dies irae regia di Carl Theodor Dreyer Danimarca 1943
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dies irae (1943)

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locandina del film DIES IRAE

Titolo Originale: VREDENS DAG

RegiaCarl Theodor Dreyer

InterpretiThorkild Roose, Lisbeth Movin, Sigrid Neiiendam, Preben Lerdorff Rye, Anna Svierkier, Albert Høeberg, Olaf Ussing

Durata: h 1.33
NazionalitàDanimarca 1943
Generedrammatico
Al cinema nell'Agosto 1943

•  Altri film di Carl Theodor Dreyer

Trama del film Dies irae

Terminati gli studi, il giovane Martino ritorna alla casa paterna in un villaggio della Danimarca: corre l'anno 1632 e tutto il paese è avvolto nella cupa atmosfera della riforma luterana. Martino è figlio di primo letto del giudice e pastore Assalonne Pederson, che, rimasto vedovo, ha sposato la giovane Anna. Martino fa ora la conoscenza della matrigna, che ha sposato suo padre non per amore, ma mossa da un sentimento di riconoscenza: il pastore ha infatti salvato dal rogo sua madre, accusata di stregoneria. Tra la matrigna e il figliastro sorge un amore improvviso, che Merete, la vecchia madre di Assalonne scopre ben presto.

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Voto Visitatori:   9,31 / 10 (31 voti)9,31Grafico
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Voti e commenti su Dies irae, 31 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

Thorondir  @  22/12/2023 12:04:07
   10 / 10
Si fa fatica a trovare le parole per approcciare un capolavoro di tale grandezza: in questa storia di religione, stregoneria (presunta stregoneria), di adulterio dentro le mura di casa, di drammi umani e gelosie ancestrali non c'è solo tutto il cinema di Dreyer passato e futuro ma una presenza costante di quello che Paul Schrader ha definito "trascendente": come una presenza invisibile - ai personaggi quanto allo spettatore - che muove gli eventi, che schiaccia gli esseri umani, sottomettendoli ad un destino a cui sembra impossibile sfuggire. Non c'è un personaggio della vicenda che non sia irrisolto, ambiguo, ingannevole verso gli altri personaggi e verso lo spettatore: una presenza del metafisico che è lì senza dover essere, ineliminabile realtà del mondo e della vita per come intesi da Dreyer. E poi vogliamo parlare della ricercatezza delle immagini: ogni singola inquadratura di questo film - letteralmente, ogni singola inquadratura - potrebbe essere stampata e resa un quadro gotico da appendere in casa. Una potenza visiva/concettuale/evocativa che ha pochi paragoni nella storia della settima arte.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR The Gaunt  @  17/08/2022 18:56:04
   8½ / 10
La religione, il fanatismo e l'intolleranza sono dei temi cardine di Dreyer, già presenti e sviscerati nella Passione di Giovanna D'Arco. E' un libello contro l'odio del diverso e del conformismo, qui incarnato da una comunità chiusa nel suo fanatismo, ben esemplificata dall'atteggiamento scostante della madre del pastore verso la nuora. Essere colpevoli o dichiarasi colpevoli senza una colpa, se non quella di agire fuori da schemi predefiniti o imposti dalla presunta volontà divina. Il film di Dreyer traduce bene la cupezza del contesto e l'atmosfera pesante di caccia alle streghe con una messa in scena rigorosa ed un lavoro ben eseguito sui personaggi. Uno di quei film che non tramonteranno mai.

topsecret  @  08/09/2021 14:07:52
   6 / 10
Sarà pure uno dei massimi esempi di cinema danese, ma visto oggi non si può fare a meno di commiserare un finale così ingenuo e accondiscendente.
Anche la scelta del cast, visivamente, non pare azzeccata: un figlio che sembra anziano tanto quanto la madre (nel 1600 non c'era una grande aspettativa di vita) e pure la sceneggiatura non mi ha convinto più di tanto. Vero è che gli argomenti trattati (rapporti quasi incestuosi tra matrigna e figliastro) appaiono piuttosto audaci per il cinema dell'epoca ed è una delle poche cose che rendono interessante questo DIES IRAE, per quanto mi riguarda, mentre il resto non appare nè originalissimo nè così dinamico da regalare una visione intensa e appagante.
Ovviamente, da apprezzare il comparto tecnico con una regia solida e una fotografia cupa che immortala con precisione ambienti e personaggi.
Non è però un cinema che riesco ad apprezzare pienamente.

