speciale heimat - 10. gli anni ruggenti (1967-1969)
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Heimat - 10. Gli anni ruggenti (1967-1969)

Questo penultimo episodio del primo "Heimat" introduce soprattutto l'amarezza e il rimpianto verso il passato, che troveranno poi nell'ultima parte il giusto ed inevitabile finale; meglio ancora, qui la Heimat viene vissuta come un qualcosa da non prendere come un feticcio, capace altrimenti di offuscare gli animi e di cristallizzare nelle persone soltanto l'idea che esse hanno del benessere presente (difatti tornano ancora frasi e concetti che concernono il "fermare il tempo"). Heimat - Gli anni ruggentiNon è un caso che si affronti negli anni ruggenti la sofferta decisione di Anton: venderà o no la sua azienda, dopo l'offerta di una multinazionale? E ancora, dopo l'offerta di questi lo stacco ci introduce una Maria stanca, invecchiata, che ancora discute con Pauline di progetti irrealizzabili come l'andare in Florida a farsi una vacanza, discorsi che le due in misura diversa già facevano negli anni precedenti alla guerra, tornando dal cinema.

Il progresso avanza inarrestabile, mostruoso; questo destabilizza ed irrita Anton che davanti alla nascita della tv a colori continua a prendersela con gli americani. Lui che ancora assilla i suoi dipendenti e chiunque (acquirenti, familiari, conoscenti) sui famosi 5300 chilometri a piedi per tornare a casa attraverso l'Europa, quando cominciò a pensare la nascita della sua fabbrica che continua ad andare bene. Marta, sua moglie, gli dà un consiglio tanto semplice quanto inaspettato: perché non chiedere consiglio a papà Paul? D'altronde lui ha aiutato Anton ad aprire la fabbrica, lui ha avuto per primo successo nel modello americano tanti anni prima del figlio e sicuramente saprà come consigliarlo. Sapendo che si trova in Germania a Baden-Baden si precipita a trovarlo ottimista. In realtà ricevendo ancora più dubbi alle sue domande.

Paul infatti ha venduto la sua fabbrica e adesso sta aiutando Hermann ad approntare un importante concerto che verrà trasmesso in radio; la ricerca elettronica di Hermann, ormai cresciuto, è supportata con entusiasmi giovanili da questo "daddy" che proprio padre non è; eppure sono sulla stessa lunghezza d'onda i due, pur con le dovute differenze: Hermann è esattamente quello che ci si aspetterebbe da un direttore d'orchestra avanguardista: giovane, attraente, compassato; suo padre è sempre più yankee da camicione hawaiano, esclamazioni americane, atteggiamento sicuro di sé. Questo suo ritorno di fiamma per l'antica passione giovanile, quella dell'elettronica, giustifica la fuga, gli anni di silenzio, la lontananza dagli affetti di tutti quegli anni? Era tutto improntato a questo momento, è stato un grande fallimento (in sostanza) o Paul ha davvero realizzato quel sentimento che sentiva dentro di sé, scappando via quel giorno come tanti di tanti anni prima?

Anton è soltanto un terzo incomodo in mezzo ai discorsi dei due sul suono. Heimat - Gli anni ruggentiQuando suo padre gli consiglierà di vendere continua a rimuginare, lo disprezzerà nonostante tanto torto non abbia visto il futuro che si prospetterà (per citare Paul "I soldi è meglio spenderli che farli").

Altra disgregazione in seno alla famiglia Simon è quella tra Anton ed Ernst; quest'ultimo si dedica ora a modernizzare le case con un discreto successo, destinato come al solito a non durare a lungo. Quando penserà di fare lo stesso alla casa in cui i due sono cresciuti, questo decreterà il distacco definitivo dei due fratelli sempre più distanti e troppo diversi. Anton, come Maria d'altronde, è sempre più solo. La sua decisione di non vendere la fabbrica (con discorso sui chilometri a piedi affrontati di contorno) è un momentaneo trionfo che a lungo andare non gli porterà di certo quanto sperato. Questo nonostante egli dica a sua moglie che "un uomo deve sempre sapere dove si trova la sua casa, e noi lo sappiamo". Come se la fabbrica fosse l'Heimat di Anton o il suo status sociale. Pensieri che un po' ricordano quelli ingenui di Lucie, la zia che non vediamo da due episodi e che scopriremo sola, affranta nel dolore e che trova conforto nella religione senza più il suo Eduard e nemmeno il figlio Horst, morto su una mina inesplosa anni prima.

Nella sera del concerto tutta Schabbach è riunita nell'ascolto ma quasi nessuno comprende quella musica strana, stonata, che "fa male alle orecchie". L'unico è proprio Glasisch che riconosce nella musica i suoni della sua terra; lui, il "mezzo scemo", l'ignorante che tutti sembrano sopportare più che amare, ha un'intuizione profonda che non a caso ricalca quella che Reitz fa ammettere ad un critico nei confronti di Hermann subito dopo la fine del concerto. Heimat - Gli anni ruggentiIl massimo del colto e il massimo dell'ingenuità (o ignoranza che dir si voglia) si incontrano dimostrando di non essere in contrasto spesso e volentieri, essendo l'arte un qualcosa di intuitivo prima di tutto, al di sopra di qualsiasi razionalizzazione o preconcetto. La musica che per Glasisch viene da un altro mondo lo ha rapito, lo ha conquistato. La musica dell'"Heimat" che sarà la nota finale del primo tassello della saga firmata dal regista. Anche Maria non capisce suo figlio e la sua musica, tanto che una volta ascoltato il concerto dirà sinceramente ad Anton "Non pensavo mio figlio si sarebbe tanto allontanato da me". La conferma ci viene dal finale: Hermann ormai è un corpo estraneo, ancora alla ricerca della sua Heimat anche se in realtà, lui non lo sa, l'ha già trovata. Trasfigurarla in Arte, nel suono che si diffonde ricalcandone i battiti primitivi, pare essere l'unico modo per non ingrigirsi nella vecchiaia e nel rancore di una Heimat che può anche essere presa solo come simbolo di un qualcosa che non c'è mai stato, o non c'è più. Anton e Ernst in fondo sono accomunati nel loro destino tragico da questo concetto, Hermann capirà tutto nel lungo apprendistato.

Il '68, anno giovanile per eccellenza delle proteste, non è affrontato da Reitz qui. Dedicherà un intero "Heimat" agli anni '60 e ad Hermann però. Quindi come si può vedere nulla sfugge a questo cinema della memoria, perfino quando i salti temporali sono repentini e "lunghi" come in questo caso (undici anni rispetto a "il Giovane Hermann").


Torna suSpeciale a cura di elio91 - aggiornato al 25/01/2013

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