Recensione angel-a regia di Luc Besson Francia 2005
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Recensione angel-a (2005)

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locandina del film ANGEL-A

Immagine tratta dal film ANGEL-A

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Ricetta per X persone, che abbiano un ottimo stomaco: mettete cinquanta grammi di problema extracomunitario, di grande attualità (banlieu e affini), un etto di voyeurismo sexy con una manza bionda da 190 cm, mai vista, una salsa di cinema noir in compresse, alcune maschere di malviventi, ed un bel pesce nero con l'occhio sentimentale da triglia lessa del Marocco (...con passaporto americano, chissà perché?).
Rimestate bene il tutto, a fuoco molto lento, esasperando la lentezza, e sempre nello stesso verso (come i dialoghi di triglia e giraffa); aggiungete un pizzico di new age, una spolverata di psicanalisi e, per finire, condite tutto con del nero di seppia.
A questo punto guarnite il piatto con una decorazione strutturale di ponti parigini, e coprite il tutto con sentimentalismo alla melassa; per finire presentate l'insieme in modo armonioso, con dolcissima musica e toni fiabeschi, per avere in tavola... l'ultimo film di Luc Besson: "ANGEL-A".
Il quale poi si lamenta pubblicamente di non piacere ai suoi connazionali! Ma cosa pretende?

Nel paese di enciclopedisti ed illuministi, di Voltaire e di Cartesio... profeti della logica per la logica... vorrebbe pure piacere con prodotti sì estrosi, se vogliamo, ma non classificabili in alcun modo nella dimensione della ragione.
Intendiamoci, il cinema è essenzialmente metafora e, dunque, non necessariamente ancorato a realismo e razionalità, ma il linguaggio immaginifico, per "comunicare all'utenza" deve comunque essere decodificabile, e condivisibile in una qualche misura.
Salvo, come in questo caso, ricorrere alla favola per giustificare l'impossibilità di farlo, appellandosi alla fantasia per la fantasia, come è, in effetti del mondo infantile. I bambini sì "fanno ooh!" davanti ad ogni meraviglia, ancora affrancati dall'esigenza "adulta" di rendersi conto delle cose e di decodificare i messaggi ai fini della conoscenza; ma i grandi, ove non rifiutino le fiabe in assoluto, ne cercano quanto meno una valenza psicanalitica di fondo.
E siccome "Angel-A" di Besson non è poi altro che una fiaba, cerchiamo di analizzarla sotto l'aspetto simbolico.

Il film parla espressamente della dicotomia interna ad ognuno di noi, tra componente maschile e femminile, e dell'esigenza di tutti di accettare la parte più in ombra; ma asserirlo in modo così dichiarato, senza le debite preterizioni, toglie ogni poesia, come in un assunto scientifico (tra l'altro nella sede più sbagliata e in modo assai superficiale).
Il dramma dell'emarginazione del povero marocchino (americano??) non assume alcuna connotazione politica, riducendolo a semplice macchietta, ben poco credibile. L'altro elemento simbolico, quello della donna-angelo che rinuncia all'eternità per un uomo, suona falso come una moneta di rame; inserito apposta per lusingare il pubblico femminile riconoscendogli la capacità esclusiva di immolarsi per amore, detentrice di un primato cui, noi poveri uomini, nella nostra bassezza, non riusciremmo mai ad arrivare.
Lo stratagemma risulta piuttosto astuto, tale , forse, da fare cascare nella trappola le donne più ingenue. Ma di stratagemma si tratta, secondo me, considerando anche il personaggio Besson: vero che ha fatto una decina di film come regista, ma pure vero che è prima di tutto un produttore commerciale, specialista di spot pubblicitari, e molto sintonizzato sull'onda del business is business.

Indubbiamente il più "americano" del cinema francese, e per questo inviso in patria, è incline come i suoi maestri di oltre atlantico agli effetti facili e paradossali purchè spettacolari (come nel sopravvalutatissimo "Nikita").
Azzardo un'ipotesi personale sull'ispirazione di "Angel-A": la storia, oltre a riflettere una concezione soggettiva della donna salvifica (I° ipotesi) gli è venuta in mente visitando il Louvre.
Chi ci è stato non può non ricordare la incredibile suggestione della Nike di Samotracia in cima allo scalone, guarda caso una vittoria alata (n.b. come la riproduzione nell'ufficio del boss cattivo) dominante e immanente come la spilungona Rasmussen sul povero marocchino (il comico Jamel Debbouze). Di lì l'idea di propinare al pubblico la favola della grandezza muliebre, infarcendola di mille altri elementi; a dire il vero non tutti negativi!
Il film ha bellezze rare, e non poche: una colonna sonora con musiche d'eccezione, fotografia in bianco e nero davvero affascinate, scenografia "architettonica" dei ponti parigini, e diversi momenti di vera ilarità.
La storia, tanto sconclusionata, fa ridere non poco, soprattutto con le gags della giraffa (angelo) bionda che si fa sbattere a pagamento nei cessi dei bistrots o stende stuoli di energumeni a forza di ceffoni (in nome del Cielo)! La cosa più divertente del film!
E se Luc Besson avrà voglia di ripartire da qui, attingendo all'esprit di ironie dei francesi, anziché alla mala radice dello spettacolarismo yankee, sarà forse in grado di darci un'opera finalmente degna. Con il senso del surreale del nostro regista... potremmo ritrovare un altro Tati!

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Recensione a cura di GiorgioVillosio - aggiornata al 27/03/2006

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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