Recensione silent hill regia di Christophe Gans Francia, USA, Giappone 2006
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Recensione silent hill (2006)

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locandina del film SILENT HILL

Immagine tratta dal film SILENT HILL

Immagine tratta dal film SILENT HILL

Immagine tratta dal film SILENT HILL

Immagine tratta dal film SILENT HILL

Immagine tratta dal film SILENT HILL
 

Ci son persone che sanno fallire benissimo nella vita. Lo fanno con metodo, con precisione, come se fosse la loro missione. E centrano sempre l'obiettivo; quando possono fallire, lo fanno. Chiedete a Christophe Gans, lui sì che se ne intende. Osò criticare quel capolavoro che è "Avalon" di Oshii, dal basso del suo miserabile "Patto coi lupi".
Prese la storia memorabile di un manga immortale, "Crying freeman" e la trasformò in un filmetto di cui si sarebbe vergognato persino Pingitore. Poi deve aver passato quanche oretta alla playstation, giudicando "Silent Hill" il miglior survival horror che abbia mai visto.
Quanto basta per far scattare la decisione che le sue magiche e provvidenziali armi cinematografiche avrebbero potuto disintegrare il ricordo di tal capolavoro. Perchè per trasformare un bellissimo gioco in qualcosa di imbarazzante non ci vuole molto, basta che Gans se ne occupi.
Già, perchè Gans è una persona che sa come ottenere quel che vuole: lui si alza e se ne va via alle proiezioni dei film che non gli piacciono in segno di dissenso (quasi tutti capolavori), si intervista da solo, si fa i complimenti da solo, si fotografa da solo, si dà ragione da solo. Poi però i suoi film li fa vedere agli altri; lui, a scanso di equivoci, tiene fede alla sua linea e se ne va dalla sala perchè non gli piace quando il pubblico, dice, fischia le sue opere. Cioè sempre.

Ma l'acredine di questa breve ma significativa introduzione deriva per la maggior parte dall'amore che proviamo per la saga di "Silent Hill". Un qualcosa che non si può spiegare, non si può raccontare. E' un'esperienza, e come tale va vissuta.
Due parole sul gioco: il kolossal della Konami nasce principalmete con l'esigenza di tener testa e contenere lo straordinario successo di "Resident Evil". Quanto questo è caciarone, tutto azione e un po' farlocco, tanto "Silent Hill" è cerebrale, lento, suggestivo e realmente inquietante. Fin'ora si contano quattro capitoli: il primo molto cervellotico, con la trama che è poco più di un pretesto. Il secondo è meraviglioso, con una trama realmente sceneggiata, un poco scontata ma di sicuro impatto. Il terzo si butta a capofitto sulla falsariga del primo, ma tuttosommato è bruttarello assai. Il quarto parte con un'idea eccezionale, ma poi si perde nelle stesse nebbie di Silent Hill, praticamente un pacco.
Ricapitolando, solo il secondo è profondamente cinematografico, mentre i restanti sono maggiormente portati verso l'esperienza videoludica vera e propria.
Ragionamento di un essere normale: facciamo il porting del secondo episodio.
Ragionamento di Gans: facciamo il porting del primo episodio shakerato col terzo, ma non prima di aver reso ridicola la già esile (?) trama (?).
E qui casca l'asino, e le magagne vengono fuori, ma dell'aspetto videoludico e di quello cinematografico parleremo poi.

Se la cosa fosse stata solo affidata a Gans allora nessuno si meraviglierebbe del fatto del pacco garantito. Ma c'è un elemento d'ampia inquietudine, un orrore maggiore di tutti quelli di Silent Hill messi insieme.
Il colpevole della sceneggiatura risponde al nome di Roger Avary, colui che scrisse l'episodio centrale di "Pulp Fiction", quello con Bruce Willis.
Ha poi diretto il filmetto "Killing Zoe" e il pessimo "Rules of Attraction".
Se ne deduce che come regista val pochino, ma ora dovremmo ammettere che è bruciato anche come sceneggiatore.
Passando al film, un dubbio sovviene nel momento in cui lo si giudica; quanto il film di "Silent Hill" può essere indipendente dal videogioco "Silent Hill"?
Per girare la questione, nessuno si sognerebbe mai di affermare che per vedere e godere di un film si debba necessariamente leggere anche il libro da cui è tratto, nella stessa misura in cui non si capisce perchè per gustarsi "Harry Potter" uno debba conoscere a memoria anche il libro da cui è tratto. Altrimenti il ragionamento dovrebbe valere per tutti i film, che sono per il 90% tratti da libri.

