo avere solo se si soffre. Non c'è Arte senza dolore. L'unico rischio di Greenaway è che alcune scene possano essere considerate come puro e semplice esercizio di stile ma non in questo film,perlomeno. è vero che però ci sono alcuni punti abbastanza monotoni.
Rimangono splendide le inquadrature quasi sempre statiche che danno la sensazione di vedere un quadro antico in movimento. La colonna sonora è molto bella ma la cosa più bella del film,neanche a dirlo,è Roma.
Mi vengono i brividi a pensare che tutta questa cultura che abbiamo praticamente a portata di mano e di occhio da moltissimi venga ignorata e anche demolita,in alcuni casi.
Sono sorpreso anche dai pochi voti a questo film. Di amanti del cinema d'autore ce ne sono molti e se leggono questo commento vorrei consigliargli proprio di procurarsi questo film. Non se ne pentiranno,a patto di non essere tra quelli che si annoiano se un film è "lento".
Voglio vedere altro di questo regista,mi ha sorpreso piacevolmente.

Gruppo COLLABORATORI ULTRAVIOLENCE78  @  17/05/2009 20:24:06
   8½ / 10
A un anno dallo “Zoo di Venere” è la volta di quello che, probabilmente, costituisce il punto più alto della produzione di Greenaway. Con "Il ventre dell'architetto" si acuisce il senso di impotenza (trasmesso con estremo pathos) riveniente dall'impossibilità di controllare la realtà, e il sopravvento della Natura si fa ancora più penetrante e crudele perché non visibile in superficie: il deterioramento del corpo non si svolge più davanti all'occhio nudo, ma passa all'interno del corpo medesimo agendo "sotterraneamente" (nell'addome e nella testa) e prendendosi beffe di chi presume di poter atteggiarsi a padrone della propria esistenza: dal lavoro all'arte, dalla propria donna alla vita stessa, tutto sfuggirà di mano al protagonista Stourley Kracklite. In quest'opera Greenaway, accantonati -o quasi- i rompicapo da onanismo intellettuale (presenti così copiosamente ne "Lo zoo di Venere", che sarebbe impresa improba, oltre che inutile, enumerare tutti), si concentra in massima parte sulla struggente parabola discendente di un uomo (solo), travolto dall'inesorabile e ciclico susseguirsi naturale di nascita e morte (rectius, di morte e nascita).

Brundle-fly  @  14/12/2008 18:01:49
   9½ / 10
“ONE SHOT”.
In Greenaway l’elemento ludico bilancia quello tragico con tale efficacia da ridurre i suoi film a esercizi di stile e a giochini intellettualoidi, nonostante il fulgore delle musiche e il parallelismo visivo della fotografia di Sacha Vierny, che sa annullare i piani prospettici e le linee-guida dello sguardo come già il Tati di “Playtime”. Coralità (complessità? globalizzazione?) percettiva ma anche narrativa, priva dell’emergere d’una qualsiasi figura di rilievo. Quando invece, forse per la prima e unica volta, Greenaway ha trasceso la propria gabbia stilistica, c’è scappato il capolavoro. Ne “Il ventre dell’architetto” è difficile non trovare un concentrato di tutti i problemi concernenti i massimi sistemi, inclusi quelli metacinematografici. Però solo in quest’occasione il regista ha adottato un singolo e specifico punto di vista, quello di Kracklite, con cui ci si può finalmente identificare, un personaggio che diventa protagonista permettendoci l’innesco del processo d’immedesimazione e dunque la partecipazione affettiva alla sua parabola nefasta. Allora il ludico non soffoca più la passione violenta, bruciante, veemente: Kracklite ossia l’impotenza maschile, l’inettitudine a penetrare la realtà, la natura, il femminile.
Il reciproco è riscontrabile in Van Sant. Il lungo elenco di difetti che gli vengono attribuiti è giusto: l’esistenza marginale di drogati, sbandati, gay, naturalisti, assassini non gli riesce di renderla un esempio prototipico della condizione umana, un modello antropologico di portata universale. Ma pure in questo caso, l’unica volta che ha saputo evadere dai propri vincoli autoriali, ne è saltato fuori il capolavoro: “Elephant”. Nessuna morbosa adesione agli attori giovanili o adolescenziali, tutt’altro: un distacco che li rende equivalenti e intercambiabili, privi d’un’identità specifica. Proprio all’inverso rispetto a Greenaway, il racconto acquista un valore generale nell’unica occasione in cui si rinuncia alla singolarità e si sceglie una panoramica d’assieme.

