speciale heimat - 11. la festa dei vivi e dei morti (1982)
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Heimat - 11. La festa dei vivi e dei morti (1982)

Epilogo di un'epopea del quotidiano della durata di 15 ore, 24 minuti e 10 secondi, "La festa dei vivi e dei morti" è un titolo esplicativo alla massima potenza e finalmente vengono tirate le somme del finale/non finale che Edgar Reitz esplica con uno stile altamente suggestivo e azzeccato. E a ricordarci che le centinaia di storie fino ad ora viste vanno ad unirsi sotto l'albero genealogico vasto delle famiglie Simon, Wiegand e Glasisch.

Heimat - La festa dei vivi e dei mortiMaria, "il secolo vivente" come la chiama Glasisch, è morta. I parenti vicini e lontani le rendono omaggio (dal Brasile addirittura, tema quello dell'emigrazione verso il Sudamerica che verrà ripreso da Reitz in un nuovo "Heimat" in lavorazione nei momenti in cui viene scritto questo speciale). I rimpianti verso Maria ci vengono mostrati in maniera struggente negli sguardi affranti di chi vorrebbe ancora essere riscaldato da lei ma oggi come allora non ne ha le possibilità (Paul); negli sguardi dei tre figli che sembrano ritrovare un ultimo momento di serenità e comunione all'interno della casa dove ha abitato la famiglia Simon per generazioni, ormai in vendita; Hermann poi come un segno divino troverà la bara di sua madre a sbarrargli la strada verso casa in mezzo una pioggia scrosciante, lui che non era stato avvertito della morte di Maria; e infine Glasisch, invecchiato e confuso ma che conserva la memoria del passato.

La morte di Maria è l'avvenimento attraverso il quale personaggi come Hermann e Paul rielaborano il loro passato, pieno del rimorso di non aver capito quanto fosse importante il loro averla lì. Il loro destino in questo è uguale, ma Paul è avviato alla morte mentre Hermann ha ancora tutta una vita avanti per "scontare" questo errore.

La panoramica aerea sull'Hunsrueck, momento di solennità terribile e splendido allo stesso tempo, si contrappone a quello in cui Hermann visita la tomba di famiglia. Ci sono tutti, più i morti ormai che i vivi. "In Paradiso si parla il nostro dialetto", dice un vecchio e questo fa scattare qualcosa in Hermann, un senso identitario che aveva forse già provato in passato quando approntò quel concerto con i suoni della sua terra ma che adesso pare rielaborare in una forma ancora più complessa e definitiva.

Anton è definitivamente un uomo ancorato al passato: sbarra la casa dei Simon per dimostrare il suo rifiuto verso il fratello e la vendita, "così da qui nessuno entra e nessuno esce". Ma da quella casa nessuno potrebbe uscire e il lapsus ci indica il tentativo patetico e vano di "imprigionare" Maria e il suo ricordo nel materiale rappresentato da un abitazione dove ormai neanche gli spiriti abitano più. Maria ci viene presentata in questo episodio viva attraverso i ricordi dei suoi figli, o semplicemente nel passato; abbiamo anche modo di vedere una Lucie invecchiata alla festa dei settant'anni di Maria, senza più nessuno: suo marito Eduard morto, suo figlio Horst che ebbe la stessa sorta da ragazzino su una mina inesplosa. Anche lei si rese conto che ormai sono più i morti che i vivi...
I tre fratelli si ritrovano nella casa all'insaputa l'uno dell'altro, viaggiano nel passato rievocando ricordi di Maria e alla fine sarà Paul a comprare casa, un Paul prossimo alla morte ormai visti i malanni, che ne farà un'altra delle sue lapidi in vita a testimoniare (vanamente?) il passaggio sulla terra.

Alla festa di paese i fratelli si separano; è una tipica festa che indica il costume anni '80 (quindi contemporaneo all'epoca), festa svagata e dall'alto tasso alcolico. Heimat - La festa dei vivi e dei mortiAddirittura quasi decadente e surreale nei suoi toni via via più distruttivi, incoscienti. Anton si fa abbordare da due prostitute e finisce sordo, non riuscendo più a sentire ciò che succede attorno a lui (ebbene, questo però non è altro che una esplicitazione di quanto gli è accaduto da anni ormai nello spirito). Ernst si sente "catturato dall'Hunsrueck" e arrendendosi decide di buttarsi a capofitto in un altro matrimonio, che non pare destinato a durare. Hermann appronta invece un altro concerto.

