Recensione dio esiste e vive a bruxelles regia di Jaco van Dormael Belgio, Francia, Lussemburgo 2015
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Recensione dio esiste e vive a bruxelles (2015)

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locandina del film DIO ESISTE E VIVE A BRUXELLES

Immagine tratta dal film DIO ESISTE E VIVE A BRUXELLES

Immagine tratta dal film DIO ESISTE E VIVE A BRUXELLES

Immagine tratta dal film DIO ESISTE E VIVE A BRUXELLES

Immagine tratta dal film DIO ESISTE E VIVE A BRUXELLES

Immagine tratta dal film DIO ESISTE E VIVE A BRUXELLES
 

"Dio esiste e vive a Bruxelles", prodotto da una collaborazione belga, francese e lussemburghese, è una delusione. Avrebbe potuto essere una commedia incalzante, briosa, pungente. Lo è solo a tratti, le idee sono poche e raffazzonate, gli spunti veramente originali si possono contare sulle dita di una mano (quella che danza con Laura Verlinden, per la precisione: ottima trovata proveniente da "Kiss & Cry", un lavoro precedente del regista Jaco Van Dormael).
Al termine della visione (mai espressione fu più azzeccata) si resta con un sapore melenso in bocca, già esasperata dagli sbadigli in sala, invece che dalle risate promesse dal manifesto pubblicitario.

La voce di Ea, la misconosciuta figlia di dio, apre le danze, descrivendo la misera casa in cui vive la divina famiglia: appartamento di tre camere con cucina e lavanderia, senza una porta di entrata e di uscita, in modo che il dio (rigorosamente con la minuscola) sadico e violento, immaginato da Van Dormael e il suo co-sceneggiatore Thomas Gunzig, possa spadroneggiare sui suoi parenti come meglio gli aggrada.
Risalta da subito alle orecchie il dettaglio della lavanderia con un'inquadratura sulla lavatrice, riferimento non casuale perché, grazie a un "miracolo" di Gesù, il suo oblò diviene il portale attraverso cui Ea inizia la sua missione sulla Terra; il dio, interpretato da un cattivissimo Benoit Poelvoorde, rimarrà incastrato nella "trappola per umani" da lui stesso concepita, probabile contrappasso che ripulisce i misfatti architettati a loro danno.

"E se dio fosse un bastardo?" si chiede il regista, infatti ipotizza che tutti i disastri e le sciagure di questo mondo siano scatenati esclusivamente per il divertimento infantile di un dio cinico e carico d'odio, che pagherà per il suo carattere inverecondo appena sceso tra i mortali, riuscendo a farsi picchiare perfino da un sacerdote in odore di santità.
Non basta: la figlia riesce a fermare tutte le guerre tramite un semplice mezzuccio... INACCETTABILE!... è la goccia che fa traboccare il vaso, il padre la cerca per casa brandendo un'ascia e, quando scopre la sua fuga, si decide ad apparire tra le strade della capitale belga per punirla. Così resta a sua volta vittima delle stupide regole che aveva imposto all'umanità, alcune delle quali suonano familiari: il biscotto con la marmellata cade sempre dal lato sbagliato, la fila accanto procede sempre più speditamente...

La trama risulta abbastanza sconclusionata, ma negativo, semmai, resta il processo narrativo per accumulazione e suggestioni.
Van Dormael afferma che "il film è sotto forma di favola", pare al contrario un'accozzaglia di generi, un pot-pourri di fiaba, commedia, storia surreale e onirica dall'afrore troppo dolciastro, che lascia storditi e vagamente nauseati.
A proposito dei sogni, chi cura la messinscena dichiara: "Ho fatto spesso i sogni che si vedono nella sequenza onirica. Invecchiando, sto lavorando molto con i sogni. Vado a letto pensando a una parte specifica del film o a un momento della sceneggiatura, e la mattina dopo mi sveglio con la scena in testa: è un notevole risparmio in termini di fatica".

Le scene comiche hanno poco mordente, come quando l'erotomane trova lavoro come doppiatore di film porno o Catherine Deneuve s'innamora di un gorilla. Più convincenti quelle poetico-simboliche: l'erotomane bambino che sguazza all'interno della buca nella sabbia da lui stesso scavata; le risate muliebri più attraenti, immaginate come una cascata di perline su una scalinata di marmo; la voce rotta di un barbone che suona come gusci di noci schiacciati da trenta omoni seduti allo stesso bancale.

Ampio spazio invece ai temi del mondo femminile, che si prende la rivincita su una tradizione cristiana paternalista e maschilista. Così in un finale pirotecnico sarà la silenziosa moglie di dio ad esprimersi (ipotesi forse mutuata dall'indimenticabile "Dogma"). Mentre l'interpretazione straordinaria di Pili Groyne, la combattiva figlia di dio che è in grado di percepire la musica all'interno di ogni persona, mette in risalto il mondo dell'infanzia (il regista ha probabilmente acquisito la sensibilità che gli permette di mettere in scena personaggi del genere grazie agli spettacoli teatrali per bambini che metteva in scena agli inizi della sua carriera, negli anni '80).

In sostanza un film leggero con spunti particolari che temo non farà la storia del cinema.

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Recensione a cura di Fabio Giagnoni - aggiornata al 13/01/2016 10.03.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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