Recensione melinda e melinda regia di Woody Allen USA 2004
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Recensione melinda e melinda (2004)

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locandina del film MELINDA E MELINDA

Immagine tratta dal film MELINDA E MELINDA

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Non stupiamoci se, al 38° appuntamento registico, anche la vena di un grande come Woody Allen denoti una certa stanchezza. E non tanto per gli aspetti formali, altrettanto validi ma pur sempre ineccepibili ed eleganti, quanto per la sostanza stessa dei contenuti. Nel film, infatti, continua a prorompere con prepotenza l'ego strabordante del regista, quasi non esistesse mondo al di fuori di lui; e tutti i personaggi, per quanto scintillanti, non risultano altro che la visione speculare della sua personalità. Intendiamoci, è naturale che un'opera parli sostanzialmente della vita psico-intellettual-emotiva dell'autore! Ma, in genere, il lavoro diventa grande quando il tasso di soggettività si desume a livello subliminale, quasi non esistesse, per la capacità di volare più alto e riconoscersi in un universo allargato. Conscio di questo, forse, Woody Allen cerca di ovviare nel film in questione con due stratagemmi: affidando la parte tradizionalmente da lui interpretata ad un altro attore (Will Ferrel), e riflettendo ad alta voce proprio sulle problematiche sopraccitate. Cioè su quanto influisca nello sviluppo di un racconto la soggettività dell'autore; di qui la genesi di "Melinda e Melinda", dove due scrittori, seduti al tavolo di un bar, discutono su come costruire il personaggio di un copione in comune: se comico o drammatico. L'idea, fin troppo cerebrale, da comédie savante, è molto curiosa, e va letta in chiave metaforica; anche perché la personalità degli individui, e la vita in genere, sono in effetti la risultante di una serie di componenti di segno opposto, bontà e cattiveria, bellezza e bruttezza, carnalità e spiritualità, e, per finire, risi,sorrisi e pianti!

Da cui le due facce di Melinda, che i due autori potrebbero rendere, ad libitum, allegra o triste, felice o infelice, comica o drammatica; quasi disponessero, per un prodigio del caso, delle facoltà "fatali" degli dei greci, cui toccava il diritto di concedere o meno la loro benevolenza ai poveri mortali. Vista in tal senso l'idea di Woody Allen assume ben altra nobiltà di quella apparente, suonando come riflessione filosofica più profonda ed elevata di quanto a lui solito. Forse che, invecchiando, il suo genio ebreo voglia librarsi maggiormente in alte sfere, distaccandosi dalla prospettiva minimalista della nevrosi quotidiana dei piccoli individui; ed è quello che, magari, ci aspetteremmo tutti, dopo 38 film, da uno dei registi universalmente più amati ed apprezzati.

Risciacquando i panni nell'Arno di problematiche più spesse, che a un ebreo come lui non mancherebbero, ad esempio, nella patria Israele, l'amatissimo Woody potrebbe finalmente darci un capolavoro memorabile, dimostrando ben altro genio (per esemplificare pensiamo a quanto ci marcino, su temi similari, marpioni mestieranti come Spielberg o Benigni).

L'alternativa è quella di restare sempre più simile a se stesso, ripetendosi ad oltranza, e scapitando nel risultato artistico. Anche perché, radicandosi nei soliti discorsi, si rischia di incancrenirsi, prosciugando la vena creativa, e manifestando una certa ossessività. In effetti, in Melinda e Melinda, la regia stessa ha un che di maniacale per il ritmo compulsivo e accelerato, mentre vicende e personaggi sembrano animati da un certo afflato schizoide. Perdono così aderenza al reale, come marionette emblematiche di un teatro di pupi, sempre gli stessi, con fili tirati sapientemente dall'alto dal burattinaio magico di Woody. E non è casuale che si ripetano all'infinito le tipologie di interpreti, che sembrano scaturire, per l'appunto, dal baule dei burattini... o dai film precedenti.

Come nel caso della splendida (e bravissima) Melinda (Radha Mitchell) che sembra costruita con lo stampino di una Mia Farrow più in carne, ma altrettanto affascinante, eterea ed enigmatica; e peraltro egualmente schizzata e nevrotica, come l'anima di Woody, di cui rappresenta l'inequivoco emblema.

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Recensione a cura di GiorgioVillosio - aggiornata al 11/01/2005

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