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Gran bel film (con tanto di notevoli inseguimenti) che ovviamente e' film di denuncia contro il feroce ed inumano regime carcerario ma non solo.. Anzi! Restrizioni ed evasioni son continue... Si parte illustrando le vicende del protagonista quando e' un militare (ergo...)... Eccolo finalmente fare ritorno: alla stazione lo attendono parenti e... il datore di lavoro, GIA' pronto ad "inquadrarlo" in un ripetitivo lavoro che... GIA' fece prima di partire per le "imprese militari" (che gli han fruttato un'inutile croce di guerra..). Arriva quindi la prima "evasione" da un futuro GIA' pianificato che lo bracca...
Tralascio il corpo del film (ripetute fughe da carceri e donne) ed eccoci arrivati a quel mitico finale, a quel: "ma tu sei libero gia' da un anno.." "no... io non sono libero... mi cercano sempre..."), che lascia spazio all'ennesima e definitiva(?) fuga in dissolvenza...
Un eroe di guerra, una persona amabile capace di partire dal basso per arrivare alle vette sociali, sempre onestamente ma... anche un prigioniero della giustizia. Il protagonista per uno scambio di persona viene condannato a 10 anni di lavori forzati in un carcere dove non esiste la civilta'. Dopo una fuga (non certo un gran piano come si vede ai giorni nostri) riesce a rientrare nella societa' partendo dal basso. Ma la giustizia americana è pronta a sferrare l'ultimo colpo quando meno te l'aspetti, quando hai la citta' di Chicago ai tuoi piedi... Entrato in quel meccanismo sembra impossibile venirne fuori, questo è il messaggio finale, uno splendido ma amarissimo finale...
Dopo aver servito la patria nella Prima Guerra Mondiale, un uomo ritorna a casa e finisce in carcere per una serie di sfortunate circostanze, mandato ai lavori forzati; riesce a evadere e per un po' di tempo la fortuna sembra sorridergli, permettendogli di rifarsi una vita come persona rispettabile. Ma il passato torna ben presto a bussare alla sua porta... Dal punto di vista di uno spettatore moderno, può essere difficile approcciarsi a un film come questo: si tratta infatti di uno dei primi film "sociali", in cui il tema principale è la condanna di uno dei molti problemi della società del tempo, in questo caso le deplorevoli condizioni dei prigionieri nei carceri americani, e in special modo nel sud del paese. Per l'epoca, complice anche il successo enorme del romanzo autobiografico su cui il film si basa, queste tematiche erano sconvolgenti, e non per niente furono argomento di scandalo, capaci di sollevare una maggiore consapevolezza nella popolazione; ma rivisto oggi, l'intensità dell'argomento non sussiste più come allora, sebbene nell'ottica di una più generale critica alle istituzioni non così giuste come si spacciano è ancora tristemente valido. E forse è proprio questo il punto forte del film: nonostante sia molto legato al suo contesto, permane un certo grado di universalità nella morale di fondo, capace di rendere la vicenda appetibile anche per un pubblico moderno.
Il governo dello stato in cui il protagonista era prigioniero prima gli assegna, con la parola d'onore di rimanere ai patti, solo tre mesi di "formale incarcerazione" per lasciarsi tutto alle spalle; ma poi fa marcia indietro, e i tre mesi diventano un anno ai lavori forzati; e poi quell'anno viene allungato a tempo indeterminato, a dispetto degli sforzi di avvocati, amici e parenti. I governi di oggi, più di ottant'anni dopo, non mi sembrano poi così diversi da allora.
A rafforzare tale impressione contribuisce anche l'interpretazione di Paul Muni, star in ascesa di quel tempo, sentita e realistica senza mai essere troppo enfatica. Riesce difficile credere che, nello stesso anno, sia apparso in un ruolo totalmente opposto in "Scarface", al punto da non somigliare neanche a sé stesso. D'altra parte, questo testimonia la sua grande versatilità, e da un valido motivo del perché venisse considerato un fior d'attore. Per il resto, però, non è che ci sia granché da dire: i comprimari fanno il loro lavoro senza distinguersi troppo, e a livello di struttura il film risulta anche un po' bizzarro, saltando di continuo da uno snodo principale della trama a un altro come in un gioco dell'oca, liquidando le parti in mezzo con dei rapidi montaggi. Certo, in tal modo il ritmo si mantiene sobrio e si va sempre dritti al punto, senza tempi morti o lungaggini, ma si ha sempre la costante impressione che manchi qualcosa per rendere tutto completo, in specie per quanto riguarda i rapporti che il protagonista finisce per stringere.
