Recensione zero in condotta regia di Jean Vigo Francia 1933
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Recensione zero in condotta (1933)

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locandina del film ZERO IN CONDOTTA

Immagine tratta dal film ZERO IN CONDOTTA

Immagine tratta dal film ZERO IN CONDOTTA

Immagine tratta dal film ZERO IN CONDOTTA

Immagine tratta dal film ZERO IN CONDOTTA
 

Su Jean Vigo Francois Truffaut scriveva "egli evita i trabocchetti dell'Estetismo e del Realismo".
Onestamente, forse non si può sostenere la condivisibilità di questa teoria anche oggi, a quasi 80 (!!!) anni di distanza dall'uscita del suo ultimo film, il celeberrimo "L'Atalante".
Jean Vigo è stato l'"Enfant terrible" del Cinema Francese, e uno dei massimi innovatori della storia del Cinema di tutti i tempi, per quanto la sua esistenza sia stata alquanto breve (ha girato in giovane età quattro film, di cui un solo lungometraggio cfr. "l'Atalante").
Figlio di un anarchico rinchiuso spesso in prigione per problemi con la giustizia, Vigo ha improntato nel cinema una "nuova fase", riuscendo ad esplorare nuovi metodi espressivi grazie al suo talento visivo (e visionario) ma anche approntan-do una decisiva Rivoluzione del Linguaggio Cinematografico all'interno di schemi già consolidati (L'avanguardia in tutte le sue forme, le tecniche del cinema muto, l'espressionismo e soprattutto il surrealismo).
In un certo senso, è stato un Figlio dei tempi in cui ha vissuto.
"Zero in condotta", unanimemente considerato un "capolavoro di comicità acre e umorismo graffiante" è un film che può sconcertare: non è infatti abbastanza "realistico" per predisporre lo spettatore a empatizzare con la storia, nè sufficientemente "surrealista" per entrare in sintonia con una certa decodificazione simbolica. Anzi, la presenza, pur vaga e mai ridondante, del Surrealismo (come il disegno che prende varie forme, e si anima come un cartoon o un fumetto "vivente") è indisponente, e altresì (soprattutto per gli spettatori di oggi) irritante.

Girato in un solo mese e fotografato splendidamente da Boris Kaufman (fratello del celebre Dziga Vartov) "Zero in condotta" racconta la vicenda di alcuni studenti di un collegio, ribelli alle regole e al rigore dei sorveglianti adulti, chiamati ironicamente "Bec-de-gaz" e "Pete-sec", "colpevoli" soltanto di reclamare una libertà espressiva e soprattutto fisica tipica di quel mondo dell'infanzia o della pre-adolescenza che all'apparato istituzionale è negato.
Non crediate di trovarvi di fronte a un tradizionale film sulla Repressione del Sistema: "Zero in condotta" è, oltre che un film divertente e quasi goliardico, un'opera "politica" nel senso più anti-ideologico (anarchico) del termine, una beffa al Potere consolidato attraverso le istituzioni. Pierre Bost lo cita come "film dal tono scanzonato e ironico, un po' acre, commosso e sarcastico, un riso franco e subito represso".

La sperimentazione di Vigo provoca ancora, a distanza di tanti decenni, una certa Reazione al qualunquismo imperante sociale e tecnico delle riprese: non a caso, il modo di girare sembra ristabilire da una parte un contatto diretto con la tecnica del cinema Muto, dall'altra approntare al surrealismo o a Murnau, e nondimeno collocarsi come una radicale risposta europea al cinema di Tod Browning, che gli è affine soprattutto per l'audacia delle scelte stilistiche e per la pecularietà fisiognomica dei personaggi: su tutti, il rettore tronfio e saccente impersonato da un nano "vero".

Diviso in diversi episodi che raccontano l'escalation dei ragazzi e la ribellione verso le punizioni e le privazioni cui sono sottoposti all'interno dell'Istituto ("Diavoli in collegio", "Complotto di ragazzi", "Caussant dal suo raccomandato", "E Colin da Mamma Fagiolo sua madre", "La mattina dopo, complice dei quattro la stanchezza") "Zero in condotta" stupisce per la sua ricchezza espressiva, a tratti singolarmente metaforica, indubbiamente influenzata dalle vicissitudini del padre di Vigo, e da una forte propensione "anarchica" che trova il culmine nelle sequenze della Battaglia di cuscini e nella Rappresaglia finale, quando i collegiali in rivolta rovinano la festa dei notabili, costringendo il governatore e il (di)rettore del Collegio a rifiugiarsi al chiuso per difendersi.
E' una sequenza emblematica dello spirito nichilista e tragressivo di Vigo: fiero oppositore di ogni forma di Potere, ne fa una pantonima, utilizzando prima la parodia dei singoli personaggi e, successivamente, mettendoli definitivamente alla berlina, vinti dalla loro stessa sconfitta educativa e coercitiva.
I ragazzini che fumano sigari, che scambiano stecche di cioccolato, che inscenano una protesta contro il cibo imposto ("basta coi fagioli, non li vogliamo più"), che mimano gesti e provocazioni con l'aiuto del nuovo sorvegliante, il bonario Huguet (in fondo il personaggio più affine a Vigo) dichiarano apertamente il loro diritto a difendere l'età della spensieratezza, del gioco, della burla anche fine a se stessa.

Il film di Tati, anzichè rappresentare una dura forma di Realismo, mette a nudo - quasi incentivandola - la Ribellione deiùragazzi, tanto che è difficile credere che siano "vittime di un sistema repressivo" e non (più specificatamente) abili a proteggersi e sconfiggere eventuali ritorsioni ai loro danni.

I movimenti di macchina risaltano la "fisicità" dei ragazzini, corpi che cercano una vitalità fisica ed espressiva, in un linguaggio che fa riferimento alle avanguardie dei primordi del Cinema, ai fratelli Lumiere, e a tutto ciò che riguarda lo spostamento progressivo del soggetto in relazione alla statica rappresentazione della macchina da presa.

Tutto sommato, a voler ritenere indicativo il parere di Truffaut, potrebbe dirsi che forse manca proprio quella "via alternativa al Realismo" , e forse un'eccesso estetico che sorge proprio allo scopo di sconfiggere i clichè della "presa diretta", della funzione coinvolgente dello spettatore alla storia.

Meno astruso alle regole e ai manierismi delle Avanguardie, Pagnol dimostrò di aver assimilato la lezione di Vigo, ma in una forma espressiva più consona alle aspettative del grosso pubblico.

"Zero in condotta" fu clamorosamente vietato dalla censura francese fino al 1945, ed è ancora un film che destabilizza, sorprende, spesso infastidisce.
E' difficile credere che esista ancora un cinema in grado di provocare simili sensazioni, a meno che non si faccia riferimento a Lynch o ai discussi Straub e Huillet o De Oliveira.

In un certo senso, "Zero in condotta" ci riporta con asettica immortalità alla funzione sperimentale e arcaica del Cinema di un tempo, come il tempo lontano dei ragazzini del film, avversi alle istituzioni e fideisticamente pronti a difendere la loro libertà".

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Recensione a cura di kowalsky - aggiornata al 03/04/2007

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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