Recensione amabili resti regia di Peter Jackson USA, Gran Bretagna, Nuova Zelanda 2009
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Recensione amabili resti (2009)

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locandina del film AMABILI RESTI

Immagine tratta dal film AMABILI RESTI

Immagine tratta dal film AMABILI RESTI

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Immagine tratta dal film AMABILI RESTI

Immagine tratta dal film AMABILI RESTI
 

"Mi chiamavo Salmon, come il pesce. Nome di battesimo: Susie. Avevo quattordici anni quando fui uccisa, il 6 dicembre del 1973".

Susie è una ragazzina di quattordici anni che, di ritorno a casa, viene adescata dal suo aguzzino, il vicino di casa George Harvey, che la stupra barbaramente per poi farne a pezzi il cadavere. Da quel momento la piccola Susie segue le vicende terrene che seguono la sua morte dal suo cielo, un mondo intermedio a metà strada tra la terra e il paradiso; assiste quindi, senza però poter intervenire, al dolore della propria famiglia, alle difficoltà incontrate dalla polizia che indaga sul suo caso e all'amicizia che nasce tra il ragazzo dei suoi sogni e la strana compagna di scuola, Ruth. Il tutto mentre il suo assassino pondera un altro omicidio.

Tratto dall'omonimo successo letterario di Alice Sebold, "Amabili resti" rappresenta per il regista neozelandese Peter Jackson l'ennesima sfida: dopo essere riuscito infatti a ricreare con successo il complesso universo partorito dalla mente di J.R.R. Tolkien con la trilogia di "The Lord of the Rings", il "re della terra di mezzo" ci riprova invitando lo spetattore in un viaggio onirico che tenta di analizzare il concetto della vita dopo la morte, avvalendosi di un cast "all-star" che comprende l'ormai ex rivelazione di "Atonement" Saoirse Ronan, i premi Oscar Rachel Weisz e Susan Sarandon, Mark Wahlberg e il bravissimo Stanley Tucci. Il tutto condito dagli effetti speciali creati dai maghi della Weta, chiamati a ricreare un "cielo di mezzo" a metà tra il pop e il surrealismo.

L'attesa per il ritorno in sala di Peter Jackson era tanta, complice anche il continuo slittamento della data di uscita, e i presupposti per realizzare un nuovo capolavoro c'erano proprio tutti: un tema quale quello della perdita di una persona cara narrato dal punto di vista del defunto, i tecnici della Weta incaricati di dar corpo alla visionarietà della Sebold e un team di sceneggiatori premi Oscar quali, oltre allo stesso Jackson, la moglie Fran Walsh e la collega Philippa Boyens. "Amabili resti" è si un buon film, scorrevole, a tratti anche poetico, che però pecca in più di un'occasione e per vari motivi.

Innanzitutto non convince la decisione di alleggerire la funzione narrativa di certi personaggi, in primis la mamma di Susie, Abigail Salmon, cui l'affascinante Rachel Weisz presta il volto. Talmente poco curato risulta il suo ruolo che pare, più che una coprotagonista, una mera figura di contorno. Semplicemente il suo personaggio appare e scompare, per poi far nuovamente e pallidamente capolino verso il finale. Quel suo senso di inadeguatezza, quella sua fragilità che invece è ben calcata nel romanzo, non si percepisce per nulla o comunque lo si percepisce solamente a stento.
Allo stesso modo lascia perplessi l'aver sorvolato sulla stravaganza psicologica e comportamentale della compagna di scuola di Susie, Ruth Connors, visto e considerato il rilievo cui la Sebold le dà. Come per il personaggio della Weisz anche qui ci troviamo di fronte ad una figura scarsamente caratterizzata. La sensazione è che entrambi siano presenti solo per un puro "dovere" nei confronti della loro "controparte letteraria", nulla più. Lo stesso dicasi per nonna Lynn, egregiamente resa dalla veterana Susan Sarandon, sebbene a tratti un po' troppo sopra le righe, e il piccolo Buckley, il più ricettivo alla presenza di Susie, ma anche del "moro" Ray Singh, il cui rapporto con la protagonista non viene affrontato come meriterebbe.

