Recensione summer of sam regia di Spike Lee USA 1999
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Recensione summer of sam (1999)

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locandina del film SUMMER OF SAM

Immagine tratta dal film SUMMER OF SAM

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Immagine tratta dal film SUMMER OF SAM
 

Nella torrida estate del 1977, New York è sovrastata da una sconcertante serie di omicidi per mano di un killer psicotico autosoprannominatosi 'figlio di Sam', che uccide giovani coppie appartate con una Magnum 44.
Il paranoico e donnaiolo 'discotecaro' Vinnie, la sua timida e fedelissima moglie Dionna e il punkettaro Richie dovranno fare i conti con la dura realtà cui si trovano di fronte e si troveranno a combattere con i propri demoni interiori.

Presentato alla Quinzaine des Réalisateurs del 52° Festival Di Cannes, "Summer of Sam" è la pellicola con la quale Spike Lee, il regista afroamericano più controverso e impegnato del panorama cinematografico Hollywoodiano degli ultimi vent'anni, decide di raccontare una storia, ma soprattutto una razza che non è la sua.
I protagonisti del film, infatti, non sono più persone di colore ma sono tutti, senza esclusione, bianchi, più precisamente italoamericani, che affollano il quartiere del Bronx di New York, già teatro di molte delle precedenti opere del regista.
Sebbene il titolo e il plot del film indichino un chiaro riferimento alla vicenda realmente accaduta del serial killer che terrorizzò New York sul finire degli anni '70, a Spike Lee non interessa raccontare una crime story, ma dirige la sua attenzione verso usi e costumi degli abitanti di Little Italy, evidenziandone non solo slang e dialetti caratteristici ma anche tradizioni e mentalità.

Nella trasposizione in linguaggio filmico di queste situazioni, il regista si conferma una volta di più la degna incarnazione dello Scorsese afroamericano, paragone ovviamente già avanzato da molti, ma sarebbe sbagliato soffermarsi solamente sugli aspetti più superficiali di quest'opera, dal momento che, la vera ragione che spinge Lee a rappresentare una razza, tutto sommato neanche così lontana da quella a cui egli appartiene, è la possibilità di agganciarsi a un particolare tema da lui già affrontato in diverse occasioni, ovvero: il razzismo.
Non è necessario che la vittima del razzismo dei bianchi sia necessariamente una persona di colore, difatti, in questo caso, la vittima dell'ideologia razzista e inflessibile dei bianchi è niente meno che un bianco, rappresentato dal punkettaro Richie, che pur frequentando assiduamente gli italoamericani di Little Italy, è visto da questi come un 'diverso' in tutto e per tutto, al punto che sarà lui ad essere in cima alla lista dei sospettati degli omicidi del killer della 44.

Compatta e audace non solo dal punto di vista morale ma anche da quello stilistico, l'opera di Spike Lee ci conduce in una realtà che, pur nel suo forzato e innaturale perbenismo e nella sua aura di superiorità, non può nascondere corruzione, violenza e paura.
Elementi apparentemente insignificanti come il sudore, gli odori, il caldo e l'afa acquistano un ragguardevole livello di importanza grazie al magistrale uso della fotografia che filtra colori e luci facendoli sembrare reali, fornendo allo spettatore sensazioni estremamente vivide che sono le stesse percepite dai protagonisti che vediamo sullo schermo.

Altri fondamentali aspetti rappresentati in modo sincero e spiazzante, come è uso di Lee, sono la droga e lo spaccio, da sempre presenti nelle sue pellicole, e la musica, altro carattere tenuto parecchio in risalto dal cineasta afroamericano e a cui, in questa specifica occasione, andrebbe quasi dedicato un discorso a parte, dal momento che tra la popolazione italoamericana e il punkettaro Richie intercorrono radicali e significative differenze addirittura per quanto riguarda i gusti musicali, che riflettono non difficilmente la psicologia di ognuno dei personaggi e, in generale, delle due ben delineate fazioni.
In un periodo in cui le discoteche come il famosissimo Studio 54 erano viste come l'inscindibile e irrinunciabile mecca del divertimento e, in contrapposizione, cominciava a farsi strada la corrente punk mentre quella hard rockesalava i suoi ultimi respiri, si creò e, di conseguenza, si viene a creare in questo film una netta divisione tra conformismo e idealismo rivoluzionario.
Una delle due figure maschili portanti della pellicola, il parrucchiere Vinnie, insieme alla moglie, decide di seguire la massa e di conformarsi a quelle che sono le mode del momento, spendendo intere notti a ballare in pista e seguendo il culto della "Febbre del sabato sera" esploso proprio in quegli anni.
Richie, invece, sceglie l'idealismo e la rivoluzione coltivando la sua passione verso la musica rock e punk e trascinando con sé anche la sua nuova compagna Ruby.

Per quanto riguarda la prima tipologia di musica, Spike Lee, grazie all'ausilio del fedele Terence Blanchard, inserisce nella colonna sonora pezzi assai noti che hanno rappresentato l'apice della disco- music anni '70, tra cui "Everybody Dance" di Chic, "Dancing Queen" degli ABBA e "Don't leave me this way" di Thelma Huston.
Analogamente, per quando riguarda la seconda categoria, sono stati selezionati veri e propri cimeli della storia del rock, come "Psycho Killer" dei Talking Heads, "Baba O'Riley" e "Won't get fooled again", entrambe dei The Who, oltre alla miticae doverosa "New York, New York" di Frank Sinatra che accompagna gli evocativi titoli di coda preceduti dall'intervento del giornalista Jimmy Breslin, presente anche poco prima dell'inizio del film.

Assolutamente degne anche le prove di tutto il cast, ove spicca sopra tutti un Adrien Brody qui al suo primo ruolo importante, che regala un'interpretazione stupefacente e all'altezza della non indifferente complessità del ruolo; se ci pensiamo bene, tutto il film è basato su di lui.
Mirabili anche John Leguizamo, la splendida Mira Sorvino, Jennifer Esposito, Michael Badalucco, Ben Gazzara e addirittura un invisibile John Turturro che presta la voce allo spirito del cane che tormenta il killer.

Spike Lee da vita alla sua opera forse più completa ed eterogenea, spaziando fra thriller, dramma, commedia, love story e addirittura gangster movie, inserendo tutte le connotazioni e ossessioni che hanno da sempre popolato il suo cinema e che qui compiono un vero e proprio processo di maturazione.

Snobbato dal pubblico e non completamente adorato dalla critica, "Summer of Sam" resta uno dei migliori film realizzati negli ultimi dieci anni, un film bello e maledetto, probabilmente anche l'ultimo ad aver mostrato New York da un punto di vista estremamente sincero, spietato e assolutamente veritiero.

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Recensione a cura di FrancescoManca - aggiornata al 12/07/2010 11.44.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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