Recensione harry potter e i doni della morte - parte 1 regia di David Yates USA, Gran Bretagna 2010
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Recensione harry potter e i doni della morte - parte 1 (2010)

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locandina del film HARRY POTTER E I DONI DELLA MORTE - PARTE 1

Immagine tratta dal film HARRY POTTER E I DONI DELLA MORTE - PARTE 1

Immagine tratta dal film HARRY POTTER E I DONI DELLA MORTE - PARTE 1

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Immagine tratta dal film HARRY POTTER E I DONI DELLA MORTE - PARTE 1
 

Alla fine del sesto episodio avevamo lasciato Harry solo con le sue paure e i suoi dubbi. L'ombra di Voldemort è sempre più pesante e minacciosa, Silente stesso è morto nel tentativo di istruire Harry su come annientarlo, il ministero della magia è debole e corrotto, Hogwarts non è più la casa accogliente e sicura di una volta e ci sono da trovare e da distruggere gli Horcrux, i sette oggetti nei quali il signore oscuro ha rinchiuso altrettanti frammenti della sua anima. Silente è stato chiaro, senza di essi Harry non ha alcuna speranza, non può completare ciò che era iniziato 17 anni prima.
Inizia così un viaggio che lo metterà a dura prova, lui e gli amici Ron ed Hermione, con una sola certezza: nessun luogo è sicuro!

Si dice che il tre rappresenti il numero perfetto. È così per la Bibbia, ma lo era anche per Dante nella sua "Commedia". Perfezione, dunque, ma anche equilibrio. Pare debba essere proprio così, visto che solo al terzo tentativo con il "franchise" creato da J.K Rowling, il britannico David Yates sembra finalmente aver preso dimestichezza con la saga, restituendo ai milioni di fan quella aderenza al testo originale che era un po' la pecca principale che veniva imputata alle precedenti due opere. Era così con "L'ordine della fenice", lo è stato altrettanto, se non di più, con "Il principe mezzosangue". Certo, molto ha inciso la suddivisione in due parti voluta dalla Warner. Vuoi per questioni di lucro, vuoi per soddisfare pienamente il pubblico più esigente, sta di fatto che la scelta si è rivelata oculata, specie se si pensa alla mole del materiale messo a disposizione dalla Rowling nell'epilogo della sua opera. Ovvio, qualche correzione alla sceneggiatura è stata fatta, visto e considerato quanto omesso nei precedenti capitoli cinematografici, ma gli innesti apportati non hanno in alcun modo inciso negativamente sulla storia, eccezion fatta per qualche piccola sbavatura, ma in fondo sarebbe chiedere troppo e quindi ben venga questo settimo episodio.

Come già accennato, Harry sul finire del "Principe mezzosangue" si trova privato della propria guida, Albus Silente, assassinato a sorpresa da quel Piton in fondo mai troppo amato ma che comunque aveva sempre goduto della piena fiducia del preside di Hogwarts. Solo quindi e per di più caricato della responsabilità di rintracciare le cinque restanti parti nelle quali il signore oscuro ha spezzato la propria anima. A condividere questo fardello i due amici di sempre, Ron ed Hermione, pronti a seguirlo in questa ardua impresa che li porterà a vivere come fuggitivi ai margini del mondo magico, lontani dagli affetti, immersi in lande desolate, con locations post- apocalittiche che rievocano alla mente le atmosfere di "Io sono leggenda", ma anche quelle descritte da Cormac McCarthy nel suo "The Road".
Insomma, siamo lontani anni luce dalle atmosfere gotico-fantasy degli interni di Hogwarts cui ci eravamo abituati e un poco anche affezionati, adesso ci troviamo con una natura fredda e ostile, metafora del cammino verso l'età adulta. Un forte senso di incertezza domina dunque la scena, un forte senso di frustrazione che pervade l'aria e si impossessa dei tre protagonisti, mano a mano che i giorni diventano settimane e le settimane diventano mesi. Tutto questo è reso sì dai paesaggi, che altro non sono se non lo specchio degli stati d'animo del trio, ma anche e soprattutto dai lunghi silenzi che accompagnano buona parte della pellicola.
Il silenzio, già. Esagerando si potrebbe affermare che esso rappresenti una sorta di co-protagonista, tanto incide sulla scena. Magari questo potrebbe annoiare molti spettatori accorsi in sala, convinti di assistere a mirabolanti scontri magici, quando invece niente di tutto ciò accade o comunque in parte minore rispetto a quelle che potrebbero essere le attese. Una scena riflette bene quelli che sono i dubbi dello spettatore circa l'evolversi della vicenda, e cioè quella che vede protagonista Ron che si rivolge ad Harry:
"Pensavo che tu sapessi quello che facevi, che tu avessi un piano!"
"Ti aspettavi che avremmo trovato un Horcrux ogni due giorni?"
Ecco, Ron è l'emblema perfetto di questo clima di incertezza che avvolge lo spettatore, inducendolo a dubitare delle capacità del protagonista.

