Recensione nella valle di elah regia di Paul Haggis USA 2007
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Recensione nella valle di elah (2007)

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locandina del film NELLA VALLE DI ELAH

Immagine tratta dal film NELLA VALLE DI ELAH

Immagine tratta dal film NELLA VALLE DI ELAH

Immagine tratta dal film NELLA VALLE DI ELAH

Immagine tratta dal film NELLA VALLE DI ELAH
 

Fin dalla citazione Biblica del titolo originale, che racconta la vicenda del giovane David mandato dal padre nella Valle di Elah a combattere il gigante Golia, c'è - nel nuovo film di Haggis - un rapporto intenso e forse indispensabile con la Metafora in quanto mezzo (o unico, disperato sostentamento) per raccontare la nostra Contemporaneità.
Un complessivo sguardo sulla Guerra in Iraq, antitetico a quello di De Palma, che gioca perciò di "sottrazione" e che, paradossalmente e insolitamente, è molto più vicino al sentimento spirituale e sofferto della popolazione americana rispetto all'iconoclasta "Redacted", rivolto forse più a un pubblico europeo.

La storia racconta di Hank Deerfield, ex-veterano del Vietnam, maniaco dell'ordine e della disciplina militare, fiero patriota, che cerca il figlio Mike, tornato dall'Iraq da una settimana e misteriosamente scomparso nel nulla.
L'uomo assolda una dectetive, l'ispettrice Emily Sanders (Charlize Theron), per indagare, ma inizialmente il rapporto tra i due è minato dall'antimilitarismo della donna, condizionato forse dal suo inerme conflitto con quell'universo maschile che, anche nel suo ambiente di lavoro (è spesso costretta ad occuparsi di casi di poco conto, e per questo viene spesso sbeffeggiata dai colleghi) è predominante. Dopo diversi giorni, il corpo del giovane marine viene trovato morto, barbaramente tagliato a pezzi, e tutto questo semina nel padre e nel suo universo di "valori" una profondissima revisione di tutto ciò che aveva valorosamente creduto.

Visto alla 64 mostra del cinema di VeneziaDopo l'invettiva antirazziale di "Crash" Haggis aggiorna la coscienza del Popolo americano creando un vertiginoso abisso di Valori e (falsi?) Idealismi.
"In the valley of Elah" ci mostra, vivaddio, un veterano di guerra meno tronfio del solito, impersonato da un Tommy Lee Jones che non dimenticheremo facilmente, capace di attraversare lo spirito Fiero delle sue scelte e delle sue convinzioni non senza quei temutissimi scogli con cui si scontra la Ragione contro lo sciovinismo più bieco.
Ogni ruga nel volto di Jones, o meglio di Hank, appartiene ad un'ennesima ferita nell'orgoglio, ad una disfatta che vede e sente correre nel proprio corpo veleni, maldicenze, omissioni, paure, trappole, inganni e crudeli verità (come quella del figlio che, come molti marines, faceva uso di droghe).
L'inconciliabilità dell'uomo con un mondo che gli appartiene e per cui sente ancora di appartenere si scontra con una ferita lacerante che è quella di un corpo ridotto a pezzi (quello del figlio), di una moglie- madre distrutta (un'intensissima Susan Sarandon), di una morale che deve accettare e perdonare le libertà di un ventenne forte come un soldato, ma debole come un "vero uomo", di un conflitto dove basta Immortalare un'azione terribile per trovare l'unico appiglio credibile alla parola "Verità".

Il film - con uno script che ricorda a tratti "Missing" di Costa- Gavras - si assume principalmente la responsabilità di mettere insieme due identità diverse, quella del marine e quello dell'ispettrice (che solo l'enfatizzazione di una Certa America vorrebbe indicare come "socialista" e contraria alle virtù e all'elogio degli States) facendo ritrovare ad entrambi lo stesso senso di perdita, di rabbia, di impotenza.
Ci vuole davvero coraggio per esporre una bandiera americana lacera e rovesciata, lasciando le coscienze trafitte e importunando il Grande Tabù delle Coscienze a stelle e strisce...

In effetti, quel che guasta nel film è proprio la sua proverbiale genuinità, la sua capacità indubbia e profonda di cavalcare l'onda di un fortissimo disagio e di percorrere questa strada con un rigore politically (un)correct che è destinato a far incetta di premi piuttosto che sfidare le convenzioni e il Potere con delle strumentali polemiche.
Sembra effettivamente che proprio il personaggio di Hank, nel suo militarismo indulgente ma mai davvero rassicurante, apra per esempio tardivamente gli occhi davanti a una Guerra che è simbolo/sintomo del conflitto lacerante degli uomini davanti ai loro destini istinti e alla loro abissale ferocia.

Malgrado ciò, gli sguardi impassibili di alcuni soldati che raccontano la terribile morte di un ragazzo, davanti al volto confuso e disperato di un padre, e la fotografia che umilia l'Uomo costringendolo a vedere un dramma non meno lacerante rendono questa Visione di Cinema assolutamente necessaria, dove la sottrazione gioca un ruolo determinante e nichilista per la sopravvivenza psicologica di chi ne è testimone.

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Recensione a cura di kowalsky - aggiornata al 13/09/2007

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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