Recensione the exorcism of emily rose regia di Scott Derrickson USA 2005
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Recensione the exorcism of emily rose (2005)

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locandina del film THE EXORCISM OF EMILY ROSE

Immagine tratta dal film THE EXORCISM OF EMILY ROSE

Immagine tratta dal film THE EXORCISM OF EMILY ROSE

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Immagine tratta dal film THE EXORCISM OF EMILY ROSE

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Non è solo un horror. Non è solo un thriller. E sarebbe riduttivo definirlo un film "drammatico".

Scott Derrickson punta proprio sulla combinazione di questi tre generi, impreziosita da velleità teologico-filosofiche, per sfornare una pellicola in grado di restituire il brivido, alla Friedkin, dell'esorcismo nudo e crudo, la tensione emotiva che invita a restare seduti sulla poltrona per scoprire come va a finire il processo a padre Moore e l'angoscia per la sorte di Emily Rose, interpretata da una Jennifer Carpenter intensa, perfino straziante.

L'incipit de "L'Esorcismo di Emily Rose", che avvolge l'intrepido spettatore con un urlo riecheggiante nel vuoto di un paesaggio tinto di gelido bianco, fa accapponare la pelle e il pensiero corre subito a William Friedkin; la sensazione, cupa ed eccitante, è che si assisterà a un film ancora più spaventoso de "L'Esorcista".

E invece, dopo la scena introduttiva della visita del medico legale alla defunta Emily Rose, ecco che la tensione si allenta: entrano in scena gli avvocati dell'accusa e della difesa nel processo a padre Moore. Il problema è di quelli insolubili: che ruolo ha avuto il prete esorcista nella morte della ragazza? E' stato lui, con le sue pratiche "medievali" (come sostenuto dall'algido avvocato dell'accusa), a debilitare Emily Rose fino a condurla alla morte, o il rito dell'esorcismo era davvero l'unica speranza di sopravvivenza per la ragazza "indemoniata"? Emily Rose era veramente posseduta o era piuttosto gravemente ammalata, magari epilettica, psicotica o psico-epilettica?

Derrickson sceglie la strada del flashback per mostrare le vicissitudini di Emily, in tutta la loro violenza fisico-emotiva: i vari testimoni al processo, soprattutto medici e familiari, rispondono alle domande dell'accusa e della difesa raccontando il calvario della povera ragazza e le loro parole si accompagnano alle immagini che ricostruiscono, in ordine cronologico, le tappe dell'agonia di Emily Rose.

E' proprio nelle scene in cui si ripercorre la "malattia" della protagonista che ritorna Madama Paura, sotto forma di spasmi terrificanti e improvvisi, espressioni alterate (vere "maschere" terrorizzanti splendidamente disegnate dalla brava Carpenter) e relativi sobbalzi sulla poltrona. Il signor Derrickson, illustre sconosciuto, dimostra di conoscere molto bene i meccanismi della suspense, distillando scaglie di horror sempre efficace e velenoso, perché sostenuto dal pathos; da manuale, ad esempio, il lento e ansiogeno incedere di Emily nell'andito del college, dopo essersi alzata del letto per aver "sentito come un odore di bruciato"...

Menzione doverosa anche per la scena della lezione all'università, nella quale una Emily già atterrita dai sussurri luciferini vede improvvisamente trasformarsi il volto di un anonimo collega di corso seduto affianco a lei: la bocca gli si spalanca e un pianto nero inizia a scendergli copiosamente dalle pupille. Neppure Dario Argento avrebbe trattenuto un (piccolissimo) sussulto.

Di sicuro, per reggere la tensione emotiva (fra una convulsione e un crocifisso capovolto) è necessario tornare, ogni tanto, fra i banchi del tribunale: meglio sentirla raccontare dagli altri, la sofferenza di Emily Rose, che vederla coi nostri occhi.

La sapiente regia, unitamente all'oggettivo interesse di una storia feroce e complessa, consentono a Derrickson di farsi perdonare qualche banalità di troppo sparpagliata qua e là nel copione: per ulteriori informazioni, pregasi analizzare accuratamente la sceneggiatura, macchiata saltuariamente da ingenuità del tipo "Emily era una ragazza così giovane, piena di sogni, si speranze", o "vede ancora l'Uomo Nero, padre Moore? Io gli assomiglio un po'?" (Ethan Thomas, avvocato dell'accusa). Ma si potrebbe citare anche qualche situazione stereotipata, che il regista avrebbe potuto risparmiarci, come quella che incornicia la scena culminante dell'esorcismo di padre Moore nell' imprevedibile contesto (!!) di una notte buia e tempestosa...
Ottime, per contro, le sequenze all'interno della stalla di casa Rose, con tanto di "telecamera impazzita" per rendere l'idea della frenesia e della concitazione di quei terribili attimi, mentre Emily Rose "subisce" il rito dell'"Esorcismo Maggiore". E ottimo, negli stessi fotogrammi, è anche il contrasto chiaro-scuro che adombra il volto di Emily (illuminandole di bianco gli occhi) quando, con voce distorta, pronuncia: "E io sono Lucifero, l'angelo degli Inferi!"

Non mancano dunque i virtuosismi tecnici, in questa pellicola che usa il thriller/dramma per non nauseare con l'horror e l'horror per dare spessore ed espressività al thriller/dramma.

Dulcis in fundo, riconciliante, arriva il messaggio della speranza: la Via Crucis di Emily acquisterà un diverso significato e padre Moore, incriminato per omicidio, con la sua ultima deposizione toccherà tutti, dalla giuria del tribunale agli spettatori in sala, frementi davanti al grande schermo in attesa dello scioglimento finale. Derrickson, guidato dal leitmotiv religioso, si concede un'incursione nei meandri metafisici della rivelazione salvifica. E il nostro spirito è rinfrancato.

Non rinfranca, invece, ricordare che "L'Esorcismo di Emily Rose" si ispira a una storia vera: quella della ragazza tedesca Anneliese Michel, morta nel 1976, all'età di 23 anni, in seguito a una degenerazione progressiva del fisico dovuta, presumibilmente, a "possessione demoniaca".

Molte le discrepanze rispetto al resoconto della vicenda di Anneliese (www.fotofetch.com), ma numerosi anche i punti in comune: nonostante le "licenze poetiche", insomma (non ci risulta che i demoni svegliassero Anneliese-Emily prima, e l'avvocato difensore di padre Moore-Ernst Alt poi, alle 3 di notte in punto, l'"ora del diavolo"; ma possiamo sbagliare noi...), il film funziona. E funziona perché spaventa, appassiona e stimola la riflessione.
Mica poco per una pellicola che, per tematica e "precedenti illustri", si esponeva fortemente al rischio-ciofeca.

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Recensione a cura di Matteo Bordiga - aggiornata al 31/10/2005

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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