Romi  @  22/06/2018 17:35:45
   10 / 10
Film potente, per argomento, immagini e recitazione. Tecnicamente realizzato con quella che, in fotografia, viene chiamata "luce Rembrandt". E' una rflessione fra fede e vita, morale e aspirazioni umane, sull'intolleranza e la superstizione. Il film esprime tutta la sensazione i buio, superstizione e infamia in cui era sprofondata la gente nel Medioevo. Tratto dal dramma del norvegese Hans Wiers Jensen.

ferzbox  @  14/10/2014 17:10:49
   10 / 10
Sono sempre stato tentato di approfondire la filmografia di Carl Theodor Dreyer.
Non ho una grande conoscenza di questo regista; l'unico film che avevo visto prima di "Dies Irae" era stato solo "Vampyr" del 1932,e nonostante l'abbia sempre reputata una pellicola molto evocativa non mi ha mai affascinato moltissimo(ma ho esposto le mie considerazioni nel commento al film).
Oltre a "Vampyr" avevo visto qualche minuto della "Passione di Giovanna D'arco",alcuni anni fa nel cinemino di un'amico...ma nient'altro.
Mi sono voluto avventurare nella visione di "Dies Irae" perchè molto incuriosito dal commento di un'utente letto tempo fa(non ricordo chi fosse);scoprirne la media mi ha incuriosito ancora di più.
Ora questo film è entrato a far parte dei miei gioiellini; sono rimasto letteralmente folgorato.
La pellicola si adagia su pochissime musiche,presenti solo in qualche particolare stacco o nelle inquadrature dedicate ad alcuni scenari...per il resto il film è totalmente privo di musiche(se non per la cantilena della giovane Anna).
Il film lo conpongono i dialoghi ed il carisma dei personaggi.
Tutto si svolge in un piccolo paese della Danimarca durante il periodo della riforma luterana,quando la caccia alle streghe da parte della chiesa era all'ordine del giorno.
La giovane Anna si concede come sposa del pastore Assalone per riconoscenza verso di lui,dato che quest'ultimo aveva salvato dal rogo la madre della giovane.
La location principale(presente per un buon 85% del film) è la casa del pastore dove vive anche la madre Merete,una donna scorbutica ossessionata dalla morbosità del figlio e ostile nei confronti della giovane Anna,che vede peccaminosa e inadeguata per suo figlio.
L'ultimo personaggio principale è il giovane figlio del pastore di ritorno a casa dopo aver terminato il suo seminario formativo.
Tra Martin e Anna nascerà un'evitabile amore che porterà ad una catena di eventi che porteranno lo spettatore a ragionare su come si possa distinguere il bene dal male.
Da una parte si vede la vita clericale e accademica del periodo(con relativa analisi al fenomeno della "caccia alle streghe"),dall'altra si assiste alla prigionia di una giovane Anna,condannata a non poter vivere la propria giovinezza e le proprie emozioni.
Sono innumerevoli le considerazioni che si fanno durante la visione del film,ma vi assicuro che succede più volte di non capire da che parte stare.
La storia d'amore tra Martin e Anna è apparentemente comprensibile,ma più volte viene da rielaborare i propri pensieri; si tratta di un film che fa percepire in modo assolutamente incredibile quanto sia sottile la differenza tra la luce e l'oscurità(e vi assicuro che l'atmosfera religiosa centra fino ad un certo punto).
Gli ultimi 20 minuti mi hanno fatto venire un brivido dietro la schiena,decretando la mestosità di questa opera d'arte.......
Un filmone memorabile che ogni cinefilo che si rispetti dovrebbe guardare almeno una volta nella vita; lo dico con assoluta consapevolezza....
Un capolavoro magnifico.

