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Andrej (racconto)

Avvertenze: Il racconto è opera di fantasia, ispirato alla poetica tarkovskijana. Contiene la particolarità di essere costituito da dialoghi esclusivamente tratti dai film di Andrej. Spero che l'operazione riscontri il vostro interesse, risultando gradevole.

ANDREJ

«L'uomo ha un corpo solo
solo come la solitudine
l'anima ne è stanca
e io cerco un'altra anima.
»
- Arsenij Tarkovskij -

I

Ho conosciuto Andrej Tarkovskij.
Ricordo, un caldo pomeriggio estivo di parecchi anni fa, a casa di uno sceneggiatore romagnolo.
La prima volta che lo vidi fu di spalle.
Tonino, seduto, lo ascoltava in silenzio; anche io mi sedetti e inizialmente ebbi la netta sensazione che lui, Andrej, non si fosse neanche accorto della mia presenza.
Passeggiava nervosamente lungo la stanza, irritato e deluso perché "Nostalghia" non aveva vinto il premio più ambito a Venezia.
A volte Tonino mi guardava, sorridendo, come a dire che l'uomo era questo e io mi chiedevo cosa sarebbe stato l'uomo senza l'Opera.

Osservavo il volto, ne analizzavo minuziosamente tutti i tratti.
Lo vedevo in continua trasformazione e mi induceva, chissà perché, ad una intrigante analogia: pensavo al mare, ora in burrasca, ora placido, screziato dalla luna o dal sole, ora blu o turchese. Cangiante, come a nascondere un mistero.
C'erano dei momenti in cui Andrej parlava in russo, coincidevano con le punte massime di irritazione.
Era in quei momenti che si accorgeva della mia presenza e mi scrutava con occhi profondi e luminosi, mobilissimi.

Improvvisamente mi rivolse la parola: chiese se conoscessi il film di cui si stava parlando. Lo conoscevo eccome; ne mandavo a memoria i fotogrammi; dei personaggi ricordavo ogni dialogo, sospiro, malinconia. Non risposi, non riuscii ad emetter alcuna parola. Gli occhi, quelli sì, funzionavano, e si erano incantati sull'abbigliamento, una gradazione variabile della stessa tonalità, il bèige.
Quella stessa notte sognai.

Incominciammo a frequentarci.
Tonino mi chiese se potevo accompagnare l' ospite a visitare l'entroterra romagnolo e io lo feci con piacere.
La Valle, assolata e splendente, sembrava ci stesse aspettando.
Per un primo tratto di strada camminammo uno dietro l'altro. poi appaiati ma sempre senza parlare.
Andrej volle fermarsi a riposare in prossimità di uno dei piccoli ruscelli del fiume.
Osservavo la vegetazione intorno: l'erba, verdissima e calda, sembrava spume di piccole onde, cespugli cupi o chiare meduse opalescenti; un albero, dai rami fitti, intricati e sinuosi, barriera di durissimo corallo.
Andrej, rapito, seguiva il fiume trasformarsi in torrente e poi in ruscello, infine in rivoli. Fermava lo sguardo in direzione del riverbero del sole sull' acqua e io pensavo alla predilezione dell'Artista per i riflessi di luce o per le immagini riflesse, espressa ampiamente già nel primo cortometraggio.
Il sopraggiungere dell'imbrunire invitò al rientro.

Lo vidi nella piazzetta del paese, seduto su di una panchina, a leggere un quotidiano.
La pagina era aperta sul conflitto medio-orientale.
Guardavo l'espressione preoccupata di Andrej e andavo con la memoria al primo lungometraggio e alla eco che aveva suscitato in tutto il mondo uno stile diverso di fare cinema, in sintonia con il movimento culturale presente in quegli anni in Unione Sovietica.
Mi parlò - "La cosa più terrificante non è la guerra in sé, ma il fatto che questa sia un'invenzione degli uomini".
Aveva ragione, lo sapevo, ma francamente non riuscivo ad andare al di là del semplice tautologismo dell'affermazione. Glielo dissi.
Mi guardò sorridendo - "Caro ragazzo, sono intimamente convinto che la soluzione ci sarebbe se gli uomini assumessero la responsabilità morale del loro male interiore".
Ero troppo giovane per capire il significato di quelle parole, ma il modo in cui guardava mi induceva a credere che forse lui aveva intuito la soluzione e il suo stile di vita lo rappresentasse. Forse l'Artista riusciva ad accogliere il male proprio e di tutta l'umanità e, dandogli una nuova forma, trasformarlo in Opera: l'uomo che era di fianco a me ne sopportava il peso.
Lo guardai, si era appisolato.
Lentamente sollevò le palpebre e mi guardò con un'espressione dolcissima, che non ebbi più modo di osservare.
"Stavo sognando mia madre" - disse.