Il rapporto con la famiglia, e in special modo con il fratello prete, all'inizio sembra giocare un ruolo di peso, ma a poco a poco finisce per scomparire del tutto; le due donne che gravitano intorno al protagonista, la prima gelosa ricattatrice e la seconda il classico stereotipo della giovane innamorata, sono pesantemente sottosfruttate e sottosviluppate.
Inoltre da da pensare che un film del genere all'epoca della sua uscita venisse considerato intenso, visto che al giorno d'oggi le condizioni miserevoli che mostra nel corso della storia e le scene di maltrattamento fanno sorridere più che altro. Ma la regia di LeRoy, competente anche se senza guizzi particolari, la forza del tema e la bravura di Muni tengono a galla la vicenda fino al finale, affascinante per la sua ambigua cupezza e per il modo in cui, in fin dei conti, non risolve niente, sebbene soffra di un'esecuzione un po' sbrigativa. Un film importante, senza dubbio, per il caposaldo di un genere che ancora oggi ha una sua attrattiva, ma in retrospettiva con la sua buona dose di difetti; ma per curiosità, o magari per colmare delle lacune di conoscenza del cinema, offre quello che ci si aspetta da un prodotto con la sua età.
Forse un po sopravvalutato ma è comunque un grande film. Forse uno dei primissimi "Jail movie" anche se non lo è in senso stretto. E' una storia di un uomo comune che dopo aver servito la patria in guerra, in un modo o nell'altro si ritrova sempre a fuggire dalla legge, anche per colpe non sue. In un certo senso qui si rivede una certa critica al sistema giudiziario americano, un po come in molti film del periodo. La parte migliore è di gran lunga quella ambientata nel luogo dei lavori forzati, tra le sequenze più crude del periodo possiamo sicuramente inserire queste. Successivamente tutto il film si trascina tra fughe e ricatture, col protagonista che sembra non essere mai favorito dalla sorte. Ci sono delle ottime sequenze, girate divinamente, basti pensare alla prima fuga, stracolma di suspense, in particolare la parte in cui si nasconde in acqua, è un gioiellino, diverse carrellate, specie nel dormitorio della chain gang in cui si mostrano le condizioni in cui si trovano i detenuti e la fantastica scena finale, forse la vera perla del film. Immenso Paul Muni, attore sottovalutatissimo e poco ricordato, anche se questa non è la sua intepretazione che preferisco, di gran lunga meglio in "Scarface", ma comunque caratterizza benissimo il suo personaggio e riesce a creare una certa simpatia nello spettatore, nonostante gli alti e bassi del suo comportamento.
Dare 9 a bizzeffe mi sembra un po esagerato ma ci sta di mettere votoni quando un prodotto ha piu di 80 anni. Il Paul Muni di Scarface qui da un altra ottima prova. Di jail-movie ha ben poco perchè mi pare piu un film di denuncia sociale, dove un uomo onesto viene trasformato in un delinquente in una sorta di vendetta di coloro che ci comandano. Il buco, fuga da alcatraz, fuga da mezzanotte e rivolta al blocco 11 sono jail movie che mi sembrano totalmente diversi da questo anche sul lato del messaggio. Il finale alza notevolmente il voto e siccome reputo che il doppiaggio sia relativamente al passo di quei tempi, ovvero un po scarso, mi vedrò questa pellicola in originale
solo cosi' pochi voti?uno dei primi film(se non il primo)di genere carcerario.grandissima prova di muni,uno dei migliori di sempre,un film duro,scioccante e purtroppo ancora attuale su un sistema giudiziario a dir poco paradossale.l ultima sequenza entra di diritto nella storia del cinema. straconsigliato.
Stratosferica prova di Paul Muni in uno dei capolavori del jail-movie, diretto con maestria da LeRoy. Sicuramente uno dei film più coraggiosi e belli degli annì30, lucido atto di accusa contro le nefandezze del sistema giudiziario.
Grande film, uno dei migliori che tratta questo tema. Le scene nel carcere sono dure e drammatiche, ma spettacolari e dirette con maestria da LeRoy che gira senza sbavature. Una storia di denuncia interpretata da un fantastico Paul Muni, una prova davvero significativa e possente. Inutile dire che è da vedere.