6 risposte al commento
Ultima risposta 14/10/2014 18.09.19
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Lucignolo90  @  06/11/2013 00:01:15
   9½ / 10
Matura in questo film e nei seguenti "Ordet" e in Gertrud lo stile definitivo che verrà ad assumere il cinema di Dreyer: film girati in interni, a sottolineare l'opprimente e spartano stile di vita che la religione imponeva al tempo della riforma luterana. La natura è immensa, ma è "fuori", è breve svago illusorio; anche una passeggiata nel maggese di un campo provoca smarrimento, e vi è la nebbia che offusca e il vento che tormenta.
La visione antinaturalista che si piega al processo mentale emotivo del regista è il marchio di fabbrica di Dreyer; che riesce a rendere anacronismi come quello della caccia alla strega (pure realmente verificatasi ma in tempi ancor più remoti) sempiterni e la figura della donna oppressa è l'universale ritratto della martire che è presente in gran parte dei suoi film, sia essa condannata ingiustamente a bruciare sul rogo come nella Passione di Giovanna D'Arco e in questo film, abbandonata in Gertrud o gravemente malata in Ordet.
Tecnicamente all'avanguardia nel taglio dell'inquadratura, superbo nei primi piani, intensissimi, si dimostra ben più cinematografico di quanto la messa in scena all'apparenza teatrale potrebbe far supporre; se possibile il regista darà ancor più il meglio di se in Ordet (La Parola), che ho apprezzato anche di più

Invia una mail all'autore del commento luca986  @  12/02/2013 00:57:25
   9 / 10
Magnetico. Il mio primo Dreyer, non sarà certo l'ultimo. attori sensazionali.

Invia una mail all'autore del commento nocturnokarma  @  11/01/2013 14:16:48
   10 / 10
Un'opera dolente e importantissima. Insieme al miglior Bergman uno dei più importanti incontri tra speculazione filosofica, allegoria umana, ambiguità morale e ricerca di Dio mai fatti al cinema.

Il rigoroso, ma mai ricercato o ridondante, stile di Dreyer, spoglia la messa in scena, la recitazione, asciugando qualsiasi enfasi dei dialoghi (praticamente perfetti e mai teatrali ed integrati alla perfezione con l'ambientazione delle vicende, 1623), senza voce fuori campo, ma scavando nei volti e nei gesti di personaggi lontanissimi nel tempo e così vividi. Prigionieri della superstizione, del ricatto religioso di un credo che non ascolta gli uomini (il peccato alla base del Cristianesimo). Ma il film è molto altro ancora: l'ambiguità dei sentimenti, il desiderio di fuga, l'incomprensione.

Al centro il personaggio di Anne. Una delle figure di donna più potenti che abbia mai visto. Contraddittorio, e quindi umano (e non affatto uno stereotipo come si potrebbe banalmente sintetizzare), folgorante ed indimenticabile.

Un film assoluto, sia per credenti che per non credenti. Da vedere con lo spirito (è proprio il caso di dirlo) e la voglia giusta; va gustato e capito, con la stessa reverenza di un profano che si avvicina alla musica classica o al surrealismo.

Un film di domande, e nessuna certezza. Distante anni luce dalla predica, dalla pedanteria di molto cinema d'autore contemporaneo. Da cineteca.

Gruppo COLLABORATORI Compagneros  @  12/06/2012 19:16:52
   8½ / 10
Osannato dalla critica che lo pone tra le migliori pellicole di sempre.
Grande lavoro di Dreyer che riflette su temi molto profondi. Un pezzo di storia del cinema.

pinhead88  @  18/01/2010 20:39:19
   8 / 10
Profondo,duro,severo,melanconico.
una vetta nell'itinerario d Dreyer e nella storia del cinema.perfette le rievocazioni storiche nelle messe in scena e nel risvolto psicologico dei personaggi.ricorrono alcuni temi cari al regista danese già presenti ne "La passione di Giovanna D'arco".

Dr.Orgasmatron  @  14/01/2010 03:00:05
   10 / 10
Ho atteso che la mente fosse fredda, che fossero passati i giorni per assegnare un voto a Dies Irae. Durante la visione non avrei creduto, ma sono "costretto" ad attribuirgli il massimo. E' uno dei film più "alti" che abbia visto, sia di tematica che di stile. Straborda di riflessioni psicologiche e di rievocazioni storiche ed è il top del regista danese con "La passione di Giovanna d'Arco".
"Con Dreyer la più terrificante sequenza musicale della liturgia cristiana diventa un inno alla vita e alla libertà contro il fanatismo, l'intolleranza, la cecità spirituale degli uomini"

