Recensione cane di paglia regia di Sam Peckinpah USA 1971
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Recensione cane di paglia (1971)

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locandina del film CANE DI PAGLIA

Immagine tratta dal film CANE DI PAGLIA

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Immagine tratta dal film CANE DI PAGLIA

Immagine tratta dal film CANE DI PAGLIA
 

1971, ovvero: quando Dustin Hoffman era (già) il miglior attore americano del mondo, e Sam Peckinpah il più grande autore americano del suo tempo.

A due anni dal capolavoro "Il Mucchio Selvaggio" e dopo lo spartiacque tra gli anni Sessanta e Settanta inaugurato con il bellissimo "La ballata di Cable Hogue", il regista si apprestava a riprendere i suoi temi più cari in un contesto decisamente diverso dai western.
"Cane di Paglia" ("Straw Dogs") è tratto da una novella di Gordon M. Williams, "The Siege of Trencher's Farm", ed è tuttora considerato uno dei più controversi e brutali film sulla violenza umana di sempre.
Anche in questo caso, Peckinpah rielabora la storia facendone una Rappresentazione di un Malessere Sociale che trae origine dagli istinti bestiali della Razza Umana.
Acclamato come un film fortemente innovativo, e al tempo stesso aspramente criticato per il suo spirito apparentemente "reazionario", il film parte come una metafora e finisce per diventare un'aspra requisitoria contro una Modernità che faticosamente desiste ai suoi istinti Primordiali, rappresentando una parabola ben diversa da quella di un Burgess per "L'arancia a orologeria" e dal libero addattamento cinematografico di Kubrick.
Il "branco" che rappresenta il cinema di Peckinpah è inquietante, in quanto irrazionale nel suo dualismo, fortemente repressivo e violento ma altrettanto "debole" nella sua iconoclasta forma di violenza e follia.
Ciò che ancora colpisce del film, filtrato attraverso i parametri tipici di tanti sottogeneri del cinema Americano, è verificare quanto ogni azione porti con sè il "mezzo", sia esso l'uso indistinto delle armi sia il bisogno di stordirsi con degli alcolici, come in una sequenza emblematica e un pò paradossale girata nel bar locale.
Altrettanto paradossalmente, l'azione non si svolge negli Usa, ma in un'Inghilterra sperduta e ostile, al suono delle cornamuse scozzesi.
"Cane di Paglia" è un film che parte da una concezione classica, ma stilisticamente va ben oltre ogni collocazione "di genere": il villaggio della Campagna Inglese sembra per diversi aspetti un nuovo Far West, dove a un solo uomo è affidato il compìto di far rispettare le leggi, come la figura di uno sceriffo texano. Ma per certi versi rilegge la Fantascienza, con quella figura di Straniero (l'Americano) approdato in una comunità ostile dove le sue idee "democratiche" vengono viste come una sorta di Alienante rifugio di un Mondo che non conosce Regole (in questo caso, il professore interpretato da Hoffman si rivela il vero Alieno della vicenda).

"- Perchè quelli ridono sempre?"
"- Ti considerano diverso da loro"

Quindi sfocia nell'horror, seguendo il prevedibile percorso di tutti i classici del genere; è come un lungo viaggio verso l'Inferno che verrà (la stessa frase "sono venuto qui a cercare pace" è complementare e antitetica nel contesto dei modelli correnti). O anche i noir americani, ma con un'impatto e uno stile visionario molto contemporaneo e personale: non per nulla gode, insieme forse al solo "Targets" di Bogdanovich, del più complesso e straniante montaggio del cinema di quegli anni.

La storia la conosciamo tutti: narra la vicenda di un matematico che si trasferisce in Inghilterra per studiare, insieme alla bella moglie (Susan George) e cerca di adattarsi a una Comunità che ben presto rivela la sua ostilità e crudeltà fino ad "alienare" l'uomo in un processo che, da fatalista, diventa drammaticamente e, forse, necessariamente Operativo.