Sulla base di ciò è lecito pensare che il trio di sceneggiatori abbia ritenuto più opportuno puntare sulla forza drammatica che scaturisce dal rapporto figlia-padre.
Per interpretare la prima è stata chiamata l'attrice irlandese Saoirse Ronan, così giovane ma già così promettente, tanto che in molti hanno avanzato un paragone con la divina Meryl Streep. La sua performance è buona, specie se rapportata a quella fornita nel trascurabile e mediocre "City of Ember". Essa riesce infatti a sfornare una interpretazione che incarna in maniera convincente la rabbia e il desiderio di vendetta che prova la protagonista del best-seller della Sebold. Si può quindi cominciare a parlare di questa ragazza non più come una semplice promessa, ma piuttosto come una piacevole conferma dopo i consensi meritati ottenuti per "Atonement".
Nel ruolo paterno troviamo, invece, un inedito Mark Walhberg, capace di rendere il tormento e la sensibilità di un uomo che ama la propria famiglia, ma che improvvisamente si trova solo, privato delle sue stesse certezze. In realtà per la parte Peter Jackson aveva inizialmente scritturato il talentuoso Ryan Gosling che però, causa divergenze proprio con il regista, si era fatto da parte, forse anche per una certa e non trascurabile discrepanza con l'età anagrafica del suo personaggio, decisamente più maturo. Inevitabile pensare come una situazione del genere si fosse già presentata a Jackson quando sul set di "The Fellowhsip of the Ring" il giovane Stuart Townsend si vide soffiare il ruolo a pochi giorni dal ciak inaugurale dal ben più credibile e allora sconosciuto Viggo Mortensen.
Detto ciò, non resta che la vera rivelazione della pellicola, quello Stanley Tucci che ci aveva abituato a ruoli da spalla comica di Meryl Streep in "The Devil Wears Prada" o nel più recente "Julie & Julia", sorprendente e irriconoscibile sotto i radi capelli biondi e gli occhiali del disturbato assassino George Harvey. Non che l'attore, di chiare origini italiane, sia nuovo a metamorfosi dettate da esigenze di copione (lo stylist gay del già sopracitato "The Devil Wears Prada" ), ma qui siamo su di un altro piano; il coraggio nell'affrontare un ruolo di questo tipo, nel dare corpo ad un personaggio così spregevole è ammirevole, e non è un caso se l'Academy, particolarmente sensibile ai ruoli che richiedono una trasformazione fisica (i riconoscimenti a Nicole Kidman, Charlize Theron e Heath Ledger insegnano), lo abbia tenuto in conto come miglior permormance di un attore non protagonista. Se il film tiene incollato lo spettatore alla poltrona, buona parte del merito è dovuto alla sua interpretazione, come dimostra la scena dell'intrusione della sorella di Susie, Lindsey, nella sua abitazione, probabilmente la sequenza meglio riuscita dell'intera pellicola grazie al giusto mix di quegli espedienti sonori e tecnici che rendono il tutto così intenso e coinvolgente.

Un discorso a parte merita il lavoro fatto sugli effetti digitali, creati dalla compagnia Weta Digital. Un discorso che andrebbe però scisso in due parti: se da un lato, infatti, il lavoro svolto per ricreare quei panorami e quegli orizzonti onirici e paradisiaci immaginati dalla Sebold, è più che soddisfacente, ma non eccelso, sebbene la scena in cui le navi in bottiglia si infrangono sugli scogli sia magnifica, al di là del significato che ricopre, lo stesso non si può dire per quanto concerne le sequenze ambientate nel contesto reale e terreno; un caso su tutti: la morte dell'assassino.
La vista di quel corpo in caduta fa quasi gridare allo scandalo per quanto palesemente finta possa apparire la scena, specie se si confronta con il lavoro fatto per "The Lord of the Rings", talmente perfetto da risultare quasi invisibile, impercettibile.

Ad onor del vero va detto che rendere pienamente giustizia ad un libro è impresa ardua, questo è vero, ma è altrettanto vero che da uno come Peter Jackson, capace di rendere tangibile un mondo vasto e complesso come quello tolkieniano, e di mettere d'accordo critica e pubblico, nonché soddisfare perfino i più esigenti e puristi cultori della "Trilogia dell'anello", quel qualcosa in più era lecito aspettarselo.
Invece il regista di Pukerua non solo commette tagli non certo risibili alla sceneggiatura, ma mostra anche una certa mancanza di coraggio, che invece lo aveva così bene contraddistinto nel suo cinema d'esordio con "Bad Taste" prima e il delirante "Splatters" dopo, per non parlare dei burattini di "Meet the Feebles". Il riferimento è soprattutto alla sequenza madre della pellicola, ossia l'assassinio di Susie che Jackson preferisce solo accennare, lasciando allo spettatore il compito di ricreare la scena nella propria mente, concedendogli ampia libertà interpretativa.

Al di là di tutto ciò, però, "Amabili resti" non è un film qualunque perché, pur avendo i suoi difetti, riesce comunque a non cadere nella trappola della autocommiserazione, cosa che forse ne rappresenta la forza più grande, e poi perché lancia un messaggio a suo modo di speranza: i Salmon, così ordinari, ma al tempo stesso così stra-ordinari nella loro capacità di tirar fuori quell'"eroismo quotidiano" che ti spinge a risollevarti e a rimettere insieme i cocci di una vita che a volta sembra inspiegabilmente andare in pezzi. Sono questi gli amabili resti.

"Ecco gli amabili resti cresciuti intorno alla mia assenza; quei legami talvolta tenui, talvolta frutto di grandi sacrifici - ma per lo più magnifici – che si formarono dopo la mia scomparsa".

"Auguro a tutti una vita lunga e felice".

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Recensione a cura di Luke07 - aggiornata al 26/02/2010

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