C'è un periodo dell'anno in cui il litorale adriatico è bellissimo.
E' la fine dell'estate quando, non più popolate dai villeggianti, le spiagge vengono percorse da venti leggeri e il sole, più obliquo, ha colori più caldi. Folate di vento scompigliavano i capelli ad Andrej, tratteggiandolo in un'espressione fiera ed austera.
Mi accorsi che era trascorso un anno dalla realizzazione del suo ultimo film, gli chiesi se pensasse ad una nuova Opera. Non rispose subito, non lo ha mai fatto, mi invitò ad accovacciarmi sulla sabbia, prese un legno e cominciò a disegnare cerchi concentrici.
"Non è vero che l'Artista ricerca il proprio tema, è il tema che matura dentro di lui come un frutto e chiede di essere espresso... è come un parto. Io non sono il padrone della mia opera, ne sono il servo".
Si interruppe a guardare una pozza d'acqua creata dal suo scavare con le mani la sabbia. Osservavo la distesa azzurra, immensa; non mi capacitavo del perché lui preferisse una pozza d'acqua al mare.
"Non vedo mai il fango - disse - ma sempre l'acqua mischiata alla terra". "Perché non il mare?"
"Francamente non ci ho mai pensato - rispose - forse perché il mio spirito indagatore è spinto in ciò che è scomponibile e analizzabile, forse perché sono cresciuto lontano dal mare ma vicino a corsi d'acqua, ruscelli e stagni.. o forse perché il mare mi fa paura, lo avverto come vivo, come qualcosa di inaccessibile...".
Riandavo al primo incontro e alle sensazioni procuratemi dalle espressioni del suo volto. Pensavo che lui stesso era il mare e la difficoltà che incontrava nell'abbandonarvisi era la stessa che intimamente provava nel decifrare le proprie oscure profondità. Forse, allora, questo mondo sconosciuto si impossessava dell'Artista e autonomamente indicava la via da percorrere.
Rientrando a casa mi trovai a pensare, ingenuamente, se con la conoscenza di sé la creatività è qualcosa che si perde o che rimane.

L'autunno di quello stesso anno si verificò un accadimento che segnò il corso della mia vita.
Mio fratello si uccise, lasciandosi abbracciare dalle possenti acque del mare.
Quel giorno ebbi la prima visione. Cercai subito di Andrej.
"Era un uomo e si muoveva.."
"Quale uomo?"
"Un bambino.."
Mi rendevo conto di essere contraddittorio, ma l'immagine che mi si era stagliata davanti era quella di un essere che era, nello stesso tempo, un piccolo bambino e un gigante.
"Aveva una statura di cinque metri circa... aveva gli occhi blu e i capelli neri... era nudo come un neonato e anche bagnato, o lucido... altalenava su e giù come fosse tra le onde..."
Lo guardai preoccupato - "Forse sto impazzendo.."
Sorrise - "Sai come si dice pazzia in russo? Si dice 'viera', che significa fede. Io credo che tu non sia pazzo, ma che la morte di tuo fratello ti abbia fatto avvicinare a qualcosa.. ..di numinoso".
Continuava - "Abbiamo perso il senso della realtà spaziale. Gli antichi lo avvertivano con maggiore chiarezza, non avrebbero avuto di questi problemi. La mentalità occidentale ci ha portato a non tenere più in considerazione il mondo dello spirito e a rifuggire da tutto ciò che non è inseribile in uno schema logico-matematico e questo è assurdo.".
Si stava accalorando e mi accorgevo che il genuino dispiacere provato nei confronti della mentalità contemporanea era lo stesso che provava verso la mia incapacità a convivere con qualcosa di insondabile.
"Il mondo dello spirito è il ramo d'oro su cui poggia la cultura dell'umanità e l'uomo lo vuole spezzare! E' incredibile! Vogliono distruggere l'umanità!"
Era furioso e questo mi faceva sentire meglio.
Consideravo che la grandezza dell'Artista stava nella capacità di avere una visione diversa delle cose nel mondo, e ciò gli permetteva di dialogare con immagini così potenti.