Ma per il videogioco? Il porting da monitor è spesso problematico per la natura stessa del videogioco; l'aspetto interattivo è il principale artefice del suo successo, e la trama (quando c'è) pare "gonfiata" da questo valore aggiunto. Ma spesso si scopre che questa trama, spogliata dalla giocabilità non è che sia granchè.
"Wing Commander", "Final Fantasy", "Doom", "Tomb Raider": tutti esperimenti falliti. Per cui torna la domanda: è necessario essere coscienti di ciò che si sta per vedere per apprezzarlo in pieno? C'è una sottile linea tra opera ispirante e opera ispirata che non può essere scissa? Il porting cinematografico di un videogioco è autosufficiente dinnanzi all'esperienza ludica?
Se dovessimo analizzare tutti i precedenti casi, dovremmo dedurne che la risposta sia negativa.
Entrare in sala per vedere "Silent Hill" senza sapere cosa sia e cosa rappresenti quella città dimezza l'esperienza in maniera sufficiente da garantirne la delusione. Silent Hill è una città-limbo che attende chiunque inconsciamente la aspetti da anni. Una città-incubo nel primo episodio, un luogo a cui giungono individui che hanno dimenticato qualcosa nel secondo. E son lì per ricordare ciò che hanno in precedenza obliato.

Il film Di Gans fa di tutto per riportare su schermo le stesse esperienze e gli stessi luoghi del gioco, e bisogna ammettere che spesso ci riesce. Ma è tutto una copia, un simulacro della vera Silent Hill, ove nessun luogo in realtà pulsa della stessa carica vitale della controparte videoludica. E' come se vedessimo la città Silent Hill attraverso un vetro; ne abbiamo la percezione, ma la scarsa approssimazione del regista ce la tiene a debita distanza.
Questo accade perché Gans è assolutamente impersonale, ed è caduto nella più stupida delle trappole; ritenere che le immagini del gioco fossero autosufficienti, non sapendo che ciò che sopravvive e si autoalimenta in un campo (letteratura, videogiochi) può essere fallace in un altro (il cinema).
Perchè, ad essere onesti, i luoghi indimenticabili della città maledetta ci son tutti: l'ospedale, la radio, l'immancabile stazione di servizio, la perenne nebbia. Non ci è sembrato invece di scorgere il famigerato Toluca Lake, ma pazienza, fosse questo il difetto.

I luoghi deputati ci son tutti, anche nella loro versione da "incubo"; mattonelle cadute, muri arrugginiti, infinite ringhiere che contengono chissà cosa. Le musiche sono le stesse, così come le creature che popolano la città. Son lì però superficialmente, senza che servano realmente allo sviluppo della trama. Anzi, a ben vedere non servono davvero a nulla. Son lì perchè bisogna mettercele. Ecco il principale difetto di "Silent Hill"; non è un film Su Silent Hill, è un film che cita in continuazione Silent Hill. E questo, per chi ha amato ed ama la saga, può esser frustante.
Ed ecco quindi Pyramid head, custode della memoria nel gioco e semplice affettatore nel film, che vaga col suo coltellino svizzero alla Berserk in cerca di una funzione che tuttavia non trova (anche perchè compare tre minuti e via nel dimenticatoio).
Ed ecco le infermiere-manichini, che compaiono per un minutino e non servono assolutamente a nulla. Va detto però che la sequenza con i suddetti manichini protagonisti è di rara inquietudine, davvero ben realizzata e sorprendentemente efficace. Le infermiere sono davvero in tutto e per tutto identiche a quelle del gioco, solo che qui hanno le tette giganti.

