Recensione pietro regia di Daniele Gaglianone Italia 2010
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Recensione pietro (2010)

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locandina del film PIETRO

Immagine tratta dal film PIETRO

Immagine tratta dal film PIETRO

Immagine tratta dal film PIETRO

Immagine tratta dal film PIETRO

Immagine tratta dal film PIETRO
 

"L'epitaffio di un'Italia triste, violenta, arrogante e morta"
Giona Nazzaro, "Film tv"

Il cinema italiano d'autore non è morto, nossignori, non se c'è ancora Daniele Gaglianone (e altri sconosciuti come lui). Ora alla sua terza pellicola, Gaglianone vinse alcuni premi per il suo lungometraggio d'esordio, "I nostri anni" (2001), al Jerusalem Film Festival e al Festival del Cinema Italiano di Villerupt, poi vinse un Sacher d'oro e fu apprezzato al Quinzaine des Réalisateurs e al festival di Cannes.
Nel 2004 invece uscì il suo "Nemmeno il Destino", apprezzato anch'esso e vincitore del Tiger Award al Festival di Rotterdam e di un premio speciale al Festival di Tapei, Taiwan.
"Pietro" (2010), che sarebbe stato difficile realizzare se Gaglianone non avesse avuto come amico il grande produttore Gianluca Arcopinto, ha vinto invece un premio speciale al Festival di Locarno.
Questo regista torinese dimostra di saperci fare con il vero Cinema e il film è come un grido di vendetta che mostra i lati più crudi dell'Italia. Fregandosene completamente dell'effetto sul pubblico, ci parla sinceramente come si farebbe con un amico.

"Pietro" è il film che dimostra che in Italia la dignità e l'onore non sono morti, non ancora. "Pietro" è il film che si alza in piedi e guarda in faccia il nostro paese, costringendoci a chiederci cosa siamo diventati."
Giona Nazzaro, "Film tv"

"Pietro" è un film non di facile acchito ma è quello di cui abbiamo realmente bisogno di questi tempi, qualcosa di diverso nel panorama italiano. Un film che parla di rabbia, un film duro, proprio come il nome del protagonista.
Pietro (Pietro Casella) è un uomo sottomesso e sofferente che, a causa degli atteggiamenti lenti e delle lacune nella sua capacità di ragionare, sembra avere un handicap, ma probabilmente tutto ciò è invece frutto dello shock causato dai suoi tormenti. L'unica sua evasione sembra essere il romanzo "Michele Strogoff" (Jules Verne), che cita molto spesso. Vive nei sobborghi squallidi di Torino insieme al fratello Francis (Francesco Lattarulo), un alcolizzato tossicodipendente che spesso lo umilia e maltratta pur volendogli bene, e qualche volta sono visitati dall'amico spacciatore Nikiniki (Fabrizio Nicastro).
Pietro si mantiene consegnando volantini pubblicitari per strada e viene sfruttato dal padrone che lo paga poco e lo costringe a fare gli straordinari. Sul lavoro si innamora di una ragazza di cui non sapremo il nome e che sarà la causa di una rissa in un bar. Questo episodio scatenerà in lui il senso di ribellione: si vendicherà e sarà anche pronto ad uccidere.

Fin dalle prime scene capiamo che il film è abbastanza violento: siamo in metropolitana e Pietro è in un vagone insieme ad un senzatetto. Entrano dei ragazzi fricchettoni che prima insultano il barbone e poi lo picchiano. Pietro non può fare altro che allontanarsi spaventato e qui notiamo la sua natura remissiva e debole; sarà soltanto verso la fine che dovremo ricrederci. Il monologo conclusivo del protagonista, il quale evoca i bei tempi della Nouvelle Vague (più precisamente "Les quatre-cents coups") sarà quello esplicativo, in una sequenza girata magistralmente e di grande suggestione, come del resto tutta l'opera.

Molto spesso nella pellicola si respira un'aura onirica, molto sperimentale: Gaglianone si serve molto del sonoro, dell'obiettivo offuscato e della telecamera a spalla per poter creare un'atmosfera opprimente che si adatta allo stato d'animo del protagonista. In questi momenti quindi la visione è abbastanza inquietante.
La fotografia di Gherardo Gossi e il montaggio di Enrico Giovannone sono molto professionali, soprattutto Gossi sa veramente come soddisfare le esigenze di Gaglianone e quindi, durante la visione, possiamo notare la sua bravura nei primi piani, nella telecamera a spalla e nei movimenti di macchina. Inoltre la luce non ha sbavature, neanche nei luoghi bui dove tutto sembra brillare ugualmente.
Felici intuizioni attraversano tutto il film, come quella di inquadrare Pietro dietro la cascata di una fontana, dove l'acqua sembra imprigionare il protagonista anche all'aperto.

Pietro Casella si è immedesimato perfettamente in questo personaggio difficilissimo, dalle mille sfaccettature, e pensare che di mestiere fa il comico insieme a Lattarulo e Nicastro (anch'essi molo bravi) nel trio Senso d'oppio.

Le musiche della band Plus, formata da Evandro Fornasier, Walter Magri e Mario Actis, completano il quadro, con i suoni minimali ma molto attenti ad accompagnare bene l'atmosfera creata.

Seppur nella breve durata (un'ora e 22 minuti suddivisi in quindici capitoli) il regista ha saputo amalgamare bene tutto questo. E' un'opera molto personale, forse troppo breve o troppo fuori dagli schemi, ma va bene così.
Gaglianone ha dichiarato di aver avuto bisogno di realizzare questo film, perché è un periodo storico che considera deprimente e aveva necessità di raccontare attraverso le immagini i suoi pensieri (firmando infatti la sceneggiatura). Non voleva risparmiare nulla a questa Italia malridotta, senza futuro e soprattutto che non sa ascoltare.

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Recensione a cura di Freddy Krueger - aggiornata al 03/12/2010 16.09.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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