Mauro Lanari

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Ultima risposta 26/03/2009 10.20.57
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR quadruplo  @  18/11/2008 23:21:11
   8 / 10
Dopo il teatro del "bambino di Macon" e la lezione di storia dell'arte di "rembrandt j'accuse", finalmente riesco a vedere un vero e proprio film di di questo affascinante regista.
Il fatto che Greenaway sia in primis un pittore è evidente dalle splendide immagini che spesso sembrano dei quadri piuttosto che delle sequenze di un film.

E il gusto del regista per l'arte si percepisce anche dalla scelta della capitale come sfondo dell'ossessione dell'architetto per Boullée, che lo porterà alla totale emulazione del teorico francese.

Sanjuro  @  30/05/2008 02:44:18
   6½ / 10
Sopravvalutato. Un simbolismo un pochino facilone, trama non particolarmente avvincente, lentezza ingiustificata. Non raggiunge i vertici di drammaticità, surrealismo e colpo di genio peculiari di altre pellicole. Goffo e pudico in alcuni frangenti. Nel complesso una discreta pellicola ma lontana dal capolavoro

Gruppo STAFF, Moderatore Jellybelly  @  17/12/2007 19:20:25
   7½ / 10
Raffinatissimo incotro di arte e cinema che danzano assieme fino all'annichilimento reciproco, accompagnate dalla fissità delle riprese e da una colonna sonora incantevole dell'ottimo wim mertens.
Ottimo il caratterista brian dennehy insolitamente protagonista.

Invia una mail all'autore del commento vlad  @  25/06/2007 12:57:07
   8½ / 10
Uno di quei rari casi in cui, in perfetto equilibrio di pesi, in modo esteticamente ineccepibile, due così differenti forme d'espressione artistica, si raccontano l'una nell'altra.
Magnifici i dialoghi, un po' stucchevole - a gusto mio - la colonna sonora, benché trovo che la delicatezza e l'eleganza delle melodie di Mertens siano "architettonicamente" perfette, per accompagnare questa pellicola.

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Ultima risposta 25/06/2007 18.09.54
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento matteo200486  @  20/05/2007 14:15:26
   8 / 10
Primo film di Peter Greenaway che vedo e sono stato folgorato dalle capacità di questo grande regista. E meno male che non è uno dei suoi migliori, quindi mi aspettano dei grandissimi capolavori nel futuro.
Un'opera veramente sorprendente, intensa.

L'osessione del ventre pervade tutto il film. Ventre portatore di vita ma anche di morte, ventre da cui tutto nasce e tutto ritorna.
Un film il cui livello estetico è veramente notevole. Bello da vedere, bello da seguire.
Una sceneggiatura molto bella, molto curata ma quello ma quello che più mi ha colpito è stata la regia di Greenaway e le stupense musiche di Wim Mertens. E come non citare la ottima fotografia di Sacha Vierny. Veramente un lavoro tecnico molto molto ben fatto. L'unica pecca è probabilmente la freddezza che ho percepito in questo lavoro, eccezion fatta per l'ultima parte Comunque è indiscutibilmente un film veramente buono, con un finale che mi ha soddisfatto, ricco di significato.

Gruppo REDAZIONE maremare  @  10/02/2007 09:24:40
   9 / 10
Uno dei migliori film di Greenaway.
Stilisticamente perfetto.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento goat  @  30/03/2006 10:57:30
   8 / 10
bello ma non il miglior film di greenaway,anche se in questo la sua passione per l'estetica e l'arte trova la sua migliore espressione,grazie alla cornice romana.bellissima anche la colonna sonora

Gruppo COLLABORATORI paul  @  03/11/2005 15:45:12
   8 / 10
Bellissimo, anche se non il migliore del geniale regista. Ha dalla sua comunque un'ottima cornice italiana (fotografata come sempre in maniera impareggiabile da Vierny) e l'ottima interpretazione dei protagonisti. Di contro (o dalla sua ancora) una trama per chi non ama Greenaway, è proprio il caso di dirlo, "stomachevole".

DarthRoxx  @  01/06/2005 17:33:22
   10 / 10
I temi preferiti di Greenaway: il corpo e la sua decomposizione; la pancia come ricettacolo di meraviglie ed orrori...
Grande opera e grande interpretazione di Brian Dennehy

benzo24  @  14/05/2005 12:55:02
   9 / 10
  Pagina di 1  

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