Invia una mail all'autore del commento wega  @  21/08/2009 19:45:41
   10 / 10
"Dies Irae" è Carl Theodor Dreyer. Punto. Qui tutte le tematiche del regista si fondono per raggiungere la massima espressione della carriera del regista. Pochissimi personaggi isolati, la famiglia, il conflitto interiore di ognuno dei singoli, la caccia alle streghe, il rogo, il peccato sempre presente nella coscienza dei personaggi del nefasto periodo della Santa Inquisizione, paragonabile, per indecenza, solo all' avvento del nazismo e alla persecuzione degli ebrei. Tragedia sull' ignoranza e sulla superstizione (anche dello spettatore, che arriva ad avere un dubbio, proprio come in "Ordet", e cioè se Anna - che per inciso è sputata alla mia vicina di casa - sia o meno una strega) fondata sull' espiazione del peccato. Difficile provare rabbia davanti a una pellicola come nei primi 33min del "Dies Irae". Tecnicamente eccelso, più profondo (anche di campo) della Passione di Giovanna d' Arco; un classico montaggio alternato, specie nelle sequenze della felice storia d' amore nascente tra Anna e Martin, e la crisi spirituale di Assalon; la classica fotografia di Dreyer funzionale alla drammaturgia del film, sempre più cupa e incombente; e con in movimenti di macchina, Dreyer, era un gigante. Capolavoro, comunque.

bulldog  @  20/07/2009 00:39:34
   8 / 10
Il miglior Dreyer,culto.

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Ultima risposta 11/09/2009 10.28.29
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento emans  @  08/03/2009 09:51:22
   9 / 10
In questo "dies irae" (Gia' sull'importanza del significato del titolo potremmo scriverci un libro) ci sono argomenti essenziali per il cinema di Dreyer,sia del precedente "La passione di Giovanna D'Arco",parlando della caccia alle streghe,che del successivo "Gertrud" dove viene "scannarizzata" una importante figura femminile!
Qui,infatti,il personaggio di Anna appare sullo schermo come un personaggio secondario ma si prende la scena con il passare dei minuti e cambia anche il giudizio dello spettatore...prima disinteressato,poi compassionevole e per finire anche accusatorio!Non si puo' certo parlare di un personaggio positivo...mi chi lo è in questo film?Perfino la donna accusata ingiustamente(?) di stregoneria esprime parole di vendetta prima di essere messa al rogo!
La struttura del film è piuttosto lenta ma vive di sequenze memorabili piene di pathos...dalla terrificante scena del rogo fino alla ellissima scena del funerale...ancora un funerale sara' protagonista indiscusso nel successivo e bellissimo "ordet"!
Da sottolineare anche il montaggio...mentra la moglie e il figlio vivono la loro storia d'amore il padre compie i suoi doveri di uomo di chiesa e sta vicino a un amico in procinto di morire...evidentemente era quella la sua strada e non prendere una moglie cosi giovane...
Lo spettatore neanche si dispiace nel veder tradito il suo amore,era una coppia che stonava!

Splendido

Gruppo COLLABORATORI ULTRAVIOLENCE78  @  10/02/2009 12:50:02
   8 / 10
Un film tanto profondo e intenso quanto pesante, poiché fondato su una struttura narrativa esaperatamente lenta, a sua volta amplificata dalla cifra registica adottata da Carl Theodor Dreyer: il montaggio è ridotto all’osso, mentre prevalgono le inquadrature fisse, nonché movimenti della mdp e carrellate lievi che accompagnano l’azione in tutto il suo “incedere strascicato”.
Si tratta, ad ogni buon conto, di un’opera fondamentale della cinematografia mondiale: una pellicola permeata di esistenzialismo, nella quale si avvertono gli echi “kierkegaardiani” sull’avversione contro l’esiziale e fatuo formalismo ecclesiastico (esemplato da uno dei periodi più bui della storia della Chiesa), che si pone come la negazione del più puro concetto di cristianesimo, basato invece sul personale, interiore e diretto rapporto tra l’io e Dio.
C’è poi molto pessimismo (probabilmente indotto anche dal contesto storico: l’invasione della Danimarca da parte del regime nazista): un pessimismo che “si tocca con mano”, in virtù delle atmosfere scure e dei giochi di ombre sapientemente riprodotti dal regista danese, e che si fa strada con le riflessioni sulla misera esistenza dell’uomo, dove “dietro ogni felicità si nasconde un peccato”. Una esistenza, dunque, ove la gioia sembra essere soltanto un miraggio, come manifesta il contrasto scenico tra il momento –l’unico- in cui Martin e Anne si ritrovano spensierati ad immaginare il loro futuro (nel quale la serenità dei due amanti si riverbera sull’ambiente circostante) e quello successivo che segna l’incipiente rottura tra i due (nel quale, invece, alla minaccia della fine del loro idillio fa da risonanza la rappresentazione di una natura nebbiosa e inquietante); un’esistenza dove la libertà e l’amore vengono surclassati dal senso di colpa e dall’odio.
Il finale è un esempio altissimo di climax emotiva, e costituisce uno dei momenti cinematografici più potenti sull’impotenza del soggetto di fronte all’inoppugnabile e tragico corso degli eventi.

