Recensione stress da vampiro regia di Robert Bierman USA 1989
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Recensione stress da vampiro (1989)

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locandina del film STRESS DA VAMPIRO

Immagine tratta dal film STRESS DA VAMPIRO

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Immagine tratta dal film STRESS DA VAMPIRO

Immagine tratta dal film STRESS DA VAMPIRO
 

Nell'ormai lontano 1985, Joseph Minion scrisse una sceneggiatura di un film destinato a diventare un 'cult', anche grazie a Martin Scorsese.
Il film era "Fuori Orario".

Quattro anni più tardi la verve creativa di Minion tornò ad esprimersi, riscuotendo meno successo di pubblico ma in modo altrettanto interessante. Egli scrisse infatti "Stress da vampiro", diventato poi un b-movie diretto dallo sconosciuto regista televisivo Robert Bierman e interpretato da un giovane Nicolas Cage.

Titolo originale ("Vampire's kiss") e titolo italiano sono d'inganno: i vampiri nel film sono assenti e il vampirismo non è altro che un'efficace ed ossessiva metafora della solitudine e dell'incomunicabilità. Lo sfondo che detta i ritmi del disagio esistenziale è la metropoli, raffigurata come un immenso sistema che sottomette gli esseri umani, eroi fatiscenti di uno stile di vita volto all'eccesso.
La metropoli è cupa e livida, schizofrenica ed in perenne movimento: il suo protagonista, che ne è vittima e carnefice, è lo yuppie.

Lo yuppismo, nato negli anni '80 a Manhattan come stile di vita giovanile associato alla ricerca di ricchezze e successo, non ha mai avuto un approfondimento adeguato al cinema. Pensando ai giovani reaganiani, formiche laboriose e rampanti nella loro tana-grattacielo, subito ci viene in mente il "Wall Street" di Oliver Stone, film sin troppo misurato nella sua rappresentazione. Ciò che rendeva lo yuppie diverso era il suo maniacalismo, la ricerca della perfezione estetica e professionale, l'assenza di pause riflessive e meritati riposi. Bret Easton Ellis scrisse a tal proposito un libro nel 1991, "American Psycho", più tardi tradotto in film da Mary Harron e Christian Bale.
Peccato però che Nicolas Cage avesse già interpretato il suo Patrick Bateman due anni prima.

New York. Peter Loew (Cage) è un affermato agente letterario che vive una vita frivola: di giorno annoiato ed alienato dal lavoro, routine che per lui diventerà incubo, di notte esaltato dalle sue conquiste amorose. Peter è anche una persona estremamente fragile: la psicanalista Glaser (Elizabeth Ashley) pazientemente ascolta i suoi timori e le sue paranoie almeno una volta alla settimana. Una notte, fatto ritorno nel suo appartamento con una delle sue tante prede, un pipistrello entrerà nel soggiorno e l'esperienza lo turberà irrimediabilmente. L'evento sarà la chiave di volta della sua vita: la sua mente partorirà la donna dei sogni, Rachel (Jennifer Beals), una vampira. Durante il loro primo rapporto Peter verrà morso sul collo e ciò stravolgerà le sue abitudini trasformandolo in una persona sempre più irascibile ed agitata. Collerico anche sul lavoro, maltratterà la sua timida e pacata segretaria Alva (Maria Conchita Alonso) affibbiandole un lavoro meschino alla ricerca di un vecchio contratto introvabile. Un'iperbole di deliri e frustrazioni perdurerà per tutto il film sino all'agognato finale.

Il film si apre con una splendida panoramica diurna sui grattacieli di Manhattan, qui rappresentati in controluce come sagome appena liberatesi dall'indecifrabilità della notte. La grande metropoli diventa per il regista il teatro soprannaturale di orrori gotici, che ingigantisce l'alone orrorifico e deviante del paesaggio.
Il protagonista si muove in questa tetra giungla metropolitana, dove è più di moda avere una psicanalista che amare una donna. Peter è un maschilista: egli sfrutta le donne per una notte di sesso, si serve di loro per curare le proprie isterie mentali, le maltratta verbalmente in ambito lavorativo, sfugge da loro durante gli appuntamenti. È anche un uomo estremamente solo, il cui disagio scaturisce dal mondo circostante. Pesce fuor d'acqua, intorno a lui l'amore sembra essere quotidianità ma nella sua quotidianità la felicità non è mai raggiunta. Tutto questo viene descritto attraverso una rappresentazione limpidamente ironica, scandita sin dalle prime battute dai movimenti e dai gesti di un giovane Nicolas Cage all'apparenza sopra le righe ma in grandissima forma. L'impronta del film è dunque quella della commedia.

Difficoltà di interazione con gli altri, fragilità caratteriale, solitudine, angoscia e morte sono le tematiche del film. Tematiche ampiamente sviluppate ed analizzate nell'esistenzialismo, soprattutto nella sua "metamorfosi" letteraria di inizio ventesimo secolo: accade così che Franz Kafka appaia in foto sulla scrivania del protagonista, citazione volontaria dello sceneggiatore. Peter Loew e Paul Hackett (Griffin Dunne in "Fuori orario") sono vittime di un processo chimerico: inconsapevoli del loro capo d'accusa, si porranno domande sulla loro assurda trasformazione agli occhi degli altri. Orripilante sarà svelare l'orrore e l'angoscia di una tale mutazione, non tanto la mutazione in sé.