Come già detto, tanta, tanta approssimazione; si veda l'incipit, davvero inutile e mal fatto.
O la superficialità con cui Rose, Sara e Cybil finiscono nella città. E' tutto uno sfondare di cancelli con la macchina, ma perchè avviene tutto questo? E' tutto confuso, approssimativo e appena abbozzato. Per sfortuna è l'andazzo che non lascerà mai il film, sino alla fine. Il primo impatto con la città non è nemmeno orribile, in verità, e Gans ci fa vedere subito tutto quel che vorremmo vedere. Ma anche qui pecca di eccesso di informazioni.
In una manciata di minuti abbiamo già visto velocemente la città che si trasforma, i suoi incubi e le sue degenerazioni come se fossimo parte di una gita turistica. Non si ha il tempo di metabolizzare, non si ha il tempo di rimanere scossi e inquietati da ciò che nel gioco funzionava così bene. Questo perchè il gioco era lento e riflessivo, mentre il film è soprattutto caciarone, farsesco e veloce, troppo veloce. Nell'ansia di condensare tutto ciò che il gioco ha da offrire, Gans canna miserabilmente, mette tutto nel frullatore e ci fa bere il pappone, ovviamente indigesto. Cioè fa sì che si assista a sequenze realmente ridicole. Il già citato incipit, l'inseguimento sino all'approdo di Silent Hill, il "popolo" della città, davvero poco credibile. Ma soprattutto il momento in cui Rose afferra la chiave dalla bocca della creatura, o il top della risata rappresentato dalla memorizzazione della mappa dell'ospedale da parte della turbomamma.
Queste sono cose che chi conosce il gioco può o non può apprezzare, ma sa che son tributi.

Ma chi va al cinema per vedere semplicemente un horror, senza minimamente sapere cosa sia Silent Hill? Perchè, ricordiamocelo, un film è un film ed è opera autosufficiente. Ma con "Silent Hill" il discorso non funziona più, perchè il film è semplicemente una protesi del gioco; non ha forza sufficiente per esserne autonomo. Troppi sono i tributi che paga alla sua controparte ludica.
Si presume che l'ignaro spettatore sia costantemente confuso e lacerato da dubbi, chiedendosi perchè mai stia accadento ciò che accade. E la sequenza in cui Silent hill esplode per la prima volta in tutto il suo orrore con un'esterrefatta Rose è in questo senso emblematica. Chi è a digiuno, quale conclusione potrebbe mai trarre?
Il gioco si ispirava a quel capolavoro di Lyne che è "Allucinazione perversa" (traduzione ignobile di "Jacob's Ladder"). La città di Silent Hill è fitta di citazioni e rimandi a quel film (Bergen Street). Lì nel gioco la cosa reggeva, perchè comunque l'interazione e la risoluzione di enigmi (a volte davvero ostici) faceva spesso dimenticare l'esiguità della trama, nel caso del primo episodio un semplice pretesto.

Nel film si è voluto sopperire a tali mancanze con un accenno di trama in più che pretende di spiegare troppe cose. Ecco così che l'ennesimo elemento di fascino del gioco, ovvero il "dico e non dico, spiego e non spiego" viene irrimediabilmente perso, perlopiù sostituito da una trametta che sa di già visto e sentito come non mai, di un banale che nel 2006 andrebbe punito con la castrazione chimica, perchè appare immediatamente chiaro che Gans e Avary non possono inquinare il resto della razza umana con la loro progenie.
Quando il film parte per la tangente e diventa creatura del geniale sceneggiatore e dell'insostituibile regista, il senso del ridicolo la vince su tutto e finisce con una fastidiosissima citazione di "Hellraiser", dove per un attimo i supplizianti sbagliano film, entrano in "Silent Hill", arpionano un po' tutti e se ne vanno chiedendo scusa, abbiamo cannato film.
Si può veder bistrattato Silent Hill in questo modo? E non si comprende nemmeno perchè sia stato praticamente tagliato fuori il personaggio di Harry Mason, il protagonista maschile del gioco. La cosa pare strana, perchè se si desiderava comunque una protagonista femminile sarebbe bastato ampliare lo scarsissimo ruolo della superpoliziotta Cybil.

