Recensione la promessa regia di Sean Penn USA 2001
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Recensione la promessa (2001)

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locandina del film LA PROMESSA

Immagine tratta dal film LA PROMESSA

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Il cinema americano segue abitualmente modalità stereotipate per i diversi generi, con l'effetto di approdare, nella maggioranza dei casi, a soluzioni assolutamente prevedibili perchè già viste: pensate alle storie di avvocatura e tribunali, ai film di azione con gli inseguimenti in auto, ai polizieschi con agenti corrotti, ai film di mafia coi criminali italo americani, o, stereotipo tra gli stereotipi, a tutta la cinematografia western, con buoni e cattivi, pionieri ed indiani!
Sarebbe troppo facile e semplicistico sostenere che tale fenomeno sia dovuto a mancanza di fantasia e di inventiva da parte di autori, sceneggiatori e registi; e risulterebbe fuorviante, perché in tal modo si verrebbe a nasconderebbe la causa effettiva di tutto ciò, che risiede invece nella determinata volontà delle produzioni, mirate sostanzialmente al "business innanzi tutto".
E, per fare denaro, è sempre meglio seguire vie rassicuranti già battute e tradizionalmente seguite, con esiti certi; lasciando invece l'onere della sperimentazione a piccoli operatori temerari.
La cosa, che, detta pari pari, da noi suona scandalosa, non dovrebbe invece stupire più di tanto, ove il cinema venga visto come ogni altro business. In fin dei conti anche le auto si assomigliano tutte e vengono pensate sui gusti del pubblico, senza voli di fantasia; come pure è vero che i ristoranti propinano sempre la stessa cucina, senza tentare novità gastronomiche, o che nelle hit parades musicali si sentono plagi continui di motivi già affermati.
Al di qua dell'Atlantico, in effetti, la si pensa un po' diversamente a proposito di cinema, quanto meno da parte delle fasce del pubblico più acculturato, che cerca nei film qualità estetiche, prima ancora che divertimento facile e ragioni di cassetta; quelle che invece, persegue diabolicamente la nostra televisione, soprattutto dopo l'esplosione delle reti commerciali (copiate, se vogliamo, proprio dalla cultura yankee). In tal modo il cerchio si chiude, e, come cinefili, siamo portati a guardare con preconcetti scetticismi i prodotti di oltreoceano, pur riconoscendone comunque la insuperabile professionalità esecutiva.

Fortunatamente, però, la regola conosce le sue brave eccezioni, e capita ogni tanto di trovarsi davanti a film americani di sorprendenti qualità anche sul piano narrativo e del pensiero, come nel caso de "La promessa" del validissimo Sean Penn. Apparentemente di genere poliziesco e di azione, il racconto risulta invece fortemente introspettivo, psicologico e riflessivo, conducendo infine a considerazioni profonde e pessimistiche sull'esistenza e sull'umano. Il protagonista, detective alla vigilia della pensione, tratta il suo ultimo caso professionale, alla ricerca di un maniaco pedofilo, e promette di risolvere un caso mai chiarito. Abbandonato ormai il lavoro, continua le sue ricerche fino a trovare il bandolo della difficile matassa. Ma, diversamente da quanto succede in genere negli analoghi film Usa, la sua verità non arriverà mai a trionfare, e l'intuitivo detective non verrà creduto da nessuno, né da amici interessati né dai colleghi. Fino a quando, per un fatale incidente d'auto, il vero colpevole morirà prima di scoprirsi, lasciando l'investigatore solo con le sue certezze e nel più totale sconforto; che lo porterà in effetti ad una follia progressiva. Quello che c' è di vero, nel film di Penn, è che nella realtà della vita funziona normalmente così: che quasi tutti gli uomini si trovano a fare i conti col misconoscimento della propria opera e delle proprie ragioni, perdendo autostima, fiducia nei propri mezzi e volontà progettuale. Il tutto raccontato con modi delicati e preferitivi (commovente e sfumato il primo incontro di amore dei protagonisti), facendo intendere senza mai calcare la mano sugli effetti facili; soprattutto nella storia del maniaco pedofilo, che mai viene visto all'opera, e solo per rapidi accenni. Bravo più del solito Jack Nicholson, finalmente in una parte dove l'occhio sbarrato e l'espressione diabolica sono legittimate dal personaggio e dalla vicenda.

Concorrono al buon esito un'ottima fotografia, e la caratterizzazione dei vari personaggi, visti con occhio doverosamente diverso, nel passaggio dagli uffici cittadini di polizia, agli splendidi spazi del paesaggio americano montano-lacustre.

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Recensione a cura di GiorgioVillosio - aggiornata al 06/04/2005

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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