Sam Peckinpah ama sviluppare la vicenda giocando sui contrasti: la sequenza iniziale mostra un girotondo di bambini, immagine rassicurante di purezza morale, mentre già il fotogramma successivo mette in evidenza quei contrasti che sfoceranno, prima o poi, nel dramma: l'uomo qualunque, istruito ma privo di praticità e coraggio, arriva nel paese con la bella moglie, sotto lo sguardo torvo e curioso degli abitanti.
Ben presto il protagonista affronta una comunità di uomini rozzi e di malaffare, di contadini inetti e ignoranti, e soprattutto in un bar che diventa il ritrovo della piccola Comunità, ne viene a scoprire i segreti e le drammatiche realtà: quella del rozzo Charlie, ex spasimante della moglie (che aveva già in passato vissuto nel paesino inglese), di un vecchio ubriacone e della giovanissima figlia, di due fratelli di cui uno schizofrenico ed emarginato da tutti gli altri (probabilmente indicativo per Shyamalan per il Noah di Adrien Brody - cfr. "The Village").
Il suo carattere docile e remissivo, per non dire Pacifista (e qui entra in ballo la funzione "ideologica" del film, che è un'aspetto meno qualunquista e trascurabile di quanto si creda) gli permette di affrontare stoicamente tutte le provocazioni di cui è vittima, ovviamente ignorando (o fingendo di ignorare) quanto siano drammaticamente profetiche e allarmanti per la sua incolumità.
La trasformazione dell'Uomo in un Processo degenerativo è - per quanto cinematograficamente profetizzata - sconvolgente, proprio perchè lontanissima dai parametri e dalle tensioni generate a un certo punto del film.
Pertanto, sembra pertinente e legittimo avanzare delle critiche sul film, in quanto ancor oggi esplora la violenza attraverso un Monolitismo Temporale e Territoriale (la difesa del proprio habitat) non del tutto persuasivo, anzi pesantemente nichilista.
Ma per quanto la Visione di Peckinpah spinga, come del resto il romanzo che l'ha ispirato, ad una misoginia retriva e ad una Rappresentazione del Male un po' qualunquista ed eccessiva (c'è il rischio che i rozzi abitanti del villaggio, nella loro gigioneria, diventino dei cliché) il film resta intenso, sconvolgente, e so- prattutto quasi disincantato nel suo crudo referente anche "politico".

Il protagonista è un Progressista che non accetta alcun conflitto neanche con chi Anima le sue repressioni, che al Reverendo Locale fa presente che "in nessun altro Regno c'è stato uno spargimento di sangue come in quello di Cristo", e che deve venire a patti con la sua impotenza proverbiale (quella di proteggere la moglie, per esempio, la Sua Donna) prima di diventare a sua volta un'assassino efferato per difendere il Diritto Universale a condannare i Processi Sommari, i linciaggi morali, della popolazione.
E' proprio nel tentativo, ultimo e disperato, di autoeleggersi "protettore dei deboli", salvando dalle grinfie della gente un giovane, che egli è costretto a trasformarsi in uno spietato "fuorilegge".
A distanza di tanti anni, viene però da chiedersi se effettivamente la vocazione del professore americano sia espressione di una propria linea difensiva nei confronti degli inermi, oppure diventi un egoistico e sanguinario atto di difesa della proprietà, o entrambi le cose.

Nel bel mezzo del film, una partita di Caccia sfocia nel drammatico Stupro ai danni della consorte, mentre l'Uomo cerca disperatamente di sparare a un uccello: il professore ignora completamente l'accaduto, e anche quando, nel drammatico epilogo, ne viene (in)direttamente al corrente, si comporta come se la cosa non lo riguardasse. La sua meschinità lo rende disgraziatamente già da prima vicino o affine a quegli uomini che cercheranno di minare la sua vita e distruggere la sua dimora.
Non è quindi facile acclamare un film che parte dal presupposto secondo cui anche davanti a certe idealizzazioni culturali, l'Uomo può degenerare nella Violenza fino a diventare Vittima di se stesso e del suo Folle desiderio di competitività con la Specie che cerca a sua volta di combattere.
Ma ciò che rende nonostante tutto magistrale il film è proprio l'impatto "filmico", in cui il Bene e il Male si equivalgono, come nell'incredibile Montaggio del regista quando, nella sequenza al Circolo, la moglie vive in simbiosi con i propri traumi (lo stupro di due uomini avvenuto lo stesso giorno) enfatizzato dal frastuono di alcuni bambini che agitano e fanno suonare all'unisono insopportabili trombette da party.
Allo stesso tempo è facile condannare la Morale di Peckinpah, e proprio nella lunga e scioccante sequenza dello stupro, quando vorrebbe "scandalosamente" superare la violenza e la coercizione e raccontare una forma perversa di dominazione e "piacere".
Nel suo voler essere "sintesi" di ogni cosa, e al tempo stesso raccontare la Faccia Oscura dell'Individualità, quella più brutale e meno imbelle, il film risulta oggi datato, per quanto attualissimo come Specchio di un'Istintualità che vorremmo poter disconoscere.

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Recensione a cura di kowalsky - aggiornata al 17/08/2007

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