Gruppo COLLABORATORI julian  @  02/09/2008 12:32:29
   7½ / 10
Un film che solleva miriadi di discussioni e riflessioni mentre lo si guarda.
Si può intravedere già uno spiraglio di genio nell'intreccio che c'è tra i quattro personaggi chiave della storia, un indizio di quanto poco sia servito a Dreyer per sfornare una pellicola rimasta nella storia.
L'atmosfera sembra impregnata di un'obsoleta religiosità: non perchè il film sia ambientato nel XVII secolo, ma perchè sembra proprio che il regista abbia voluto mettercela in ogni piccolo particolare, nella purezza dei personaggi ad esempio, nella lentezza delle scene, negli inni.
Eppure è al contrario un film di forte critica verso la superstizione e la cieca fede degli sciocchi.
Gli stessi personaggi non sembrano credibili visti oggi, sono propriamente medievali, eppure danno vita ad uno scandalo, una storia d'amore illecita che tutt'oggi riecheggia in tutta la sua modernità.
Dies Irae è anche un film di streghe, tematica già vista nella Passione di Giovanna d'Arco, ma il regista confonde lo spettatore e lo lascia in dubbio anche dopo la visione se le donne condannate siano colpevoli o no.
Razionalmente si direbbe che le presunte streghe abbiano confessato una colpa non loro, ma Dreyer non fa nulla per dimostrarcelo. Grosso punto interrogativo.
Sono stato tanto tempo a pensare dopo averlo finito, non è affatto facile nè da vedere nè da capire, ero anche in dubbio se fosse opportuno commentarlo.
Un film da prendere con le pinze. Tutto sommato non so se riuscirei a reggere un'ulteriore visione perciò... 7 e mezzo.

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Ultima risposta 10/02/2009 14.39.54
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Tony Ciccione90  @  22/02/2008 15:00:31
   9 / 10
9:un film eccellente, bisogna vederlo. Che sia eccellente è vero, sul "bisogna vederlo" avrei qualche dubbio: io l'ho visto perchè interessato e perchè mi affascinava la trama (e poi Dreyer è stato uno dei più grandi) così come tutte le tematiche perfettamente intrecciate in questo film, ma non mi sentirei mai di consigliarlo ad un amico, anche più vecchio di me :D, a meno che non sia uno che vuole avvicinarsi ad un certo tipo di cinema. Il film è estremamente lento, giocato sugli sguardi profondi dei personaggi. La musica è pressochè assente, eccezion fatta per il suggestivo Dies Irae intonato dai bambini. Nonostante la lentezza si segue facilmente (i problemi avuti durante la visione erano dovuti alla febbre :D ). Mentre guardavo Dies Irae mi chiedevo cosa potesse succederein 30 minuti per stravolgere un equilibrio che era stato più volte evidenziato dal susseguirsi di scene di amore e felicità dei due giovani protagonisti. La fine invece mi ha stupito. Stupefacente.

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Ultima risposta 02/09/2008 12.12.52
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The Monia 84  @  16/02/2008 20:50:54
   10 / 10
Una vetta del mondo del cinema e della cinematografia del regista danese. E' uno studio su come le deformazioni del sentimento religioso e gli equivoci della fede possano portare alla rovina morale e fisica delle persone, in particolare delle donne, che in questo film sono le vere vittime di una società totalmente basata sulla superstizione travestita da religiosità. Movin fornisce un'interpretazione misurata e sensibile e Dreyer dirige con mano esperta inducendo a riflettere.