In tutto questo vagare senza meta, tre i momenti salienti: l'incursione al ministero della magia, la visita a Godric's Hollow e quella a casa Lovegood.
Innanzitutto il ministero. Caduto ormai nelle mani dei mangiamorte, appare come il simbolo di un nascente totalitarismo con tanto di slogan: "Magic is might" e monumenti che inneggiano alla superiorità della razza magica sui "non maghi", come la statua raffigurante un mago e una strega seduti su di un trono fatto di babbani, chiara e palese rappresentazione specchio del potere di stampo neonazista. Qui il lavoro fatto sulla scenografia è encomiabile, con una pennellata di espressionismo che ben riflette l'aspetto emotivo. Tutto è come narrato dalla penna della Rowling, se non fosse che nella versione letteraria il tutto è un po' più macchinoso e magari uno sforzo in più a livello di elaborazione della sceneggiatura si poteva fare, visto e considerato che entrare e fuggire da un luogo come il ministero della magia, centro del potere del nemico, non deve essere un'impresa ponderabile e attuabile dal giorno alla notte, specie se si è il ricercato numero uno. Perciò forse meritava qualche attenzione in più. I tempi cinematografici però, si sa, sono quelli che sono, e non resta che fare buon viso a cattivo gioco.
Godric's Hollow, città natale di Harry, è ridotta invece a mera parentesi dall'esilio forzato nei boschi, con il personaggio di Bathilda Bath che non viene spiegato a dovere o perlomeno non quanto meriterebbe, in rapporto al reale ruolo che ricopre. Stesso dicasi per Xenophilius Lovegood e al tentato agguato ordito ai danni di Harry. Qui però si assiste ad un esempio di animazione stilizzata davvero notevole, che affascina grazie ad un tocco oscuro e misterioso, con la storia dei "tre fratelli" che prende vita attraverso la voce di Hermione e che porta a conoscenza dello spettatore l'origine dei doni della morte cui il titolo allude. Complimenti allo svizzero Ben Hibon, regista di questo gioiello visionario, capace di rendere onore al cinema fantasy.

Ciò che con molta probabilità farà guadagnare punti a Yates agli occhi dei fan è però la quasi totale aderenza al testo originario. Sembra quasi essere tornati ai primi due episodi di Columbus, nei quali perfino le battute erano riportate pari pari al corrispettivo letterario. Si assiste così all'ingresso in scena di personaggi da tempo vittime di tagli alla sceneggiatura, come ad esempio Bill Weasley, complice anche l'importanza rivestita dal matrimonio che lo vede protagonista. Non si tratta invece di new-entry bensì di un ritorno, quello dell'elfo Dobby, protagonista di uno tra i momenti più toccanti della pellicola, insieme a quello che vede Hermione praticare l'incanto "oblivion" sui suoi stessi genitori.
Certo, la pellicola non è esente da pecche, perché ad esempio proprio non si riesce a capire cosa sia quel frammento di vetro che Harry tiene dentro al calzino per poi tirarlo fuori nei momenti di disperazione. Ovvio si tratti di qualcosa di importante, ma è giusto un'impressione poiché non c'è traccia di alcuna spiegazione che ponga rimedio al taglio effettuato da Goldenberg ne "L'ordine della fenice". Sarebbe quantomeno auspicabile una soluzione nella seconda ed ultima parte, vista e considerata l'importanza che tale particolare andrà a rivestire.
Efficaci invece alcune trovate quali il sacrificio di Edvige o l'illuminazione di Hermione circa il modo in cui distruggere gli Horcrux; efficaci in quanto soluzioni funzionali alla storia e non fini a se stesse, come a volte accaduto in passato. Nel primo caso viene concesso alla civetta un'uscita di scena che in parte le restituisce quella dignità che invece la Rowling le aveva negato, mentre nel secondo caso ci si serve di un espediente utile ad alleggerire il filo narrativo cinematografico, altrimenti troppo contorto.
Eccellente l'incipit con il primo piano di Bill Nighy nei panni del ministro della magia Rufus Scrimgeour, il quale mette in guardia il mondo magico circa la pericolosità dei cambiamenti in atto, con parole che ricordano, rimanendo in tema fantasy, quelle sussurrate dalla regina degli elfi Galadriel ne "La compagnia dell'anello" di Peter Jackson.

Menzione d'obbligo per il candidato all'Oscar Alexandre Desplat, autore di una sublime quanto sorprendente colonna sonora, dalle cui note trasuda tutta l'ansia e la tensione palpabile durante il film.
Davvero un ottimo lavoro, totalmente funzionale alle immagini. In attesa dell'epilogo che si terrà il prossimo luglio, Yates sforna dunque un buon lavoro che coglie appieno l'anima del libro e che rappresenta una vera e propria sterzata rispetto ai suoi precedenti.
Si tratta di un episodio sicuramente più maturo e consapevole che spiazza e intrattiene, penultima tappa verso l'età adulta, perché in fondo questo è Harry Potter: un lungo percorso a ostacoli durante il quale ci si trova a dover prendere una posizione. Un cammino a bivi che ci mette di fronte alle nostre responsabilità, di fronte a noi stessi, di fronte a delle scelte che, giuste o sbagliate, andranno prese.
Questo è il messaggio secondo la Rowling e, almeno stavolta, anche di Yates.

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Recensione a cura di Luke07 - aggiornata al 03/12/2010 16.13.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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