Recensione sogni e delitti regia di Woody Allen USA, Gran Bretagna 2007
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Recensione sogni e delitti (2007)

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locandina del film SOGNI E DELITTI

Immagine tratta dal film SOGNI E DELITTI

Immagine tratta dal film SOGNI E DELITTI

Immagine tratta dal film SOGNI E DELITTI

Immagine tratta dal film SOGNI E DELITTI

Immagine tratta dal film SOGNI E DELITTI
 

Il grande Woody ha superato da alcuni anni i settanta: così, la stella "esistenziale" di uno dei più geniali autori del cinema di sempre va inevitabilmente verso l'estinzione.
Fatale, dunque, che il mondo dei suoi pensieri si orienti diversamente, interrogandosi sui più grandi dilemmi dell'esistenza: i perché della vita, l'imprevedibilità della sorte, la cecità del destino e gli abissi del peccato, coi dolorosi sensi di colpa che ne conseguono.

Affrontando questo nuovo corso, il geniale Woody sembra avere scelto come terreno ideale la vecchia Inghilterra, con un proposito che ci è comunque oscuro: forse perché in tema di delitti ha fatto scuola coi suoi maestri del brivido, lasciandogliene un ricordo subliminale? Oppure, fantasticando, perché la natura fondamentalmente ebrea dell'autore voglia tornare più vicino alle radici profonde, appropinquandosi la dipartita? O ancora perché il vecchio continente gli sembra, in una visione metaforica dell'esistenza, più consono ad una storia di declino fatale rispetto alla "ancor giovane" America Yankee?

Quale che sia la risposta, sta di fatto che la vicenda che lega criminalmente i due fratelli di "Sogni e delitti" odora fortemente di tragedia greca o di lettura biblica, del mito rivisitato di Caino e Abele.
Questo nuovo corso "filosofico - morale" del Maestro Woody si era inaugurato con "Match Point", dove erano in ballo il caso e l'impunità per il peccato più grande, continuando con "Scoop", che si apriva a una certa speranza. E sembrerebbe, ora, concludersi con la triste vicenda dei due fratelli omicidi su commissione di uno zio; una storia che, con l'aperto richiamo ai "valori della famiglia" per legittimare un omicidio, va letta assolutamente in chiave di simbolo.
Due le possibili chiavi interpretative: una di lettura universale, fuori del tempo, col respiro di una tragedia shakespeariana; l'altra, sempre fruibile in assoluto, ma più facilmente ricollegabile ad un contesto storico e socio-culturale dei tempi nostri; comunemente condivisa dalla critica la prima, più azzardata ma maggiormente condivisibile la seconda.

Per la prima ci rifaremmo al nome scelto per la barca "Cassandra 's Dream", non a caso titolo inglese del film stesso. L'acquisto del vecchio battello simboleggerebbe il sogno proibito, di due giovani di povera famiglia che mirano spasmodicamente a migliorare la propria esistenza, prendendo il largo come solo i ricchi si permettono; la quale aspirazione viene penalizzata e punita inevitabilmente dal destino, cinico e baro soprattutto coi poveri: arroganti ove pretendano di cambiare casta e condizione, e quindi fatalmente puniti.
Il tutto in un'ottica squisitamente cattolica, che nega invece, ipocritamente, ai ricchi il solo regno dei cieli.
La seconda interpretazione porterebbe a contestualizzare la vicenda, inquadrandola anche come condanna dei moloch nostrani: la logica del capitalismo e la frenesia del consumismo.
Il capitalismo "cattivo" è rappresentato dallo zio straricco, che circuisce i nipoti poveri con la finzione del legame famigliare (come coi giovani neri e ispano-americani: "andate in Iraq, o in Vietnam, per amore della famiglia stelle e strisce!") e del consumismo inutile e superfluo, ben simboleggiato dalla bellissima attricetta, musa ispiratrice di frivolezze, successi effimeri e desideri insani di un benessere rubato a qualsiasi prezzo.
Quasi che l'ebreo e americano Woody Allen, in vista della propria dipartita, arrivasse a condannare l'intero sistema, prendendone coscienza all'ultimo giorno, come tanti peccatori pentiti.

Al di là di questo, una considerazione sul genere: invecchiando, il nostro autore va spostandosi dai toni leggeri della commedia, talora frammista al dramma con ironia, a quelli più pesanti della tragedia.
Caratteristica questa forse peculiare di tutto l'umano, quando perde l'ottimismo speranzoso della giovinezza e la capacità di programmare il futuro.
Sul piano artistico-estetico difficile esprimersi: vero che il racconto risulta un po' verboso, didascalico e troppo cerebrale, per "elargire poesia"; ma possibile anche che la mancata "commozione", che ogni opera artistica sa e dovrebbe dare, è qui sostituita da un livello di tensione spasmodico, non meno convincente, che in realtà "odora" di quello specifico coinvolgimento emotivo del fatto d'arte.

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Recensione a cura di GiorgioVillosio - aggiornata al 20/02/2008

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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