Recensione il mago di oz regia di Victor Fleming USA 1939
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Recensione il mago di oz (1939)

Voto Visitatori:   7,97 / 10 (68 voti)7,97Grafico
Miglior colonna sonoraMiglior canzone (Over The rainbow)
VINCITORE DI 2 PREMI OSCAR:
Miglior colonna sonora, Miglior canzone (Over The rainbow)
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locandina del film IL MAGO DI OZ

Immagine tratta dal film IL MAGO DI OZ

Immagine tratta dal film IL MAGO DI OZ

Immagine tratta dal film IL MAGO DI OZ

Immagine tratta dal film IL MAGO DI OZ

Immagine tratta dal film IL MAGO DI OZ
 

Dorothy (Judy Garland) movimenta l'annoiata esistenza di una fattoria del Kansas, ma nessuno le presta attenzione, e sogna di fuggire.
Quando un ciclone si abbatte sulla sua casa, sradicandola e sollevandola, Dorothy viene colpita alla testa e perde conoscenza. Al risveglio, si ritrova in una terra completamente diversa dal Kansas, fatta di fiori giganti, abitanti in miniatura e streghe cattive. Per tornare a casa, dovrà raggiungere la Città di Smeraldo e chiedere aiuto al potente mago di OZ. Lungo la strada incontra lo Spaventapasseri (Ray Bolger), che desidera un cervello, l'Uomo di Latta (Jack Haley), che necessita di un cuore ed il Leone Codardo (Bert Lahr), che ha bisogno del coraggio. Dorothy convince ciascuno di loro a seguirla, e chiedere al mago ciò di cui hanno bisogno.
Giunti alla Città di Smeraldo, il mago chiede in cambio per le loro richieste la scopa della perfida strega dell'Ovest (Margaret Hamilton), che perseguita Dorothy fin dal suo arrivo a OZ. Invece di continuare a fuggire, i quattro amici devono andare incontro al pericolo per ottenere ciò di cui hanno bisogno.

Nel 1900 L.F. Baum pubblicò il primo di una lunga serie di libri per ragazzi, "The Wonderful Wizard of OZ", ispirato sicuramente dal capolavoro di Lewis Carrol "Alice's Adventures in Wonderland" uscito appena due anni prima. Allo stesso modo, nel 1939 la MGM decise di comprare i diritti del libro di Baum e cavalcare l'onda del successo di "Biancaneve e i sette nani" di Walt Disney, uscito due anni prima, con una costosissima produzione live action: l'adattamento del romanzo di Baum, in forma di musical.

La travagliata storia della produzione è talmente lunga e ricca di aneddoti, reali e leggendari, da aver generato una nutrita bibliografia che di certo testimonia anche l'importanza e la popolarità raggiunta dal film nel corso degli anni.
Lo script venne rivisto più volte, il casting fu faticoso, ci furono diversi cambi alla regia (George Cukor ci rimase per pochi giorni, sufficienti però a modificare decisivamente e definitivamente il look della Garland) e continui incidenti e contrattempi sul set.
"Il Mago di OZ" non è l'opera di un regista, quanto il prodotto degli sforzi congiunti e convulsi di tutte le personalità eminenti della MGM, dal proprietario Louis Meyer fino agli autori della musica ed agli stessi attori. Oggi le dinamiche sono ben diverse anche per i kolossal, e forse non dovrebbe stupire così tanto che, come spesso accade, il caos dietro le quinte abbia portato al capolavoro in scena. Unica notevole traccia della confusione che regnava nella produzione è il riferimento della strega, rimasto nel montaggio definitivo, ad un tranello teso agli eroi di cui poi non c'è menzione: il celebre Jitter Bug, di cui s'è perso il girato ma rimane la colonna sonora, peraltro un numero musicalmente notevolissimo che avrebbe senz'altro aggiunto ritmo alla parte meno brillante del film.

