Recensione anamorph regia di Henry Miller USA 2007
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Recensione anamorph (2007)

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locandina del film ANAMORPH

Immagine tratta dal film ANAMORPH

Immagine tratta dal film ANAMORPH

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Immagine tratta dal film ANAMORPH
 

Stan Aubray è un detective della polizia di New York che cinque anni prima ha lavorato a un caso che tuttora lo tormenta. La storia all'epoca si concluse con la morte del sospetto, e con quella di una ragazza che Stan conosceva, e per la quale si sente ancora in colpa. Improvvisamente un nuovo caso lo richiama dall'esilio in cui si era rifugiato, dal momento che sembra avere caratteristiche in comune col vecchio fascicolo di cui lui si era occupato. Ma le analogie saranno solo l'inizio dei guai che Stan si troverà di fronte.

Anamorph è esattamente il genere di film che comincia a fare capolino nelle sale d'estate. Quando la gente non ama complicarsi la vita e preferisce delle innocue scemate. O un po' di brividi per contrastare il caldo, oppure semplicemente un film che dimenticherà appena uscito dal cinema.
Ma quello che proprio chiunque non gradisce mai, qualunque sia la stagione in corso, è esser preso per stupido. Passi per la trama di riporto, ma così di riporto che di più non si può. Passi pure per il detective stropicciato dalla vita e dai casi che gliela avvelenano. Ma un intero film in cui non accade praticamente nulla che abbia un senso per tutto il tempo è decisamente troppo.

Stan è un uomo distrutto dal suo lavoro di detective che gli ha avvelenato l'esistenza e dal dubbio di aver ucciso un'innocente e lasciato che una ragazza trovasse la morte per mano del killer che credeva di aver individuato. E fin qui tutto bene, anche se siamo nel regno del già visto, la trama può sempre migliorare.
Un giorno il nostro viene chiamato sul luogo di un crimine, su cui in realtà non avrebbe dovuto lavorare, dal momento che si è ritirato dal servizio e si è dato all'insegnamento. Ma le analogie nella presentazione dei corpi, tra questo nuovo assassino e la sua vecchia conoscenza, inducono il suo capo a richiedere la sua presenza come affiancamento al collega che segue il caso.

I corpi nel nuovo caso, come in parte anche in quello di cinque anni prima, sono composti in pose, e in alcuni casi scomposti e ricomposti successivamente, a formare una scena che si può vedere del tutto solo da una prospettiva specifica. E qua siamo in piena scopiazzatura da mille thriller, che prima di questo ci hanno abituati alle decorazioni e alle ricostruzioni con parti del corpo di poveretti che passavano per caso da quelle parti.
Poi Stan scopre una serie di indizi, il primo dei quali è un quadro, che il rigattiere sotto casa ha trovato davanti alla porta e ha messo in vetrina, e che casualmente riproduce la scena dell'ultimo crimine. Ne aveta abbastanza? Perchè altrimenti si può dire anche che il procacciatore di pezzi d'arte del detective lo porta per caso ad una mostra, in cui lui riconosce la sua poltrona di casa.

Dico sul serio.

Poi, con in mano il nome dell'autrice della mostra e con le sue impronte prese su un'opera, i nostri validi poliziotti risalgono a un indirizzo. Il quale li porta dritti in un magazzino dove ci sono delle belle installazioni e un manichino con su il nome dell'artista.
E a questo punto è chiaro a tutti che la situazione non migliorerà, anzi che può solo peggiorare. Ecco quindi il maniaco telefonare a Stan e dargli un appuntamento. Dove lui andrà da solo.

Ora lo spettatore si trova nella difficile situazione di dover scegliere se alzarsi subito e andare a prendersi un gelato, o infliggersi questa scemenza fino alla fine. Chi si alzerà non avrà perso nulla. Mentre chi resterà avrà modo di porsi alcuni interessanti quesiti. Il primo dei quali riguarda il criterio con il quale Willem Dafoe sceglie le sue interpretazioni. Questa pare assai da vicino il tipo di sceneggiatura scelta col criterio "non mandatemi il copione, basta l'assegno"

Poi lo spettatore che volesse può domandarsi come mai Peter Stormare non imbrocca un film dalla sua pur gigionesca interpretazione di Lou in Constantine.

E, ultimo ma non meno importante come cavolo è stato possibile che una pellicola che ha un potenziale di coinvolgimento inferiore alle risse televisive nel salotto della De Filippi, possa essere distribuita nelle sale. Sarà l'estate. Oppure il fatto che i distributori hanno deciso di adeguare le loro scelte al pubblico cerebroleso da anni di tv spazzatura e di cinepanettoni e cinecocomeri. Peccato che il restante pubblico dotato di cervello, in realtà una bella fetta di audience, non sia affatto contento di queste scelte di distribuzione. Ma forse bisognerebbe andare a gridarlo in tv, dove il restante della popolazione, in pratica i decerebrati e i distributori, passa le sue serate frastornato dalle luci e dalle esposizioni di belle ragazze.

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Recensione a cura di Anna Maria Pelella - aggiornata al 29/06/2009

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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