Mi ero da poco trasferito a Roma quando Tonino mi fece sapere che Andrej si trovava, malato, nella casa di Firenze. Lo raggiunsi immediatamente.
Non ebbi difficoltà a trovare l'abitazione, a due passi dall'Arno.
Venne ad aprire una donna minuta che poi seppi essere la domestica.
Andrej mi accolse nella camera da letto, il male gli impediva di muoversi.
"Come sta il mio giovane amico? L'avventura romana.. tutto bene?".
Non riuscivo a rispondere.
Osservavo il volto, ancora più scavato da profondi solchi, e mi chiedevo se l'uomo avesse perso la battaglia col male e se ne stesse facendo divorare.
Mi guardò e capì che doveva dimostrare di conoscere i miei interrogativi - "L'Italia è un paese bellissimo ma, vedi, io sono russo e non posso pensare di vivere senza potere più rivedere la mia amata terra, la mia famiglia..."
Addolorato ricordavo gli anni bui della persecuzione politica, l'ostracismo e l'esilio, cercato dall'Artista, affinché potesse esprimersi liberamente.
Mi guardavo intorno, l'arredamento di quella camera da letto lo avevo già visto in tanti suoi film: si respirava l'odore dei muschi, si udivano le nenie russe, si immaginavano, in lontananza, i boschi di betulle.
Socchiuse gli occhi - "Il villaggio dove sono nato non esiste più, è stato sommerso dal Volga. Dall'acqua spunta solo il campanile della Chiesa... i miei genitori si amarono molto nei primi anni di matrimonio ...ma poi la guerra rovinò tutto.". Conoscevo alcune informazioni circa la sua infanzia. Sapevo che il padre, Arsenij Tarkovskij, poeta abbastanza conosciuto, era stato segnato dalla guerra nel morale e nel fisico.
"Allo scoppio della guerra ci trasferimmo nella casa della nonna materna, nella campagna lontano Mosca... l'infanzia è il periodo più importante della mia vita; sono cresciuto in una famiglia senza uomini e questo forse ha avuto grande influenza sul mio carattere che somigliava a quello di una pianta.. non pensavo ma sentivo, percepivo..."
"Al ritorno dalla guerra mio padre era molto cambiato, litigava spesso con mia madre, decisero di lasciarsi.. mia madre amò molto mio padre, voleva che gli somigliassi..."
"A ventidue anni entrai alla Scuola di Cinematografia Sovietica... la mia esperienza ha dimostrato ancora una volta l'impossibilità di imparare a scuola ad essere un Artista..."
Continuava a parlare, era un fiume in piena, io ascoltavo, dondolandomi leggermente sulla sedia.
Ero perfettamente consapevole che quella confessione immediata aveva il sapore di un addio.