Per il ruolo di Dorothy venne ovviamente considerata Shirley Temple, all'apice del successo, ma fu scartata in favore dell'astro nascente Judy Garland, di sei anni più grande, che conferisce a Dorothy una certa inverosimiglianza che si sposa perfettamente con il tono sognante del film: la Garland aveva ampiamente sviluppato, eppure è vestita (e ragiona) come una asessuata decenne.
Tra i comprimari, solo Bert Lahr fu la prima scelta per il ruolo, segno che il caso spesso aggiusta il tiro delle scelte delle persone e le porta a risultati inattesi. Ray Bolger fu chiamato per interpretare l'Uomo di Latta, ma si impuntò perchè era convinto di dover essere lo Spaventapasseri. Difficile dargli torto, a posteriori. Jack Haley venne chiamato in sostituzione di Buddy Ebsen, avvelenato dalle polveri che erano state usate per il make-up dell'Uomo di Latta, dopo lo scambio di ruoli con Bolger. Da prima scelta per lo Spaventapasseri, Ebsen si ritrovò fuori dal film.
L'attrice Gale Sondergaard fu chiamata per interpretare una Strega dell'Ovest ispirata alla altera ma bella Grimilde di "Biancaneve" ma rifiutò il ruolo quando la produzione decise di imbruttirla ("only bad witches are ugly" dirà a Dorothy la zuccherosa e insopportabile Strega del Nord Glinda). Margaret Hamilton non aveva bisogno di make-up (a parte il verde, s'intende) per dare vita ad un'incarnazione della cattiveria così riuscita che avrebbe fatto paura anche ad Hannibal Lecter.

Il film ripercorre gli eventi principali della storia originale, ma introduce sostanziali modifiche.
A parte tagli consistenti nella trama, che prevedeva altri strani incontri prima dell'arrivo alla città di smeraldo e dopo l'uccisione della strega, che rallentano il libro e avrebbero distrutto la tensione narrativa del film (da cui stava per essere espunta persino "Somewhere Over the Rainbow", con la consueta lungimiranza), la più importante differenza è che nel libro OZ è un posto reale, ancorchè difficilmente raggiungibile, mentre nel film è chiaro che si tratti di uno stravagante sogno di Dorothy: i tre amici, la strega ed il mago hanno le sembianze delle persone con cui Dorothy ha a che fare prima dell'arrivo del ciclone. Di tale corrispondenza non esiste traccia nel libro, si tratta di una felicissima intuizione della sceneggiatura, che riesce a dare maggior coerenza alla trama e coesione tra la parte in Kansas e quella ad OZ, che in tal modo assume tutte le caratteristiche del viaggio come metafora del processo di maturazione che porta Dorothy dal rifiuto iniziale della sua vita, alla consapevolezza che "nessun posto è come casa".

I numeri musicali sono semplicemente straordinari: "Somewhere Over the Rainbow" stilisticamente fa storia a sé, è quasi un corpo estraneo rispetto al resto della colonna sonora. Curiosamente è il pezzo che valse l'Oscar e che si è svincolato negli anni dalla sua origine per diventare uno dei più grandi classici della musica leggera e un inno all'utopia di un mondo migliore (vedere a tal proposito l'uso che Gus Van Sant ne fa nel suo "Milk").
Il resto della colonna sonora è un allegro ed indovinato insieme di filastrocche dalla melodia accattivante e dai testi basati su rime nonsense spesso riuscitissime, un continuo reprise di temi legati a situazioni e personaggi (ad esempio il tema della strega, poche note che si ripetono ogni volta che la strega è nei paraggi, un po' come la marcia imperiale di Darth Vader); il risultato finale segnò definitivamente il passaggio, nella tradizione dei film musicali, dai classici di Fred Astaire ai movimentati e colorati salti di Gene Kelly e della generazione d'oro del musical hollywoodiano: le coreografie de "Il Mago di Oz" si discostano nettamente dagli eleganti volteggi di Ginger e Fred, per adattarsi alle stravaganze psicofisiche dei vari personaggi, dai piccoli Munchkins allo Spaventapasseri di Ray Bolger, che sembra davvero non avere ossa.

Altra trovata geniale del film, l'utilizzo del colore, anzi del Technicolor. Le sequenze in Kansas vennero girate in "sepia tone", per accentuare lo sconsolante grigiore della vita di Dorothy, mentre, una volta ad OZ, il colore invade ogni angolo dello schermo, e tutto viene giocato su colori saturi e intensi: le scarpette rosse, il sentiero dorato, il verde smeraldo della città e quello acido della pelle della strega. Tutto meravigliosamente irreale eppure tutto incredibilmente sensato e coerente.