Crimson  @  13/10/2007 17:16:33
   10 / 10
La potenza di un film. Cupo e angosciante, perennemente basato su nette contrapposizioni: dolore/felicità, peccato/innocenza, accettazione/non accettazione della morte. Personalmente è quest'ultimo scontro esistenziale ad alimentare le mie riflessioni e la mia visione del film. Ambientato nel medioevo, l'età della perdizione per eccellenza, è un film che secondo me và inteso per ogni periodo storico perchè tratta le più profonde riflessioni umane, che non hanno tempo (ciò lo accomuna in parte a 'il settimo sigillo'). Ciò che più mi logora è la non accettazione, dicevo. Alle parole iniziali della strega, che confessa di temere la morte, fanno da contrappunto quelle del pastore, che sostiene di affrontarla, al contrario, con coraggio, perchè 'la morte è l'inizio della vita'. E' questa accettazione? neanche per sogno. La cultura cristiana millenaria nella quale siamo tuttora immersi, parere assolutamente personale e opinabile, spinge alla non accettazione della finitezza. E' qualcosa che si è imposto in modo totalmente differente da ciò che sosteneva il conterraneo di Dreyer, Kierkegaard, ne 'la malattia mortale', parlando di disperazione. Credo che lo stesso Kierkegaard approverebbe un film siffatto, che stigmatizza prepotentemente il senso di sopraffazione che tramite la parola dio si vuol fare di ogni cosa. Nel senso che il mistero della morte vuol essere a tutti i costi spiegato tramite un caprio espiatorio: in questo caso la strega. E' il modo differente di intendere il peccato. La madre e il pastore lo vivono anche se in modo apparentemente differente nella stessa brutale sopraffazione morale, della morale che tanto rivendicano a piè mani in nome di un dio superiore. Entrambi commettono omicidio (morale) ritenendolo giustificato da una legge divina, che non è altro che il prodotto del processo di non accettazione che cercavo in modo grezzo e del tutto personale di tracciare pocanzi.
E' persino irritante la figura di Ann col suo amore totalizzante, anche se comprensibile per via di un'adolescenza strappata via dal pastore. Ma la sua catarsi finale è a dir poco allucinante. Quasi (e sottolineo quasi) un Ivan Karamazov al femminile. La vera redenzione dal peccato passa attraverso uno scatto morale (e qui modestamente trovo che davvero il termine 'morale' trovi pace, una sua giusta collocazione) successivo, che và al di là, in cui la coscienza opera il suo passo decisivo verso la rigenerazione totale nei confronti del concetto stesso di peccato. Eccezionale come tra l'altro sia Ivan che Ann nel mettere a nudo la loro coscienza passino col nominarla (e nel caso di Ivan, vederla) come Satana.
Uno scatto da donna terrena finalmente libera dall' 'omnia vincit amor' e che si pone addirittura al di sopra del movimento del figlio del pastore. Martin, dapprima preso dall'amore, passa per la compassione nei confronti del padre e la presa di posizione nei confronti di quella morte piuttosto che abbandonarsi al sentimento dilagante, fino a giurare il vero (ossia che nessuno ha compiuto 'tecnicamente' omicidio nei confronti del padre).
E come sempre la verità è multidimensionale, 'and sometimes it's right to be wrong'.

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Ultima risposta 22/10/2007 22.50.26
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quaker  @  02/06/2007 21:51:27
   10 / 10
Dreyer, scomparso dalla circolazione per molti anni, dopo essere stato uno dei protagonisti del cinema muto, girò questo film nel '43, quando la Danimarca era occupata - ormai da oltre due anni - dai nazisti, al cui ingresso nel Paese non era stata opposta resistenza. Il Re Cristiano girava però per le strade di Copenaghen con la stella di Davide, che gli ebrei erano stati costretti a mostrare.
Tutto questo ha attinenza con il film (tratto da un romanzo dei primi del '900), che, secondo me, deve essere inquadrato in questo particolare, tristissimo momento della storia danese.
Il film è profondamente religioso e in un certo senso femminista, ed è nello stesso tempo, un atto di accusa sia verso la religione dominante, pura apparenza (come quella della vecchia suocera di Ann), ma anche contro le rigide convenzioni sociali della società puritana, in nome della libertà e dell'amore.
Scarno, essenziale, girato prevalentemente in interni, quasi in un palcoscenico, ma con un senso dell'inquadratura, e, soprattutto, della luce, veramente eccezionali.

