Recensione venga a prendere il caffe' da noi regia di Alberto Lattuada Italia 1970
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Recensione venga a prendere il caffe' da noi (1970)

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locandina del film VENGA A PRENDERE IL CAFFE' DA NOI

Immagine tratta dal film VENGA A PRENDERE IL CAFFE' DA NOI

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Immagine tratta dal film VENGA A PRENDERE IL CAFFE' DA NOI

Immagine tratta dal film VENGA A PRENDERE IL CAFFE' DA NOI
 

"Il modello di questo personaggio è la mediocrità. Io riconosco a me stesso molte caratteristiche della mediocrità, non tutte naturalmente; così le mie, unite a quelle due o tre che caratterizzano in permanenza il personaggio, hanno dato come risultato un annuario, un glossario della mediocrità umana... nel film di Lattuada sono stato affascinato dalla possibilità di costruire un campione di mediocrità, sublimata dal fatto che il personaggio è anche presuntuoso. Quest'uomo non conta niente, è meno di niente, ha un solo progetto mediocre, un comportamento mediocre; tuttavia crede che il suo comportamento sia quello di un personaggio importante".
(Ugo Tognazzi, intervista del 1973)

Chi meglio dell'attore principale (Tognazzi) poteva descrivere il suo personaggio, Emerenziano Paronzini? Eppure "Venga a prendere il caffè da noi" pone un'altro interrogativo: Piero Chiara, chi era costui? Semplicemente uno dei più abili fustigatori letterari del suo tempo, a cui si deve proprio "La spartizione" (1964), romanzo da cui fu tratta, sei anni più tardi, questa riduzione cinematografica di Lattuada.
Un film fortunatissimo in cui fra l'altro anche l'autore del romanzo compare in un ruolo di contorno (è accaduto rarissime volte, nel cinema).

Ambientato nella Lombardia dei laghi, o meglio nella provincia varesina che ha dato i natali alla politica di Umberto Bossi e la morte allo scrittore del film, "Venga a prendere il caffè da noi" ottenne, all'epoca della sua uscita, un notevole successo di cassetta, facendo vincere a Tognazzi il premio per la sua interpretazione all'XI Festival Internazionale di Cartagena (Columbia).
È una commedia satirica, ed è come tuffarsi in un passato (di un certo cinema italiano in via di estinzione, se non del tutto estinto) dove potevamo assistere alle meschinità del nostro Paese con un atteggiamento ludico, amaro e persino scanzonato, cosa che purtroppo oggi accade di rado (c'è sempre una seriosità anche attendibile nel raccontarci, in questi anni, ma forse non c'è più molta voglia di ridere delle nostre miserie...).
Sì, proprio la commedia satirica è scomparsa, come le pagine verdi del settimanale "Cuore", dal cinema italiano contemporaneo. E lo stesso interrogativo si pone nei confronti della letteratura: Piero Chiara è caduto - come i suoi romanzi - nel dimenticatoio.
Un troppo severo Moravia giudicò il film, all'epoca della sua uscita, con queste parole: "C'è una mancanza di agganci con una realtà qualsiasi", cosa relativamente non vera, visto che l'opera mantiene a tutt'oggi una forte vena dissacrante, amorale e vetriolica, di cui è lecito provare un'indincibile nostalgia. E mentre una certa provincia italiana si estingue (il paradosso vuole che oggi sia possibile ravvisare gli stessi schemi nelle grandi città...) o si trasforma, Piero Chiara svanisce dai salotti letterari e dallo stesso mondo di cui celebrava, con graffiante ironia, il prossimo tramonto.

Il film, definito "specchio deformante di relazioni umane complesse e confuse che rimandano anche alla propria miseria umana, morale ed esistenziale", sceneggiato da Tullio Kezich, racconta la storia di Emerenziano Paronzini, scapolo, funzionario dell'ufficio imposte dirette di un paesino di quattro anime, che, trovata temporaneamente una sistemazione in una pensione, punta all'eredità paterna delle tre sorelle Tettamanzi: approffittando del suo ruolo per farsi invitare nella villa delle tre donne a prendere un caffè, egli può valutare attentamente le qualità di ciascuna, chiedendo in moglie una di loro (Fortunata), con grande invidia delle altre.
Ma dopo un burrascoso viaggio di nozze, egli può diventare il "centro permanente di casa Tettamanzi" e dell'esistenza delle sorelle, programmando le notti d'amore con ciascuna di esse (sulla base di consigli del medico di famiglia, ironicamente impersonato dallo stesso Lattuada), oggetto di cura e attenzioni di ogni tipo, a cominciare dai prelibatissimi fasti culinari. Fino a quando decide di occuparsi delle attenzioni di Caterina, la colf di casa Tettamanzi, con conseguenze imprevedibili per sè e i suoi progetti.
Tarsilla, che aveva intrecciato una relazione sessuale (a base di piccanti incontri erotici in una chiesa sconsacrata) con un giovane vitellone di provincia, Paolino, è sicuramente la più emancipata e coraggiosa delle sorelle. Avendo compreso che l'uomo era un mascalzone, finisce quasi per cedere passivamente all'harem creato da Emerenziano nei riguardi delle tre sgraziatissime e virginali sorelle, quasi fedele al rituale della casa, beffardamente osservato/descritto/sancito dalla cameriera.

La presenza di Emerenziano in casa, i rituali erotici come le sue bizzarre ed egocentriche manie salutiste, favoriscono un clima goliardico fino a poco prima imprevedibile, ed è uno degli aspetti più singolari della pellicola.
Il film è lucido, appassionato, godibile: il regista osa mettere a nudo la fragilità del conformismo (ancora) imperante (le illibate sorelle si rivelano piene di appetiti sessuali, come del resto si può comprendere), e - come suggerisce l'autore del romanzo - l'emblema che un certo monolitismo cultural-morale è destinato alla sua estinzione definitiva: lo stesso equivoco della dote, intesa sia in senso materiale/sessuale che materialista/sociale, neutralizza gli umori falsamente benpensanti della piccola provincia: il che è come dire che davanti al conto in banca l'amore è davvero cieco...

Ugo Tognazzi aggiunge al suo personaggio uno dei più memorabili ritratti di "mostri" post- contemporanei: il "suo" funzionario, flemmatico e rigoroso, moralista e al tempo stesso beffardamente amorale, scaltro e licenzioso ma in fondo superficialmente opportunista, è indimenticabile.
Al suo fianco, buone le prove dei comprimari: a parte l'ottima e prominente Francesca Romana Coluzzi nei panni di Tersilla, la candida ingenuità di Camilla impersonata di Milena Vukotic è ora commovente ora esilarante.
Come del resto esilaranti sono diversi frammenti del film, come le numerose passeggiate delle sorelle in compagnia dell'ineffabile Emerenziano per le vie principali del paese (sottolineate dalle musiche old lounge di Fred Bongusto!): un fedele marito e amante, occasionalmente genero.

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Recensione a cura di kowalsky - aggiornata al 04/11/2008

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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