Recensione john rambo regia di Sylvester Stallone USA, Germania 2008
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Recensione john rambo (2008)

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locandina del film JOHN RAMBO

Immagine tratta dal film JOHN RAMBO

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Immagine tratta dal film JOHN RAMBO
 

Quando non è solo la tigre a essere ancora viva... A 61 anni Sylvester Stallone si rimette in gioco e dopo un decoroso sesto e ultimo capitolo dedicato a Rocky Balboa, il pugile italo-americano che nel 1976 gli asfaltò la strada del successo e gli regalò tre Oscar, torna a rivestire coraggiosamente, dribblando il ridicolo, gli iconici panni di Rambo, il guerriero reduce dal Vietnam e babau dell'anima nera di quell'America che non accetta i suoi figli tornati dal fronte, quasi fosse una colpa aver servito la patria e soprattutto non aver avuto la considerazione di morire per essa.

Ora John Rambo trascina la propria esistenza catturando cobra, che poi vende a organizzatori di prove di coraggio, e percorrendo in battello il fiume Salween a scopo pesca e, se occorre, trasporto persone. Il luogo del buon ritiro è la Thailandia settentrionale. Poco distante, al confine tra la Thainlandia e la Birmania, si consuma il genocidio del popolo Karen ad opera del crudele esercito birmano.
John Rambo lascia che gli echi della sofferenza, delle esecuzioni sommarie e degli stupri quotidiani turpe risultato di una guerra giunta ormai al sessantesimo anno di età gli scivolino addosso assieme agli amari ricordi del suo passato di combattente, prima riconosciuto dal Paese e poi utilizzato per missioni dove, se gli fosse accaduto qualcosa, soltanto i suoi genitori avrebbero saputo della sua esistenza.
Nel villaggio dove vive arriva un giorno un gruppo di missionari americani che domandano di lui, della "guida americana del fiume". Il capo spedizione, Michael Bennet, un dottore, gli chiede di accompagnarli sul suo barcone lungo il Salween fino al punto da dove potranno, a piedi, raggiungere le colline dove si rifugiano i Karen e portare loro medicinali, generi di conforto e Bibbie. Dall'ultima volta che si sono avventurati in Birmania i militari hanno minato molti sentieri e quindi la via mare è al momento quella più sicura.
Non se ne parla neanche: Rambo non vuole immischiarsi in queste faccende e fa pesare loro il fatto che non avendo armi difficilmente potrebbero cambiare il corso degli avvenimenti. Ma è solo un cinismo di facciata, in realtà ha paura di dare anche solo la minima chance di riscossa all'imprinting alla guerra che incancrenisce il suo DNA. Piove, una pioggia senza argini che se sommergesse il mondo sarebbe meglio; Sarah, fidanzata di Michael, prova nuovamente a persuadere quell'uomo così silenzioso e sfuggente. "Deve pur credere in qualcuno. Deve ancora importarle di qualcosa".
Piove, ed è una pioggia che scioglie anche le ultime incertezze. Il giorno dopo, i missionari sono sul fiume. Rambo, a poppa, manovra senza proferire parola. Il suo viso non sembra tradire alcun interesse per quello che sta facendo. Falso: non ha voluto compenso e tutte le fibre del suo essere sono tese a captare il minimo segnale di pericolo, che puntualmente si affaccia a riscuotere il suo tributo. Un battello di pirati birmani li intercetta. Rambo prova a placare gli animi, ma quando il capo di quella banda di tagliagole si accorge che la barca trasporta una donna e le armi puntate dei pirati attendono solo di lordarsi degli schizzi di sangue, accade solo e semplicemente quello che deve accadere.

Stallone regista visualizza con rapide ed efficaci inquadrature il sofferto stato d'animo di Rambo nel prendere, ancora, di nuovo, una decisione che sa essere incontrovertibile per uno come lui. Perché: "La guerra è naturale, è la pace ad essere un evento anomalo. È questa la realtà. Quando vieni spinto a farlo, uccidere è semplice come respirare".

Il guerriero preme per risorgere e quando, a distanza di neanche un paio di settimane, Arthur Marsh, pastore della Chiesa di Cristo in Colorado, lo mette a parte che il gruppo di missionari non ha più fatto ritorno e che, avute informazioni dai guerriglieri Karen e raccolti i fondi necessari, ha ingaggiato un manipolo di mercenari per andare a liberare i suoi uomini dal campo di prigionia birmano, non esita ad accettare di accompagnare quei soldati di ventura lungo il fiume. Ma non è solo l'essere una "fottuta macchina da guerra" a spingerlo a tornare in azione. Quella donna, Sarah, lo ha colpito profondamente con la sua dedizione alla causa, costi quello che costi. Torna ad essere visitato da sentimenti che non provava più da anni, o probabilmente da mai.

Sylvester Stallone si addossa per la prima volta l'onere della regia di uno dei suoi personaggi più amati dal pubblico di tutte le latitudini e, per chiudere degnamente l'affaire Rambo, sceneggia su avvenimenti reali quanto poco conosciuti a livello mediatico e confeziona un film "dell'orrore" di indubbia tenuta spettacolare.

Fotografia sintonizzata sulle frequenze di un incubo ad occhi aperti, raccapriccio e indignazione che squassano le budella, un protagonista in gran forma. Stallone, inequivocabilmente invecchiato, ha una presenza scenica che non si discute, il suo Rambo assume qui stazza e statura di un autentico Golem della guerra. La fulmineità con la quale ammazza i pirati birmani è ancora un assaggio: il ritorno di Rambo si compie nella emozionante e brutale sequenza che vede il reduce trafiggere con frecce scagliate con sovrumana perizia i soldati birmani che stavano per infamarsi con l'ennesimo crimine contro i Karen.

Il guerriero è risorto e non può opporsi al suo destino: Rambo non ha più freni e serrato il dito sul grilletto di una mitragliatrice porge il destro a Stallone per orchestrare un massacro finale che non è blasfemia accostare al Sam Peckinpah de "Il Mucchio Selvaggio".
Archiviato (e non si poteva fare altrimenti) il tono elegiaco che sottolineava il passaggio a miglior vita degli antieroi di quel capolavoro western, il metteur en scène Stallone si abbandona a repentini shock visivi e a una ferocia di messa in scena che lascia attoniti: i soldati birmani cadono come foglie, le teste esplodono, gli arti volano via, il fango si impasta oscenamente con il sangue versato a fiotti.

Alla fine, Sarah e Michael possono riabbracciarsi. Dall'alto, Rambo osserva il suo "capolavoro", suggello di una vita all'insegna delle armi. Il suo volto esprime assoluto non compiacimento. Sarah lo guarda piangendo, lui ricambia lo sguardo e Dio solo sa cosa pensa. Volta le spalle, l'immagine va a sfocare. La parola "uccidi" è stata cancellata dalla sua fronte. Il guerriero ora può riposare in pace e finalmente riprendere, davvero, la strada di casa.

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Recensione a cura di Gianfabio - aggiornata al 29/02/2008

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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