Recensione passaggio in india regia di David Lean Gran Bretagna 1984
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Recensione passaggio in india (1984)

Voto Visitatori:   7,54 / 10 (13 voti)7,54Grafico
Voto Recensore:   8,00 / 10  8,00
Migliore attrice non protagonista (Peggy Ashcroft)Migliore colonna sonora
VINCITORE DI 2 PREMI OSCAR:
Migliore attrice non protagonista (Peggy Ashcroft), Migliore colonna sonora
Miglior attrice non protagonista (Peggy Ashcroft)Miglior colonna sonora (Maurice Jarre)Miglior film straniero
VINCITORE DI 3 PREMI GOLDEN GLOBE:
Miglior attrice non protagonista (Peggy Ashcroft), Miglior colonna sonora (Maurice Jarre), Miglior film straniero
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locandina del film PASSAGGIO IN INDIA

Immagine tratta dal film PASSAGGIO IN INDIA

Immagine tratta dal film PASSAGGIO IN INDIA

Immagine tratta dal film PASSAGGIO IN INDIA

Immagine tratta dal film PASSAGGIO IN INDIA

Immagine tratta dal film PASSAGGIO IN INDIA
 

"Passaggio in India" ("A passage to India" il titolo originale) è con certezza una tra le opere più celebri e lette di Edward Morgan Forster, scrittore inglese nato a Londra sul finire del diciannovesimo secolo.
Lionel Trilling, stimato critico letterario americano, parlava cosi dello scrittore inglese nel lontano 1943: "Per me E.M. Forster è l'unico romanziere che può esser letto senza sosta e che, dopo ogni lettura, mi da ciò che pochi scrittori sono in grado di darci dopo i nostri primi giorni di lettura, la sensazione di aver imparato qualcosa".

Chi ha letto qualcosa di Forster capirà subito la grandezza di tale autore. Le tematiche affrontate dallo scrittore lungo il corso della sua carriera letteraria sono delicatissime e di grande risonanza. In "Maurice" (opera pubblicata postuma) affiora il tema della omosessualità e del travaglio nella riconciliazione tra classi sociali diverse. In "Passaggio In India" è lampante invece l'inconciliabilità tra due culture profondamente distanti.
Facciamo un piccolo passo indietro per occuparci di quello che veramente ci sta a cuore, ovvero il cinema. In ambito cinematografico appena si pronuncia il nome di Forster automaticamente lo si associa al regista statunitense James Ivory.
Tre adattamenti, che vanno dall'anno 1985 fino al 1991, vedono alcune delle opere di Forster protagoniste della filmografia di Ivory. La prima trasposizione risale al 1985. "Camera con vista" (questa l'opera prima), conseguì un grande successo e vide l'assegnazione di ben tre premi Oscar: Migliore sceneggiatura non originale, Migliore scenografia e Migliori costumi.
Il secondo film venne alla luce due anni più tardi. "Maurice" si basa sul romanzo omonimo di Forster scritto nel 1917 ma uscito postumo nel 1971. Il film riscosse un enorme consenso e vide un allora giovanissimo Hugh Grant cimentarsi nel suo primo vero ruolo da protagonista.
La terza e ultima trasposizione risale al 1991, anno in cui Ivory chiuse la "trilogia" con "Casa Howard". Anch'esso, come "Camera con vista", vinse tre premi Oscar. Da sottolineare l'assegnazione del premio come Miglior attrice protagonista ad Emma Thompson.

Da tutto ciò emerge inevitabilmente un pensiero: raramente il cinema raggiunge la grandezza e l'eleganza della letteratura e dei suoi grandi classici. Si pensi alle innumerevoli trasposizioni dickensiane spesso mal riuscite o a quelle che si rifanno alla letteratura russa. Malgrado gli infiniti e dimostrabili esempi di flop, Ivory è riuscito a cogliere dettagli e sottigliezze insite nella prosa di un autore complesso quale è Forster come pochi sarebbero in grado di fare.

Prima che le opere sopracitate comparissero sugli schermi ad opera di Ivory, vi fu un film nel 1984 che riscosse notevole successo. Stiamo parlando di "Passaggio in India".
Forster, finché rimase in vita, temette che la produzione cinematografica del romanzo trattasse troppo candidamente gli inglesi. Lo scrittore nel libro demitizza il good manner tanto caro ai vittoriani. La sua era una critica feroce al sistema imperialistico inglese e mai egli avrebbe permesso che la sua opera dissacrante si tramutasse in una glorificazione ipocrita della rispettabilità post-vittoriana. David Lean non voltò le spalle al maestro Forster (che morì nel 1970) e diede vita ad una pellicola elegantissima e rispettosa dell'opera madre.
Nei romanzi di Forster regna una condizione in cui il tempo assume un concetto assolutamente indefinito e questo espediente è anche conosciuto con il nome di principio di indeterminazione. Nel film questa tecnica la ritroviamo sorprendentemente rafforzata e questo grazie ad un regista che ha saputo cogliere gli aspetti più importanti dell'artista soprattutto nella loro genuinità.
La poetica di Forster fa grande uso del simbolismo. Con molta probabilità quest'utilizzo fu un tentativo dell'autore di fuggire da una realtà di fatto invivibile. Il suo dissenso sociale raggiunge il culmine nella descrizione di due civiltà che vengono allo scontro e sarà proprio la cultura vittoriana ad uscirne con le ossa rotte.
Lean lavora con grande rispetto per l'autore quasi lo osannasse, Forster non è di certo un artista accessibile a tutti. E' un personaggio contraddittorio, a tratti conservatore ma che mostra grandi segni di rinnovamento e modernità in degli anni indubitabilmente anti-progressisti.