La metafora del vampiro è funzionale a sottolineare esigenze diverse e separate, incarnando un'immagine perfetta della schizofrenia. Con lo scorrere dei minuti vedremo il personaggio interpretato da Nicolas Cage affrontare tutti i cliché del genere e in un certo senso scardinarli letteralmente prendendosene gioco. La sua demenza mentale prenderà forma nel credersi un vampiro. La sua apparente cattiveria sarà figlia del suo disagio debordante: brutalità, vulnerabilità, tragedia saranno il mix perfetto del film e renderanno al protagonista una complessità rara a vedersi sul grande schermo. La caratterizzazione del personaggio rasenta la perfezione, rimanendo misurata nella sua iperbolicità.

Con il passare dei minuti la metamorfosi mentale di Cage si esternerà nella sua fisicità e nei suoi gesti: mangerà uno scarafaggio vivo, ribalterà il suo divano trasformandolo in una bara, avrà paura dei crocifissi, si sentirà in pericolo al sorgere del sole, delirerà davanti ad uno specchio credendo la sua immagine non riflessa, dubiterà della sua mortalità sparandosi più volte con una pistola a salve ed infine crederà di potere succhiare il sangue con l'aiuto di una "halloweenesca" dentiera di plastica. Tutto questo con un'ironia nera ancora difficilmente concepibile sul finire degli anni '80: forse anche per questo il film venne quasi trascurato. Il lavoro di Bierman è una succinta satira sull'ego umano, una commedia assurda camuffata da horror inautentico.

Il vampiro di riferimento è Nosferatu: più volte infatti verrà ripreso il film di Murnau. Durante uno dei suoi primi incontri con Rachel, Peter Loew guarderà in televisione il capolavoro del regista tedesco: la scena scelta che alimenta le angosce del povero protagonista sarà quella finale, in cui il "diverso" si nutre finalmente della sua preda poco prima di morire. Poi, durante una delle sue uscite notturne Cage scimmiotterà il vampiro in una discoteca, e all'incontro con una ragazza farà proprio le mosse che erano prerogativa di Max Schrek: la testa incassata nelle spalle, la bocca spalancata nel far vedere le fauci, lo sguardo allucinato.

Infine la frase emblematica e più esplicita di tutto il film, urlata con una sorta di disperazione durante il finale: "Sono un vampiro come Nosferatu".

Analizzando l'importanza dei quattro protagonisti e i loro interpreti ci si rende conto di quanto ognuno di loro sia diverso e complementare nella visione d'insieme del regista.

Jennifer Beals arrivava dal successo di "Flashdance", e la critica la accusò di non incarnare al meglio il fascino freddo e misurato che avrebbe dovuto avere una vera vampira. Ciò a cui i critici non pensarono fu il fatto che nell'interpretazione della Beals c'è la tipologia umana di vampiro che il protagonista realizza nella sua mente: una sensualità che toglie il respiro, bramosa e frenetica a letto ma capace di un amore accogliente. Lei rappresenta dunque ciò che al protagonista manca, una persona che lo asseconda. Probabilmente Rachel è la distorsione di una sua fallita relazione precedente, oppure un amore mai corrisposto.

Maria Conchita Alonso interpreta Alva, la segretaria perseguitata da Cage: lei è la vittima predestinata e consapevole della vita frenetica metropolitana, del mondo tirannico frutto di un'urbanizzazione miope e feroce. Alva non potrà però subire gli stessi squilibri mentali del protagonista: solo chi sarà inghiottito dall'illusoria evoluzione sociale mostrerà la metamorfosi anche attraverso la sua fisicità.
Compassionevole e cosciente, timida, senza un briciolo di dignità, sarà l'antitesi di Peter ed il suo rapporto con quest'ultimo risulterà metafora di gerarchia e potere: l'attrice cubana le offrirà un volto adeguato.

La dottoressa Glaser, interpretata da Elizabeth Ashley, ha il ruolo di giustificare le azioni di Peter e dare sollievo al suo stato d'animo: sarà lei la sua ancora di salvezza e redenzione prima di morire. Dato il taglio del film il suo personaggio potrebbe sembrare una caricatura del suo stesso lavoro, si tratta invece di una curata e satirica rappresentazione della professione di psicanalista, figura a contatto con le psicologie più disparate e disperate. Con un perfetto mix di parole la dottoressa Glaser riesce sempre ad essere convincente e interessante, anche per lo spettatore estraneo alla vicenda.

Nicolas Cage, "jazzista della recitazione" (David Lynch), si confronta qui con il ruolo che gli riesce meglio: quando deve mettersi in gioco sembra trovarsi completamente a suo agio. La stessa capacità la troviamo in "Face off", "Cuore selvaggio" e anche nel suo più recente ed herzoghiano "Cattivo tenente". È un attore che ama prendere dei rischi quando si tratta di uscire dagli schemi ma, nello stesso tempo, che evita con brillante controllo di estraniarsi dal suo personaggio. Interpreta con eccesso il suo Peter Loew, proprio come il film è l'eccesso della storia che racconta.

Con un budget più elevato e magari in un'epoca diversa, "Stress da vampiro" avrebbe sicuramente avuto più successo e visibilità.
Teniamoci dunque stretto questo b-movie come esemplare di una specie in via d'estinzione, uno di quei bei film di genere che con il passare del tempo hanno lasciato strada al realizzarsi delle proprie nere profezie.

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Recensione a cura di Gianluca Pari aka VincentVega1 - aggiornata al 18/12/2009

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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