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Gruppo COLLABORATORI Marco Iafrate  @  04/04/2007 22:12:04
   10 / 10
Che film!.
Una donna condannata al rogo dalla morale cattolica per aver scelto l'amore.
Un amore che soltanto Martin, il figlio del marito avuto dalla precedente moglie, avrebbe potuto darle, ma che fallisce di fronte ad una società che pratica la caccia alle streghe.
Un film cupo, triste, drammatico, ma immensamente bello, figlio di un regista, Dreyer, che ha diretto poche pellicole ma tutte dei piccoli capolavori.

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Ultima risposta 05/04/2007 22.19.14
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Exodus  @  09/03/2007 18:50:42
   9 / 10
C'è un che di teatrale (nel senso di "teatro") in questa gemma cinematografica; i personaggi si muovono su binari prestabiliti, e si ha la sensazione che tutti gli avvenimenti siano già stati decisi, dal destino o a Dio o da chi per lui; molto strano per una pellicola così moderna da essere avanti sui tempi, che racconta appunto una storia di libertà e autodeterminazione, di tenacia e di desiderio.
Come su un grande palcoscenico, l'autore si prende tutto il tempo per costruire la storia, muovendo i personaggi come pedine e portandoci a riflettere su ciò che viene proposto, complice una scenografia semplice ma molto evocativa. Da uno dei più grandi registi mondiali, un must per chiunque ami il cinema.

Gruppo REDAZIONE amterme63  @  06/02/2007 23:16:09
   10 / 10
Un grandissimo omaggio alla libertà individuale. Un film contro i pregiudizi. Una lezione per tutti: anche le persone deboli hanno una grande forza, quella di credere nelle proprie idee, portarle in giro a testa alta, mai rinunciarci e andare fino in fondo. Solo così le sconfitte si trasformano in vittorie.

valerio.v  @  16/01/2007 21:05:19
   10 / 10
Capolavoro del cinema.
Un dramma psicologico magistralmente narrato ed interpretato.

Forse proprio gli scarsi mezzi dell'epoca hanno qualche merito a proposito.
Si vede chiaramente nei film di un tempo come i registi potessero permettersi di dedicare tutta la loro attenzione ad aspetti come la recitazione o la ricostruzione psicologica dei personaggi.
Ed in queste perle del cinema i risultati si vedono.

Gruppo COLLABORATORI fidelio.78  @  02/10/2006 08:38:59
   10 / 10
Grande capolavoro. Imperdibile per ogni cinefilo. I personaggi di Dryer hanno una tale intensità fisica e spirituale che non possono non restare scolpiti nel tempo. Il ritmo lento è una necessità per copioni simili perchè gli attori devono avere il giusto tempo di recitazione, ed in questo Dryer e Bergman sono stati i due più grandi maestri.

ds1hm  @  06/12/2005 14:00:21
   9½ / 10
tema stupendo, rischia di attualizzarsi nella preistoria del presente.

la mia opinione  @  01/11/2005 16:33:50
   9 / 10
E' indiscutibile considerando la data e i mezzi che si tratta di un grande capolavoro del cinema mondiale. Inquietudine e drammaturgia pura con un pizzico di esoterismo, eccellente.

benzo24  @  06/07/2005 12:33:43
   10 / 10
Un film bellissimo, inquietante e solenne.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Requiem  @  23/12/2004 20:01:36
   10 / 10
Un capolavoro senza tempo, uno dei più belli di Dreyer.

Fa una infinita tristezza vedere come nella paese di Dreyer, oggi il regista più importante faccia degli insignificanti videoclip.


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Ultima risposta 10/01/2006 03.32.02
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dragonfly  @  16/11/2004 16:23:25
   10 / 10
Theodore Dreyer non va mai dimenticato. Questi film sono veramente antologici.

Gruppo COLLABORATORI paul  @  03/09/2004 15:11:05
   10 / 10
Un film da storia del cinema. Lento ma immaginifico. Da collezionare.

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