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Come in "Solo gli amanti sopravvivono" la trama si dipana tra inquadrature, scene accuratamente studiate e calibrate in ogni minimo dettaglio: dalla fotografia, all'ambientazione, alle musiche. Il film procedere tra spostamenti e incontri vagamente surreali. Ne esce fuori un lavoro forse ancor più difficile di altri di Jarmusch e, anche se cattura ed affascina, alla fine resta il sentore che giri un po' a vuoto.
Dei film che ho visto di Jarmusch questo è uno dei più estremi dove il rigore si spinge, appunto, al limite. E' un film veramente controllato al millimetro, ascetico come il suo protagonista. La sceneggiatura procede sempre in sottrazione, portando dalla metropoli madrilena fino ai confini del deserto, giungendo all'astrazione. C'è quasi una cesura completa tra il protagonista e lo spettatore che si manifesta in una ripetitività di incontri e segni con personaggi bizzarri e ben caratterizzati, ma di cui soltanto l'uomo solitario intuisce lo scopo e l'obiettivo, mentre è precluso o ermetico per lo spettatore. Jarmusch è un regista fiero della sua indipendenza e questo suo assalto al bunker dove vive un americano potente, può essere intepretato come l'immaginazione che uccide tutto ciò che è preconfezionato o prestabilito dalle regole del cinema hollywoodiano. Non è un lavoro di facile fruibilità e può essere veramente ostico, ma conferma la coerenza di un regista con una precisa visione del suo modo di fare cinema.
Perché il penultimo film di questo oltremodo superlativo regista non ha trovato una distribuzione italica? Me lo sono chiesto. Ne ho parlato anche con il fruttivendolo e con il cane del vicino ma le risposte ottenute sono state vaghe, si è parlato di problemi economici relativi al distributore e anche di forme minimali rischiose. Fortemente amareggiato mi son steso a terra ascoltando a palla Stuffy Turkey di Thelonious Monk. Dopo una lunga attesa in qualche modo sono riuscito a recuperare questo "nuovo" Jim Jarmusch. E di acqua e urina ne era passato parecchia sotto i ponti.
Jarmusch non mi ha deluso manco questa volta, non che pensi che mi debba deludere per forza ma dovevo iniziare questo periodo con una frase di quelle che fanno molto incipit. Avrei potuto buttar giù anche un "Jarmusch è sempre Jarmusch" o "Jarmusch non perde né il pelo né il vizio". Non lo so, con qualcosa dovevo iniziare. Per la miseria! E quindi Jarmusch non mi ha deluso manco questa volta, non che pensi che mi debba deludere per forza. Che dire? Non si può scrivere molto sulla trama di questo film per non rovinare il piacere della scoperta, giacché il film è un percorso tout court (sto "tout court" lo piazzo ovunque), è un percorso con delle tappe. Un po' come lo sono stati Dead Man e Broken Flowers. E' nel suo dipanarsi così palesemente e allo stesso tempo sottilmente che la storia del prussiano protagonista (nel senso di uomo estremamente disciplinato nonché rigoroso) si concretizza, i vari tasselli pennellano una traccia unitaria. Da osservare a distanza per averne il quadro. Non so bene cosa ho appena scritto ma il tutto nasce anche da qualche recensione letta in rete ove si pensa bene di iniziare a commentare svelando subito cosa fa o chi è il protagonista. Cosa che io qui ovviamente non farò. Però come si fa a recensire un film ove le peculiarità (soprattutto inerenti al protagonista) si svelano piano piano scegliendo di dire subito quello che si palesa nel finale del film? Insomma, ci vorrebbe davvero un po' di controllo a volte nonché rispetto per il giovane spettatore che vuole un filino informarsi senza però rovinarsi il piacere della visione. Può ben donde esser sufficiente menzionare il cast, Tilda Swinton, Gael Garcìa Bernal, John Hurt, Bill Murray, Luis Tosar (Malamadre). Dire che sono diretti con il tocco magico di Jarmusch, qui in trasferta in Spagna. Dire che il film si prende i suoi bei tempi, la qual cosa non può piacere a tutti e che se dovesse nascere l'esigenza di bersi due espressi in tazze separate di gustarseli, sicuri che Jim Jarmusch prepara degli ottimi caffè.
un film con tutti i limiti e i pregi di jarmush. i pregi sono la bravura tecnica, il fascino che riesce a dare alle immagini e l'amore per le situazioni e i dialoghi alla kaurismaki. i limiti invece sono l'incapacità a scrivere una sceneggiatura e in questo film è talmente palese, che alla fine riesce anche ad annoiare, non succede nulla, in pratica per tutto il film. la trama che viene indicata è fuorviante. il film è piuttosto la storia di un nero con la faccia orribile, che gira per l'europa con un bel vestito, che non parla spagnolo, che beve caffe doppio in tazzine separate. insomma più che the limits of control dovrebbe chiamarsi the limits of jarmush.