Dall'alto della sua incompetenza, Gans avrebbe forse dovuto dare un'occhiata alle atmosfere che si respirano nel già citato "Allucinazione perversa" e "Session 9". Ecco, è forse in quest ultimo titolo che maggiormente si respirano le tanto agognate atmosfere alla Silent Hill. Un leggero spunto non avrebbe fatto male.
Per non tacere di un altro illustre predecessore, "St.John Worth" di Shimoyama Ten, forse il predecessore del survival horror su schermo.
Che fa schifo, ma questo è un altro discorso. Esattamente come "Alone in the dark", che vorremmo tanto dimenticare.
Ma Gans è sicuro di sè, e fa recitare le orride battute ai protagonisti nella speranza che in fase di post produzione il computer redazionale aggiusti tutte le castronerie.
"Tanto ci sono gli effetti speciali", avrà pensato il regista, dimenticandosi però di costruirci un film, attorno agli effetti. "Tanto c'è la sceneggiatura di Roger", avrà pensato il regista, se solo Avary avesse scritto qualcosa. Qualcosa l'ha in effetti scritta; ma è una sceneggiatura da non più di 12 pagine.

Ma come protagonista assoluto vi è un errore gigante come il Canada: l'aver dimenticato la separazione dei campi di apparteneza dei due "Silent Hill", pretendendo che videogioco e cinema siano la medesima cosa. Che è lo stesso madornale errore che molti compiono quando si tratta di trasporre un fumetto.
Purtroppo per loro, la semiologia ci informa che ogni tipo di manifestazione culturale si muove veicolata e vincolata dai propri codici di apparteneza. Il fumetto ha i suoi, il videogioco ha i suoi, la letteratura ha i suoi e il cinema ha i suoi.
I registi cerebrodotati capiscono immediatamente che nel fare un porting si deve necessariamente allontanare dal campo di appartenza dell'opera originale, per cui, paradossalmente, il successo cinematografico è garantito quando più ci si allontana dell'oggetto ispirante. Quando "i furbetti del cinemino" decidono di imboccare la scorciatoia cannano drasticamente. Perchè come non si può portare su schermo un fumetto semplicemente riprendendo con la macchina da presa le illustrazioni in bianco e in nero, così non si può pretendere di portare al cinema un videogioco semplicemente filmando ciò che avviene sul monitor. Dev'essere questione di personalità.

E' come se foste costretti a guardare lo svolgimento di "Silent Hill" mentre un altro ci sta giocando. Voi non potete fare nulla se non guardare l'altro che si diverte al vostro posto. Non sarebbe il massimo del godimento.
Purtroppo "Silent Hill" è finito nelle mani della persona sbagliata, Gans, colui che ha trasformato una città icona (che è la vera e indiscussa protagonista della serie, non le sue vicende che si limitano a gravitare intorno ad essa) in una sorta di casa stregata del luna park più scassato di periferia.
Colui che ha preteso di spiegare cosa sia Silent Hill, distruggendo il minimo fascino che la città poteva esercitare su chi è "vergine" del gioco. Colpevole di aver creato una sciocca e insignificante comunità di idioti che non sono valsi nemmeno a farci gustare un bel massacro finale alla Romero.
Abbiamo sempre tuonato contro l'ansia del remake, ma urge che qualcuno di capace faccia immediatamente un rifacimento di questo filmetto superficialissimo.
L'esempio negativo è già bello pronto, basta non fare nulla di quello che ha fatto Gans, che speriamo una mattina si svegli immerso da una fitta nebbiolina in camera da letto, e la radio inizi ad emettere strani disturbi...

In definitiva non sarebbe giusto giudicare "Silent Hill" se non come puro oggetto cinematografico, ma come tale non ne varrebbe nemmeno la pena di parlarne.
Il film è colpevole di dipendenza assoluta nei confronti del gioco, non riuscendo mai a conquistarsi lo spazio che avrebbe meritato. E' un film autorefernziale, anzi, un gioco autoreferenziale casualmente filmato da una telecamera accesa; da qui l'impossibilità di evitare pesanti paragoni col capolavoro Konami.
Ma senza il dual shock non è la stessa cosa.

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Recensione a cura di cash - aggiornata al 14/07/2006

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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