Un ex marine viene coinvolto suo malgrado nel tentativo di stabilirsi su di un pianeta particolarmente ricco di specie vegetali ed animali e di sfruttarne le grandi risorse: quando però la razza indigena si ribellerà a questo colonialismo cosmico, l’uomo passerà dalla loro parte per guidarne la rivolta.
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Film d'eccezione, che si avvantaggia di 3 motivi di valore, i quali si potenziano virtuosamente l'un l'altro.
Il primo è il dato tecnico: semplicemente dopo Avatar il 3D potrà diventare gradualmente, come il colore, uno standard sdoganato presso il grande pubblico, una potenziale rivoluzione e non più un capriccio per pochi curiosi. Avatar segna convincentemente un prima e un dopo per questa tecnologia, e se questo è vero, allora il prima e il dopo li segna come spartiacque per la storia del cinema, inevitabilmente.
Il secondo è il dato stilistico-contenutistico. Avatar è perfetto compendio del cinema commerciale statunitense degli anni 2000. Punto d'incontro tra classicismo e post-modernità, almeno nella capacità di svariare con assoluta nonchalanche tra generi diversi quali il western di base, il fantasy, il melò, la fantascienza e il film di guerra, e poi nel citazionismo che è post-moderno nel senso di un film originale composto in larghissima parte di elementi rubati altrove e rimiscelati, non in modo autoriale ovviamente (nel senso di elitario), ma sempre mantenendo il target del prodotto che punta al record di incassi. Tematicamente (questo è il punto forte): Riposa sull'archetipo dell'eroe che RISCOPRE UNA IDENTITà PIù AUTENTICA A CONTATTO CON UNA CIVILTà PIù VERA. Il processo è graduale, ben descritto, e sommamente liberatorio, per lui, per il popolo che ha scelto e lo ha scelto, e per il pubblico insieme a lui. Una catarsi cui necessariamente corrisponde il lieto fine. I numi tutelari sono 2: Malik e soprattutto Miyazaki (grandi i parallelismi e gli omaggi al genio dell'anime giapponese, da Laputa fin soprattutto alla Principessa Mononoke!). Quelli a Malik forse risulteranno più evidenti, soprattutto per la Pocahontas di "The new world". Ma non scordiamoci che qui succede l'inverso: la Pocahontas di Malik finisce alienata in Europa, estirpata al proprio mondo di armonia tra Cultura e Natura, questa qui invece attira a sé lo straniero che diventa nuovo nel nuovo mondo di Pandora. Che il tema centrale archetipico sia l'approdo a un nuovo sè e a una nuova identità è sottolineato sin dal titolo (significativamente Avatar e non - per di re- Pandora o "i na'vi"). Ed è benissimo accompagnato dal variare cromatico dai toni freddi delle ambientazioni umane a quelle ricche di luci colori e fosforescenze dell'incantevole Pandora. (c'è pure, per i cinefili, un rimando a Cronenberg, anche se di tutt'altro segno rispetto al regista canadese, nell'uso di estremità corporee nervose contenute nelle chiome che mettono in contatto esseri viventi, compresi gli alberi).
Il terzo dato di valore è socio-culturale Filosoficamente, in questo blockbuster assistiamo all'uomo che viene definito ALIENO, e al protagonista di cui infine viene celebrato il definitivo abbandono del proprio involucro corporeo umano, mentre si sveglia in primissimo piano il suo sguardo di na'vi (non più avatar dunque, ma na'vi in tutto e per tutto). E' un estremizzazione radicale dell'antiwestern alla Balla coi lupi e Piccolo grande uomo: l'antitesi tra Cultura e Natura è arrivata a un tale ultimo stadio di inconciliabilità, da potersi solo sanare in una nuova sintesi che è un ritorno alle origini, rappresentate dalle civiltà primitive che vivono in simbiosi con la Natura. Solo così si può recuperare la sintesi tra Natura e Cultura, impossibile ormai per la degradazione cui è giunta la civiltà occidentale. Questo film è significativo perché, anziché declinare, ultimo venuto, la decadenza della nostra civiltà, ne propone in termini fantastici e allegorici l'unica possibile soluzione: il declino totale e la rinascita sotto forma di un ritorno alle origini. Sotto l'ottimismo si cela dunque un irrimediabile pessimismo, perché ciò non è ovviamente possibile se non in forma di favola. Storicamente, notevolissimo il film, perché porta le stimmate di una critica esplicita e totale alla politica estera USA (evidenti i rimandi alle guerre al terrorismo per l'acquisizione di una risorsa del sottosuolo). La nostra civiltà non vede alla Natura che come una risorsa da sfruttare. Solo male ne potrà discendere. Quale male? Una perpetua definitiva e inconsapevole CACCIATA DALL'EDEN. Ma storicamente il film si muove su un piano persino più universale del contesto odierno e delle critiche alla politica estera USA. Infatti può essere letto, funziona, come una critica all'attitudine imperialistico-colonialistica della civiltà occidentale tutta, dalla conquista delle Americhe in poi. Evidentemente si comprende come la politica estera odierna USA non sia che la fase odierna di qualcosa che viene prima degli USA e che , negli USA, si manifesta già con i genocidi dei nativi americani. Le modalità con cui si procede nel film alla brutale aggressione ai na'vi porta poi purtroppo i segni di un altro genocidio attuale, anche se poco noto: quello degli indios dell'Amazzonia (sul quale si veda, al cinema, il film Birdwatchers - la terra degli uomini rossi, di Marco Bechis).