Recensione l'amico di famiglia regia di Paolo Sorrentino Italia 2006
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Recensione l'amico di famiglia (2006)

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locandina del film L'AMICO DI FAMIGLIA

Immagine tratta dal film L'AMICO DI FAMIGLIA

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Immagine tratta dal film L'AMICO DI FAMIGLIA
 

Presentato a Cannes insieme a "Il Caimano" di Moretti e "Il Regista di matrimoni" di Bellocchio, "l'Amico di Famiglia" è l'ennesima conferma dello straordinario senso cinematografico di Sorrentino, un regista giovane e incredibilmente talentuoso, che supera in bravura molti suoi connazionali più celebri ma decisamente meno meritevoli.

L'amico di famiglia è Geremia de' Geremei, un nome surreale e macchiettistico come il suo personaggio, un sarto-usuraio brutto, sporco ma forse non così cattivo, almeno non più dell'umanità che lo circonda.
Vive in casa con la madre e forse cerca l'amore, purché sia a buon mercato. L'unica persona con la quale sembra ci sia una parvenza di amicizia è Gino, cowboy nostrano dedito alla cultura country. Geremia zompetta attraverso la propria vita fatta di incredibili tirchierie e prestiti a usura con tassi del 100% alle persone del quartiere che si rivolgono a lui per motivi che si rivelano spesso futili, e ama venir definito "cuore d'oro", convinto veramente di essere buono e socialmente utile.
Inaspettatamente però arriva l'amore ed è Rosalba, una ragazza bellissima per la quale il padre Saverio chiede un prestito per far fronte alle spese del matrimonio. L'amore sarà la rovina di Geremia, sempre così accorto e prudente, sempre restio a rischiare alcunché. L'amore lo porterà ad osare...e a fallire.

Più volte paragonato a "Le conseguenze dell'amore" e ingiustamente ritenuto inferiore, "L'amico di famiglia" ha in sé la stessa volontà di mostrare un mondo asettico e privo di umanità, ma mentre Titta di Girolamo (il protagonista di "le conseguenze dell'amore") subisce passivamente un mondo freddo e ostile, limitandosi per lungo tempo ad osservarlo, Geremia questo mondo lo domina e lo riempie di umanità, quella che intorno manca.
E il termine "umanità" non deve essere necessariamente inteso in senso positivo, perché Geremia non ha nulla di positivo: è brutto, tirchio, arido ma simula i sentimenti come nessuno fa intorno a lui. Lui è l'amico che viene in tuo soccorso se hai bisogno e si occupa di te quando non lo fanno i tuoi parenti, i tuoi figli, i tuoi amici. La sua grande loquacità e la sua palesata amicizia, tutto il suo campionario di frasi fatte che sciorina accoratamente, con amabilità, stridono con il mondo asettico che lo circonda, fatto di supermarket enormi e vuoti, cassiere annoiate, strade desolate, alle quali il suo passo claudicante e la sua figura ricurva, che stringe un sacchetto di plastica sotto il cappotto grigio, dà una parvenza di vita e di calore.
Perché Geremia almeno è vivo, in un microcosmo di gente che non sorride mai, che pare morta dentro per le umiliazioni subite, gli amori defunti e la preoccupazione per la vecchiaia che incombe: "questo mondo è fatto per la gente con la pelle liscia". Conoscitore della natura umana, riesce a cogliere nei gesti delle persone che "aiuta" la menzogna e il disagio, perché in un mondo distratto e dai sentimenti atrofizzati presta attenzione al particolare, ennesimo risvolto della sua umanità. Geremia sembra essere l'unico ad aver capito che tutti sono infelici e che la vita è sostanzialmente una fregatura; per questo è il meno infelice di tutti.

Ovvio, qualche cosa manca: nemmeno lui è immune al fascino della "felicità" e della bellezza, quella bellezza e grazia che ricerca nei gesti delle pallavoliste che giocano nel cortile o nei volti delle bellissime ragazze che incontra e ammira, che sembrano appartenere a mondi lontanissimi.
Unico simbolo d'amore e di fiducia è la madre, un'enorme matrona perennemente sdraiata sul letto a guardar documentari nella penombra, circondata da una raggiera di crocifissi, con la quale Geremia ha un rapporto morboso e che lo instrada continuamente alla prudenza, perché "tuo padre è uno che può osare, tu no". Un padre che l'abbandonò all'età di 9 anni e di cui conserva la foto sul comò, il padre (anche lui usuraio) che l'ha sempre trattato come se non esistesse ma che per lui è rimasto un irraggiungibile mito, la figura dell'uomo che ha saputo osare e affrancarsi. Al contrario la forza di Geremia è la consapevolezza del suo limite ma improvvisamente, illuso e disilluso dall'amore (o più precisamente dalla speranza dell'amore), scopre che in realtà questo limite non l'ha mai conosciuto.
Alla fine, anche dopo l'ennesima delusione, continuerà la sua vita esattamente come prima, segno che più di altri è in grado di accettare gli scherzi del destino.

Sorrentino è bravissimo nel dipingere il personaggio di Geremia e a farlo stridere con ciò che lo circonda; l'unico luogo in cui è perfettamente integrato è la casa lercia e buia, che comunque porta un'impronta umana. Tutto ciò che è fuori, a partire dalla stessa sartoria di cui è padrone, ha un ordine talmente geometrico da essere surreale. La sua figura vive in perenne contrasto e assurdamente è l'unica ad aver compreso quel mondo così distante.
Ma se il mondo è asettico la regia invece è barocca e meravigliosa, a tratti coloratissima e viene da associarla, per cromie e simmetrie, al cinema di Peter Greenaway. Un capolavoro di virtuosismo dove anche ciò che è brutto e squallido acquista fascino.
Sorrentino dedica la stessa attenzione sia al bellissimo viso di Rosalba che a quello sgraziato di Geremia, donandogli un carisma impensabile. Da vero cineasta, ci parla con le immagini ed è lì che cogliamo l'essenza della storia che ci vuole raccontare; è attraverso la scena in cui Geremia dorme specularmente ad una bellissima ragazza che associamo le figure a quelle della bella e la bestia e percepiamo la distanza tra due mondi che probabilmente, se si toccheranno, sarà solo in sogno.
Tutti i personaggi sono costruiti, più che attraverso le loro parole, attraverso le loro espressioni e i loro gesti. Il mondo in cui si muovono è rappresentato da strutture squadrate che sembrano inaccessibili, quasi ostili. I momenti più significativi sono quelli in cui Sorrentino ci guida ad esplorare il mondo che ha creato, forse riprodotto, attraverso l'intensità di uno sguardo o di un urlo di disperazione, attraverso i passi incerti di un cowboy dell'Agropontino, attraverso le mani premute in tasca di una ragazza, il suo volto impaurito mentre le mani di Geremia la frugano alla ricerca di un anello.

"L'amico di famiglia" è un film comico e tragico, pieno di contrasti, che rappresenta un'umanità vuota e incattivita dalla solitudine, che non offre sconti ne consolazioni, ma dice che comunque la tragicità della vita non è altro che una componente della vita stessa.

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Recensione a cura di Kater - aggiornata al 04/12/2006

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