Recensione good night, and good luck regia di George Clooney USA 2005
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Recensione good night, and good luck (2005)

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locandina del film GOOD NIGHT, AND GOOD LUCK

Immagine tratta dal film GOOD NIGHT, AND GOOD LUCK

Immagine tratta dal film GOOD NIGHT, AND GOOD LUCK

Immagine tratta dal film GOOD NIGHT, AND GOOD LUCK

Immagine tratta dal film GOOD NIGHT, AND GOOD LUCK

Immagine tratta dal film GOOD NIGHT, AND GOOD LUCK

Immagine tratta dal film GOOD NIGHT, AND GOOD LUCK

Immagine tratta dal film GOOD NIGHT, AND GOOD LUCK
 

"La verità è l'unica notizia, il resto è ciarpame" (E. R. Murrow)

Il tema del giornalismo non è certamente nuovo per il cinema, che ci ha offerto esempi memorabili dei contrastanti rapporti tra quarto potere e politica, da "Tutti gli uomini del presidente" a "Insider" passando per decine d'altri film, rivelatori dei sofferenti compromessi etici e deontologici del reporter.

Tema ricorrente e apprezzato anche all'ultimo festival di Venezia, tanto che nell'ambito delle Giornate degli autori (sezione fuori concorso), "Viva Zapatero!" della Guzzanti (il cui sottotitolo"per quel po' di libertà che ci è rimasta" la dice lunga sui toni sarcastici del documentario rivolti alla censura italiana contro la libertà d'informazione e di satira politica), ha ricevuto ben dodici minuti d'applausi, una vera ovazione.

Argomento, questo dell'informazione libera e non asservita, improvvisamente urgente, dunque.

"Good night and good luck" arriva in un momento propizio e riceve consensi dalla critica e applausi dal mondo della stampa.

Il film di Clooney è ben confezionato: ottima sceneggiatura, incentrata sull'onnipresenza di dialoghi fitti e pregnanti, buona capacità registica, fotografia eccellente, musica blues adeguata ai tempi della narrazione, storia importante; il tutto intessuto con stile.

Il taglio documentaristico dato al film dal regista, gli conferisce quel distacco insito nel contesto, ma non lo raggela.
Il film si assapora lentamente e la storia, stringata ed essenziale, non toglie nulla alla fruizione emotiva, malgrado la verbosità e l'intellettualismo ammiccante, oltre ai quali si scorge l'affetto del regista per il tema trattato e per il protagonista. Lo si nota quando con la camera indugia sul volto di Murrow (David Strathairn), ne focalizza lo sguardo, solo apparentemente imperturbabile, per cogliere in esso la passionalità e la dignità dell'uomo prima ancora che del giornalista. Di là dalle parole di Murrow, niente di più esplicito ed esplicativo avrebbe rivelato così efficacemente il dolore, la paura, il coraggio, quanto i prolungati primi piani sul suo sguardo fiero e sofferente. Pertanto, tralasciando le operazioni di marketing che ruotano attorno al lancio del film (la denuncia di un sistema informativo unilaterale; la dedica al padre, per trent'anni anchorman affermato; l'appassionato schieramento politico anti Bush) costruite ad hoc, ma in qualche modo veritiere ed influenti; si ravvisa un cuore, nel lavoro di Clooney.

Non a caso Clooney ha scelto di raccontare la vicenda di Edward Murrow, americano medio, patriota, uomo giusto con un forte senso di responsabilità nei confronti del proprio mestiere di giornalista. Il rispetto per se stesso lo spinge ad opporsi con determinazione e coraggio alla scellerata politica del senatore Joseph McCarthy, all'inizio di quegli anni Cinquanta che hanno segnato una difficile e controversa pagina della storia americana.
Siamo appunto nel periodo del maccartismo, in cui si scatena un'ingiustificata "caccia alle streghe" contro i presunti comunisti, a quel tempo primi nemici degli Usa. Una campagna molto dura, durante la quale ogni cittadino americano rischia di essere inserito nella lista di proscrizione come nemico della patria; una vergognosa propaganda basata sul sospetto e sulla delazione, causa di drammi familiari e di suicidi.

In effetti, il regista guarda al passato con un occhio critico al presente: denuncia il pericolo di un'informazione malsana e scorretta volta ad incutere paure inesistenti nella gente, solo e unicamente allo scopo di strumentalizzarla e poi controllarla (il Patriot act, incombe: ieri i comunisti, oggi il terrorismo).

La vicenda, narrata senza enfasi, si avvale di una fotografia incantevole, grazie al raffinato bianco e nero della fiction, inframmezzato da quello d'epoca dei filmati di repertorio, dove appare il rancoroso ed arrogante senatore Joseph McCarthy, nella parte di se stesso. Clooney lascia l'intero spazio interpretativo allo strepitoso David Strathairn (coppa Volpi come migliore attore maschile al Festival di Venezia), ricavando per se stesso il ruolo secondario del produttore della Cbs Fred Friendly. L'ambiente, collocato nei primi anni Cinquanta americani (gli abiti impeccabili, gli arredi curati nei dettagli, gli atteggiamenti, le voci, le immancabili sigarette sempre accese) ci cala nella fumosa atmosfera dei film dell'epoca.

Clooney non vuole raccontare la storia del maccartismo, questo diventa lo spunto per denunciare un episodio realmente accaduto e troppo presto dimenticato. Ce ne parla con una capacità di sintesi sorprendente, racchiudendo l'intera vicenda nello studio televisivo della CBS e sostenendo la narrazione esclusivamente con la forza della parola. Il discorso conclusivo di Murrow è quanto mai attuale. Il richiamo alla responsabilità etica dell'anchorman e l'augurio che la televisione non diventi solamente "una scatola di fili e valvole" ci fa sorridere con l'amarezza di chi assiste quotidianamente allo scempio della nostra comunicazione televisiva.
Si pensa alle menti sistematicamente obnubilate da rotocalchi, gossip, talk show autoreferenziali e inconcludenti, mascherati da informazione seria e corretta.

Il film scatena un dibattito infinito, confermando l'impegno del regista, che convince per la seconda volta, mostrandosi intelligente, sensibile e coraggioso.
Coraggioso principalmente per due ragioni.
La prima per avere caparbiamente affrontato un tema difficile, riaprendo una pagina poco dignitosa della politica interna statunitense, affrettatamente rimossa.
La seconda per avere scelto un percorso narrativo lontano dai soliti stereotipi cinematografici, riuscendo abilmente a produrre un buon lavoro.
Questo ne determina il merito, ma forse ne costituisce anche il limite. Il film, infatti, non è di facile fruizione per un messaggio così incisivo e urgente. Benché la critica lo abbia osannato, dubito che "Good night and good luck" abbia un forte riscontro di pubblico e questo è un peccato. Peccato davvero.

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Recensione a cura di Pasionaria - aggiornata al 27/09/2005

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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