Seconda opera di Marvin LeRoy dopo l' esordio con "Piccolo Cesare", e direttamente da "Scarface" di Hawks (che per inciso è molto più semplice ma geniale rispetto quello di De Palma, mi scusino lo dovevo fare), un personaggio sempre interpretato da Paul Muni ma dalle caratteristiche diametralmente opposte. Il ponte come simbolo del sogno americano in un Paese piegato dalla Grande Crisi, e un simbolo di evasione e di collegamento tra una realtà precaria -troppo stretta per un cittadino innocente- e la possibità di fuggirne. E' la storia di un uomo che potrebbe essere il cittadino modello, ma non è solo la storia di un uomo cittadino modello. E' anche una denuncia ai durissimi regimi carcerari di un tempo, ma non è solo una denuncia ai durissimi regimi carcerari di un tempo. E' anche un film che condanna una società che agisce e decide per il singolo individuo, ma non è solo una condanna a una società che agisce per nostro conto; questo film mostra soprattutto come non esistano edifici e regimi "correzionali", come la privazione della libertà non possa cambiare l' indole di una persona, se non in peggio. Proprio in questo senso l' ultimissima immagine -una dissolvenza di un primo piano- sulle parole "Rubo!", alla domanda "di cosa vivi ora?!" mette davvero rabbia. Ci sono ben altre istituzioni, e per fortuna l' Italia ne ha a disposizione, spero vengano sfruttate ancora meglio in futuro. Ma tanto di cappello a lui, Paul Muni, per quel che è a mio parere la più grande interpretazione della storia del cinema; i brividi lungo la schiena. E dato come questa venga sempre e tranquillamente attribuita al Brando de "Il Padrino", non mi sento di dire una cosa azzardata. Uno dei più importanti film di tutti i tempi, e senz' altro il migliore dei film carcerari. Un vero capolavoro.
un uomo la cui più grande aspirazione è vivere in completa libertà si ritrova a trascorrere la vita tra una forma di prigionia e un'altre. Veramente forte il senso di oppressione che ci trasmette il protagonista, costantemente in fuga da un sistema che lo vuole incatenato.
Una feroce denuncia contro il sistema carcerario americano ma non solo. Un atto d'accusa verso quel cosidetto "sogno americano" fatto di catene, non solo materiali attraverso il quale il protagonista (un grandissimo Muni) dovrà subire: lavori poco gratificanti, un matrimonio sotto l'egida del ricatto, un amore disperato e impossibile. Magnifica la scena finale, la scelta dell'oblio come l'unica fuga possibile.
meraviglioso film denuncia sul sistema giudiziario americano e in particolare sulle condizioni di vita dei carcerati.
come nel più famoso "scarface", paul muni sfodera una grande interpretazione anche se come accade spesso nei film datati il doppiaggio è da soap opera.
E' indubbiamente il miglior jail-movie della storia, uno script che a Hollywood doveva constare quantomeno l'iscrizione del regista nelle black list del senatore McCarthy, ma evidentemente (buon per lui) non è stato così. Ferocissimo atto d'accusa alla giustizia e all'estabilishment americano, che condanna un uomo a scontare la pena di una vita per qualcosa che non ha invero commesso. Ma è anche un'opera che paga il debito verso una cultura americana che recide il giustizialismo (apparentemente) per offrire al "pregiudicato" l'unica via d'accesso alla libertà, la scalata sociale (o il sogno americano). Con la conseguenza che LeRoy usa questo "compromesso" per liberarsene a suo modo, e sfruttarlo ancora di piu' nelle vesti di censore liberal(e) dell'ingiustizia legislativa. Opera straordinaria anche in funzione della realtà sociale di cui parla, Paul Muni (eccezionale) sembra uscito dalle pagine di "this land is my land" di Woody Guthrie, e dell'america di Steinbeck. Sconvolgenti le immagini dei detenuti in catene che marciano verso un'(in)esistenza sempre piu' dura, e memorabile la mdp che proietta nel volto di Muni tutta la ribellione, la rabbia, la disperazione di un'appello sordo alla clemenza. Particolarmente "hollywoodiano", ma in linea con i tempi, la figura di una donna fatale e di facili costumi che arriva a tradire il suo amante, e a consegnarlo alla polizia. Sembra un clichè dell'epoca, magari misogino, ma non è casuale: i maggiori gangsters di Chicago furono all'epoca denunciati dalle loro amanti, in cambio di compensi e pubblicità. Serrato vigoroso e lucido quanto una requisitoria del nostro Beccaria, esprime bene tutto il malessere del protagonista, fino a quello sconvolgente finale dove la "giustizia si priva della sua ragione di vita, e invita chi la subisce a disconoscere l'onesta".