La storia del libro si svolge prevalentemente su suolo indiano. Siamo nel 1920 e due donne aristocratiche inglesi partono per l'India. Una delle due donne, Mrs. Moore, ha laggiù il figlio Ronny che lavora nel settore amministrativo britannico nella città indiana di Chandrapore. L'altra donna, Adela, è la giovane fidanzata di Ronny.
L'India è un mondo che affascina Mrs. Moore, una anziana saggia e sicuramente poco incline al perbenismo vittoriano che la circonda in Inghilterra. Adela è invece ammaliata quanto intimorita dai misteri che avvolgono l'India. All'arrivo l'impatto con la colonia presidiata dagli altri britannici non è delle più facili. Il loro comportamento appare agli occhi degli altri strano e singolare. Gli inglesi colonizzatori hanno mantenuto quel decoro formale tipico della società inglese. Soggetti altezzosi e donne da salotto scrutano le due "straniere" con fare ironico. Una sera però, durante una passeggiata, Mrs. Moore incontra il dottor Aziz, un vedovo indiano con due bambini a carico. Sin da subito si instaura un legame di reciproca fiducia e stima, un rapporto che trascende qualsiasi tipo di barriera razziale imposta dall'ideologia imperialista inglese.
Mentre Mrs. Moore confida al dottore di voler conoscere profondamente la cultura autentica dell'India, Adela rompe il fidanzamento con Ronny e approccia un sentimento di simpatia verso Fielding, amico del dottor Aziz nonché un inglese anti-conformista, aperto verso la cultura indiana.
Per compiacere le due donne, Aziz organizza una gita alle caverne di Marabar. Qui,il simbolismo che avevamo accennato in precedenza raggiunge il culmine della poetica forsteriana. Ogni minimo sussulto riecheggia nella grotta come un tuono. Mrs. Moore ne è terrorizzata. Adela nel frattempo si inoltra da sola in una grotta. La giovane donna ne uscirà terrorizzata e addirittura sanguinante. Il dottor Aziz viene accusato dalla stessa Adela. Il dottore indiano è innocente e non si capacita dell'avvenuto.
Intanto la città di Chandrapore è nel pieno di una sollevazione, la tensione è alle stelle e il mondo colonizzatore e quello colonizzato sono inesorabilmente proiettati verso la collisione.

Dopo aver letto il libro e visto il film giungiamo inevitabilmente alla conclusione che i due sono imprescindibili l'uno dall'altro.
Lean si è servito appieno di Forster per la realizzazione di un caposaldo del cinema anglo-sassone,meritatamente vincitori di due premi Oscar (Miglior attrice non protagonista e Miglior colonna sonora). Le musiche sono effettivamente molto suggestive e collimano alla grande con i paesaggi esotici mostrati nel "passaggio". Ci serviamo della creatura di Lean proprio per poter capire meglio un libro maestoso ma di non facile lettura.
"Passaggio In India" è un complesso psicologico di personaggi che sono individualmente legati l'un l'altro dai simboli. Il simbolo ha un potere insormontabile sulla realtà e di questo Dean ne lascia traccia nella sua opera.
Tecnicamente il film è inattaccabile. Gli attori hanno fornito una prova d'eccellenza. L'autenticità dei personaggi è ammirevole: l'interpretazione del dottor Aziz è stupefacente e la giovane protagonista Judy Davis nel ruolo di Adela Quested fornisce una prova da Oscar.
Il maestro David Lean ci lascerà qualche anno dopo la realizzazione di "Passaggio in India". Da suo addio al cinema nel migliore dei modi con una pellicola destinata ad insegnare.

L'arte letteraria vince quasi sempre su quella cinematografica e con amarezza dobbiamo dar adito a tale pensiero. Tuttavia il film di Dean si è rivelato una luce di speranza, come a dire che il cinema sa far bene quasi quanto la letteratura.

"Passaggio In India" è una perla che ci lascia turbati e confusi. Il mistero finale è insolubile e non ci è dato risolverlo perché esso "non è che un termine altisonante per dire pasticcio".

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Recensione a cura di Gianluca Nocini - aggiornata al 20/05/2013 17.58.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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