II

Roma -per chi arriva dalla provincia- ha sempre un fascino partitolare.
La prima impressione che desta è che sia immensa e respinga ogni tuo desiderio di conviverci. Poi, se hai pazienza, ottieni la sua confidenza e ti si concede.
Se desideri la campagna alle spalle trovi i colli, invece, di fronte, hai il mare.
Fregene la preferisco ad Ostia.
Forse perché per arrivarci si percorre una strada nella campagna che ricorda tanto le mulattiere della costa meridionale dove, ad ogni passo, ti aspetti di incontrare il mare.
Ci sono dei posti a Roma dove respiri la storia.
Mi riferisco al Campidoglio dove se ti accovacci in un punto preciso, non vedi altro che colonne romane e ti sembra che passato e presente si confondano.
Oppure Villa Pamphili con l'ingresso maestoso, il parco immenso e in fondo, solitaria, la villa. Se percorri i viali adornati da fontane, corsi d'acqua, ruscelli e aspetti l'imbrunire - quando la Villa rimane deserta - immagini di ascoltare le note di un Preludio di Chopin e provi la sensazione di sentirti sospeso tra ambiguità e mistero. Trastevere è un labirinto e se non usi l'accortezza di imprimerti nella mente i nomi delle vie, corri seriamente il rischio di perderti...

E' a S. M. Trastevere che l'ho vista per la prima volta.
La piazza, affollatissima, non impedì che io mi accorgessi della presenza, in lontananza, di una ragazza che mi osservava.
Mi avvicinai, sospinto dal desiderio.

Passavo molto tempo da solo, in solitudine, e il fatto che questa fosse una condizione cercata ma non voluta mi procurava una sofferenza enorme.
Era in quei momenti che mi sentivo vicino alle mie fonti psichiche e mi dicevo che forse Andrej aveva sempre vissuto questa condizione e dalla propria sfera di solitudine emetteva un lamento bellissimo, attraverso l'Opera:
"Vogliono che io cambi, che segua il loro ideale di trasformazione della condizione umana... dicono che sia facile, che è un concetto ideologico e quindi teorico, é per questo che mi considerano un sovversivo. Non è vero, si sbagliano. Perché ci siano dei cambiamenti la trasformazione deve avvenire emotivamente, non intellettualmente... ti sembra che la condizione attuale dell'Unione Sovietica sia un ideale da perseguire?"
Pensavo al destino dell'Artista, cacciato dalla propria patria, costretto ad errare vagabondo e a comunicare, attraverso una visione diversa delle cose, la via da percorrere a chi, per una propria debolezza, non vi è ancora riuscito.

La sera la casa sembrava abitata da fantasmi. Era difficile anche solo immaginare di potere dormire. Provavo la netta sensazione di sprofondare in una valle popolata dalle anime dei defunti e ciò mi procurava orrore.
Cercai Andrej.
Tonino mi disse che si era sentito meglio e aveva deciso di andare nell'isola di Gotland, in Svezia, a girare un film che aveva in mente da tempo.
Ricordai la gita siciliana, fatta insieme, qualche anno prima.
Si passeggiava lungo la Valle dei Templi quando Andrej si fermò a mirare il mare.
L'aria tersa permetteva di vedere, in lontananza, le isole di Linosa e Lampedusa.
Aveva l'espressione malinconica.
"Sei triste?" - chiesi.
"No... è che quando vedo, come ora, in lontananza un'isola, la immagino verde e incontaminata. Allora provo il sentimento della nostalgia..."
Mi guardò e capì che doveva essere più chiaro - "Nostalgia per noi russi non è un'emozione leggera come la intendete voi, ma è un sentimento profondo e doloroso, che ti porta a viaggiare cercando una patria migliore... ma questo è impossibile. La nostalgia ti permette, in questo mondo, di avvicinarti alla sofferenza dei tuoi simili e condividerla, per compassione.."
Salii su di un pendio e guardai all'orizzonte le isole.
Ebbi la strana sensazione di sollevarmi da terra.
Persi 1'equilibrio e cadendo mi ferii le mani.
Anna - così si chiamava quella strana ragazza incontrata a Trastevere - fu l'unica persona che frequentai nei mesi successivi. Da quando avevo cominciato a vederla quotidianamente la mia salute era migliorata.
Continuavo a considerarla solo un'amica, anche se per lei il rapporto era stato diverso fin dal primo momento. La consapevolezza di ciò mi spingeva ad interrompere la relazione, ma i miei sforzi risultavano vani. Non so spiegarlo ma era come se mi avesse stregato la sua dedizione, l'avermi messo al centro del proprio universo.
Mi accorgevo che la parte irrazionale aveva preso il sopravvento e questo lo vivevo come una tortura. Ricordavo di non avere mai amato nessuna donna e che per molto tempo avevo rifuggito ogni relazione che potesse risultare coinvolgente.
Mi chiedevo se questa cosa terribile che stavo vivendo fosse amore e la confrontavo con quello che mi era stato insegnato. Ero frastornato.
Quella sera non sopportai più l'invadenza di quella piccola ragazza cocciuta e mi comportai in maniera indegna.
"Io non ti amo"
"Tu mi ami"
"Non è vero"
"Sì invece"
"Smettila, io non ti amo, non ti ho mai amato, è qualcosa di irrazionale... è malattia... perché l'uomo esista deve esserci una capacità discriminativa e questo ora a me manca. Se potessi attuarla non sarei qua con te, tu non mi piaci, non mi sei mai piaciuta."
"Ma io non sono un fantasma, sono un essere umano, in carne ed ossa... sono una donna!".
"Tu non sei una donna, né un essere umano! Capiscilo se sei capace di capire! Sei una copia! Una matrice! Una ripetizione!" .
"Può darsi, ma anche io soffro, non meno di te.. posso anche andarmene, se proprio lo desideri".
Uscì dalla porta, senza far rumore.
Rimasto solo, venni folgorato dalle parole di Andrej:
"Hai presente i tormenti di Tolstoi a causa dell'impossibilità di amare l' umanità? Quanto tempo è trascorso da allora? L'amore è un sentimento che può essere provato ma non spiegato perché non è un concetto. Come è morto tuo fratello? Non è morto di paura, é morto di vergogna.. la vergogna per il buco nero in cui si è infilata 1'umanità! La vergogna! Ecco quello che può salvare l'Umanità!"

