Recensione garage regia di Lenny Abrahamson Irlanda 2007
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Recensione garage (2007)

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locandina del film GARAGE

Immagine tratta dal film GARAGE

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Immagine tratta dal film GARAGE

Immagine tratta dal film GARAGE
 

Per Josie, uomo grande e grosso addetto al servizio presso una pompa di benzina, spostare l'espositore dell'olio per auto è l'evento della giornata. La sua testa non ragiona alla stessa velocità delle persone comuni; purtroppo è un ritardato mentale e i disagi nei rapporti con gli altri sono evidenti. Il lavoro non è tutto questo granché, il garage è situato in un posto dove trafficano pochissime auto e camion perché si affaccia su una stradina secondaria.
Ingenuotto di buona volontà, Josie è disposto, senza batter ciglio, ad allungare il turno di apertura del fine settimana, orgoglioso e fiero, anche perché il proprietario Gallagher gli annuncia che un certo David lo aiuterà nelle mansioni. David ha 15 anni e non è altri che il figlio della donna che adesso sta insieme a Gallagher. Questo insolito connubio nella conduzione dei lavori presso la stazione di servizio causerà non pochi problemi a entrambi...

Presentato alla 39.ma "Quinzaine des Rèalisateurs" (Cannes, 2007) e premiato come Miglior Film alla 25.ma edizione del Torino Film Festival (sempre durante lo stesso anno) il "Garage" bello e malinconico di Leonard Abrahamson è una primizia di fine stagione, quello che ormai sembra destinato a essere il periodo migliore per presentare quei film che non riescono a trovare spazio nel caos della distribuzione nazionale. L'ambientazione, a parte l'angusto e sporco box, è da favola: il cielo irlandese risplende in tutta la sua bellezza sui verdi sobborghi di campagna.

A dispetto della sua stazza, Josie sembra incorporeo tanto è lontano dai modi di fare degli altri abitanti del paese: lui ha la sua casa all'interno della pompa di benzina, e lì lavora, mangia e dorme. Adora passeggiare da solo per le strade della campagna circostante, ha un problema all'anca e camminare gli fa' bene: si intenerisce per un cavallino e gli porta da mangiare alcuni frutti, scambia qualche parola con la bionda Carmel (Anne-Marie Duff), proprietaria di un piccolo negozio di alimentari in paese. Josie spasima in silenzio per lei, ha un tentativo di approccio "a modo suo" con la donna, con quel tenero e maldestro modo di fare che non può che risultare sbagliato e fuori posto. E perché nessuno, in fondo, può valutare Josie come amico o come amante.

Il docile personaggio principale, che sembra sia realmente esistito, è reso alla perfezione dall'attore Pat Shortt. L'artista di solito lavora come comico in televisione, ed è particolarmente noto in Irlanda; interpretare un ruolo così complesso e drammatico non deve essere stato semplice. Shortt, adoperandosi in modo specifico sulla difettosa fisicità del personaggio (nelle pose e nell'incedere), riesce a trasmettere una buona emotività.

La città, lontana in tutti i sensi dal taciturno Josie, pensa a sé stessa, ognuno è chiuso nel suo vanaglorioso egoismo, e non vede al di là delle apparenze: si discrimina il "matto del villaggio", si sognano tuffi nella piscina con le onde artificiali e non si esita a liberarsi di cinque cuccioli di cane, facendoli annegare nel fiume (luogo dove tutti i rifiuti, materiali, animali e umani sembrano destinati a finire).
L'opinione pubblica è, ancora una volta, carica di violenza, odio e finto perbenismo.

La sceneggiatura è forse troppo costruita e finalizzata a sottolineare le colpe della piccola società (la quale fa presto anche a identificarsi in una collettività più universale) nei confronti di chi, purtroppo, non ha molto da chiedere alla vita. Morale e forma della pellicola non sono poi così nuove: il minimalismo dei film da Festival (con un'analisi e un approccio un po' spogli e rettilinei) rischia di annoiare, se non fosse per il potente e destabilizzante messaggio delle scene finali.

Il cinema irlandese ha trovato, forse, un altro valido esponente oltre ai più noti Neil Jordan e Jim Sheridan.

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Recensione a cura di pompiere - aggiornata al 15/06/2009

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