E nella festa dei vivi c'è spazio anche per la festa dei morti; è l'unica, vera concessione di Reitz al tono surreale e onirico di un aldilà. Glasisch, morente, entra in una porta illuminata e rivede tutti i personaggi della sua vita una volta dall'altra parte. Tutti giovani, tutti vestiti come li ricorda, tutti che dicono le loro frasi con cui anche noi spettatori li identifichiamo ormai. Maria, giovane e bella di nuovo, rivede tutti loro (e quindi c'è un cambiamento di prospettiva dato che questo non è di certo visto attraverso l'ottica di Glasisch), si rincontra con Otto e insieme escono all'aperto unendosi ai vivi (inconsapevoli di esserlo), loro consapevoli ormai di essere dall'altra parte. Ma Edgar Reitz ha espresso il suo concetto in un'intervista che vale più di mille congetture sul perché questa parte finale si distacchi dal resto di "Heimat":

"Nel nostro cinema d'autore l'interesse per la metafisica deve necessariamente venir fuori, specie quando si dispone di tanto materiale: creiamo personaggi che nascono, cercano la felicità e alla fine muoiono. A questo punto sorge spontanea la domanda se siano veramente morti, se morire significa aver cessato di essere interessanti, di avere una storia, di essere "raccontabili". La mia conclusione è stata no. A questo punto ho dovuto abbandonare l'ambito del realismo, delle immagini realistiche. Ho così tradotto visivamente la credenza contadina che i morti continuano a vivere tra noi."

A tirare le somme quindi la storia finisce cinematograficamente, ma in realtà resta aperta perché l'Heimat non ha fine. Se anche l'oltre la morte è raccontabile, allora tutto è raccontabile in una sorta di cinema infinito che può disporre di tutte le ore di questo mondo senza che queste bastino. Ecco perché paradossalmente la saga di Reitz, cinquanta ore e passa in tutto, è soltanto opera d'arte che esprime un concetto che non ha fine come forse non ha avuto inizio.

L'Heimat, quella parola cosi difficile da comprendere e che ha sinonimi soltanto fasulli di ciò che rappresenta veramente, è sì la patria, il luogo natale da dove si viene, il luogo di nascita ma è un concetto ed una parola che nasce dalla mancanza. Per Reitz ciò è della massima importanza. L'Heimat non si ha e se ci si illude di averla (come Anton) allora inevitabilmente si rimane con le pive nel sacco. Heimat è mancanza e ricerca che coincide con la vita e che nel caso del regista è stata una ricerca artistica. Per questo Reitz ha trovato la sua Heimat ma imperterrito non se ne è reso conto e ha continuato a cercarla in continuazione e continua a cercarla dirigendo ancora film con questo titolo. Come Hermann, che nel finale dalla cava diffonde nell'etere la sua musica sublime e viscerale impreziosita di parole nel dialetto dell'Hunsrueck, attraverso l'Arte si può cogliere il senso dell'Heimat e Reitz ci è riuscito.
Nella storia personaggi come Paul, Ernst o Anton girano a vuoto: il primo e il secondo cambiando sempre luoghi e pelle cercando qualcosa che non si erano resi conto di avere già (la mancanza), Heimat - La festa dei vivi e dei mortiil terzo credendo di possederla e in realtà avendo solo il feticcio di ciò che crede sia (l'Heimat). Hermann, personaggio autobiografico per stessa ammissione di Reitz, in fondo è il vincente di questa serie pur con tutti i dubbi e i finali apertissimi sempre tesi ad una nuova ricerca. Perché egli ha la possibilità (magari vana, magari destinata al successo) di ricercare ciò che gli manca anche se poi l'ha sempre avuto come si è reso conto una volta che è morta la sua Heimat Maria. Ricercherà egli una seconda Heimat, una seconda patria nella sua giovinezza (quindi l'ha già ricercata), in quello che è il capolavoro assoluto di Reitz e una perla del cinema in generale.
Non spaventino le lacune cronologiche o gli (apparenti) errori di continuità del secondo e terzo "Heimat": questi sono racconti che (non) nascono e (non) finiscono nel loro ciclo di ore ma in realtà sono altre storie, e altre storie ancora in potenza vengono raccontate attraverso i loro personaggi. Ciò che conta è ricavarne un senso, un qualcosa e si può essere certi che la visione di questo capolavoro, interamente, cinquanta ore che pure non bastano, eccede il cinema e come tale ve lo porterete dietro tutta la vita. Magari inconsapevoli di avere appena visto ciò che per tutta la vita avete sperato, date le mancanze naturali di tutti noi poveri esseri umani che la nostra Heimat, in fondo, la cerchiamo in tutti i luoghi, in tutti i tempi e in tutte le nazioni (ché non c'è nazione che (con)tenga Heimat).


Torna suSpeciale a cura di elio91 - aggiornato al 25/01/2013

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