Nei giorni che seguirono, lentamente, mi ammalai di una male profondo.
Fui ricoverato in ospedale.
Avevo dei seri problemi all'apparato digerente e decisero di operarmi.
Qualche attimo dopo l'anestesia mi trovai sull'Isola. Ero solo.
Mi specchiai nelle acque limpide di un ruscello.
Il volto di Andrej si sovrappose al mio - "Problema significa desiderio di sapere, ma per conservare la verità ci vogliono i misteri. Il mistero della felicità, della morte, dell'amore..."
Lo interrogai perplesso - "Che connessione c'è tra il tuo stare qua e la vita laggiù?"
Sorrise - "Fra poco mi chiederai quale è il senso della vita! Quando si è giovani la ragione d'essere e gli altri problemi non devono interessare, essi giungono al traguardo della vita.." Scomparve.
Dietro le spalle vidi apparire la figura di Anna: era bellissima.
Smisi di contemplare l'acqua e mi voltai.

Al risveglio la prima persona che vidi fu il medico.
Disse che ero stato molto fortunato, perché mi avevano operato per un problema gastrointestinale, ma poi si erano trovati di fronte ad un inizio tumorale che era stato bloccato per tempo. Prima di congedarsi avvisò che fuori si trovava una ragazza: era da tempo che aspettava il mio risveglio.
La convalescenza si svolse tranquillamente.
Telefonavo quotidianamente ad Anna, avevo la compagnia di parenti e amici.
Il giorno prima di essere dimesso ricevetti la visita di Tonino.
Senza parlare mise una mano in tasca e mi porse il ritaglio di un giornale: era la "Pravda", il quotidiano moscovita:

"Andrej Tarkovskij, il grande regista russo, è morto.
L'artista non ha fatto in tempo a tornare da noi, ma è tornata la sua Opera.
"

Ho sposato Anna, trascorro i miei giorni insieme a lei.
A volte, nei momenti di solitudine, mi trovo a passeggiare nella campagna romana, immagino di avere accanto Andrej e con lui parlo di ciò che in quel momento mi sta più a cuore.
Poi mi accorgo che non c'è più e che, forse, sto parlando con una parte di me che vorrebbe comunicare ma di cui ancora non conosco la chiave interpretativa.
E' allora che mi prende la nostalgia.


Torna suSpeciale a cura di maremare - aggiornato al 05/09/2005

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Andrej Tarkovskij