Non tutto scorre liscio come l'olio, va detto.
Oltre al già citato buco nella trama, la parte tra l'arrivo a OZ e lo scontro finale con la strega soffre di un rallentamento eccessivo. Il secondo numero musicale dedicato al Leone codardo (nonostante alcuni arguti giochi di parole) non ha alcuno scopo, se non quello, si suppone, di far recuperare al Leone qualche minuto, essendo l'ultimo dei tre entrato in scena. Anche il numero musicale che presenta la ridente (un po' troppo) Città di Smeraldo ai campagnoli arrivati da fuori regge poco; forse è il numero più debole in assoluto. Per non parlare del fatto che il centro di bellezza è casualmente e perfettamente attrezzato di impagliatori ed enormi attrezzi per lucidare il metallo...

Esiste un arguto saggio di Salman Rushdie sul film.
Rushdie rivela di essere un appassionato e indica ne "Il Mago di OZ" la sua prima ispirazione letteraria. Lo scrittore analizza con umorismo e acume le varie tematiche, offrendo spunti di riflessione e chiavi di lettura che molto probabilmente non erano nelle intenzioni della produzione, che voleva soltanto surclassare Disney. I temi fondamentali suggeriti da Rushdie sono il tema del viaggio nei suoi estremi, la fuga ed il ritorno, e la crescita dei bambini che devono ad un certo punto della loro vita smettere di affidarsi o aver paura degli adulti, smascherarli e contare sulle proprie forze.
Non c'è dubbio che le riflessioni di Rushdie si adattino perfettamente a quanto mostrato nel film, aggiungendo approfondimento psicologico ad un'opera di puro intrattenimento. D'altra parte, la forza di un capolavoro è anche quella di travalicare i propri limiti e i propri intenti e stimolare il pensiero di chi ne fruisce, allargandone gli orizzonti. Non guasta quindi, oggi, una riflessione sui temi della crescita e del rapporto problematico tra mondo degli adulti e infanzia: anche la stessa opera di Baum è stata oggetto delle più disparate esegesi e strumentalizzata spesso e volentieri con forzate allegorie a sfondo politico e sociale.
Geniale invece la critica alla morale veicolata dal "There's no place like home" che dovrebbe segnare la maturazione di Dorothy che all'inizio del film scappa di casa e alla fine non vede l'ora di tornarci. Chi, si chiede Rushdie, dopo essere stato a OZ, dopo aver trovato il rispetto e l'attenzione tanto desiderati, vorrebbe così tanto tornare a casa, nel Kansas ancora più irreale per quanto vuoto e grigio, reputandolo anche il miglior posto del mondo? Dove Miss Gulch, ovvero la "strega", è viva e vegeta e difficilmente si può far fuori con una secchiata d'acqua?

La forza del film, in fondo, è quella di riuscire davvero a trasportare lo spettatore in un altro mondo, irreale ma familiare; un film di cui si può godere la storia, la complessità realizzativa, i numeri musicali. Non invecchia col tempo, nè con l'età dello spettatore.
Il Mago di OZ continua ad affascinare generazioni di persone ed è continuamente citato e omaggiato più o meno esplicitamente in altre opere.
Una curiosa teoria sostiene, ad esempio, che l'album "The Dark Side of The Moon" dei Pink Floyd possa essere utilizzato come colonna sonora alternativa al film, "sincronizzando" opportunamente i due lavori. Più realisticamente, però, non è difficile, ad esempio, scorgere nei protagonisti di "Star Wars" echi dei personaggi principali de "Il Mago di OZ"; debitori "ufficiali" al film invece spaziano dallo pseudo-seguito prodotto negli anni ottanta dalla Disney Pictures all'episodio della quinta stagione di "Scrubs" ispirato al film, con la tipica geniale ironia della serie, e "Wicked", il romanzo sulla vita della strega dell'Ovest, che getta luce sui trascorsi della strega prima che ad OZ cominciassero a cadere case dal cielo, e che è diventato anche un musical di successo. Ognuna di queste opere deve sicuramente al film molto più di quanto debba al libro, segno che, nonostante la sua importanza, l'originale stavolta deve inchinarsi davanti alla sua immortale riduzione cinematografica.

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Recensione a cura di JackR - aggiornata al 12/02/2009

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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