Recensione l'amore bugiardo - gone girl regia di David Fincher USA 2014
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Recensione l'amore bugiardo - gone girl (2014)

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locandina del film L'AMORE BUGIARDO - GONE GIRL

Immagine tratta dal film L'AMORE BUGIARDO - GONE GIRL

Immagine tratta dal film L'AMORE BUGIARDO - GONE GIRL

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Nel giorno del suo quinto anniversario di matrimonio, Nick Dunne (Ben Affleck) scopre che sua moglie Amy (Rosamund Pike) è scomparsa e in casa ci sono segni di effrazione e di violenza. Mentre la giustizia fa il suo corso, il processo mediatico emette la propria sentenza, condannando Nick, che non riesce a dimostrare la propria estraneità ai fatti. Non tutto è come sembra, ma il confine tra verità e apparenza è molto labile...

Qualcosa non torna. Lo suggeriscono i racconti dei protagonisti, troppo discordanti, lo suggerisce la nostra esperienza con i thriller, lo suggerisce la stupefacente colonna sonora di Trent Reznor, che distrae, turba e aliena lo spettatore, portandolo ad ascoltare gli effetti sonori dietro la melodia - a cercare la verità dietro le immagini e le parole. Lo suggerisce l'intenso inizio, che mostra una deserta provincia americana che ha visto tempi migliori e si avvia verso una lenta e inarrestabile decadenza. "L'Amore Bugiardo", (terribile titolo italiano di "Gone Girl") ultima fatica di David Fincher, è un cattivo e (viene da credere) divertito affondo a tutto ciò che connota la nostra epoca fatta di immagine e promozione di sé. Complemento ideale di "The Social Network", Fincher ci mostra l'altro lato della medaglia dell'epoca social: siamo quello che proiettiamo all'esterno, ma il povero Zuckerberg non è l'unico colpevole. La kafkiana vicenda di Nick Dunne, sospettato numero uno della scomparsa della moglie Amy è un incastro poco credibile, ma sarebbe superficiale cercare nell'intreccio il valore del film. Quando Fincher decide di rivelare cosa è realmente successo ad Amy non lo fa certo per rispettare i canoni dello storytelling di genere: non siamo al gran finale, ma circa a metà film. Destrutturando lo schema del racconto giallo, "L'Amore Bugiardo" sfugge alle semplici classificazioni da videoteca: c'è un cinismo divertito da black comedy, c'è un solido intrigo, c'è una critica spietata ai mass media (ma soprattutto alle masse), c'è il racconto di un amore iniziato bene e finito in un matrimonio che non sopravvive ai cambiamenti: la coppia ideale di scrittori di New York diventa una coppia di estranei disoccupati del MidWest. Tutto è collegato: il giallo della scomparsa è il fil rouge che consente a Fincher di analizzare tanti elementi senza dimenticare la visione d'insieme. Non siamo impermeabili alle condizioni esterne: crediamo di manipolare l'ambiente scegliendo quali elementi di noi condividere, ma "L'Amore Bugiardo" ci mostra come sia l'ambiente stesso a scegliere cosa far emergere, a seconda delle circostanze.

La tesi fondamentale di Fincher è che l'uomo ha in sé una componente di narcisismo che lo porta a proiettare all'esterno un'immagine distorta di sé, ma anche che il meccanismo si autoalimenta fino a uscire dal controllo dell'individuo. Grande Fratello, Leviatano: c'è una sovrastruttura che regola le dinamiche sociali che è più grande della somma delle singole parti che lo compongono, le quali non possono che sottostare a leggi non scritte, ma non per questo meno ferree.

Il racconto procede in larga parte su due binari paralleli, ma sono due punti di vista (e quindi della cui verità si deve sospettare) e Fincher si diverte a mischiare le carte, non tanto per alimentare il mistero, quanto per dimostrare allo spettatore che il giudizio che si forma pian piano nella sua testa, che lo schieramento che sceglie (team Amy o team Nick?) è solo frutto della manipolazione cinematografica, del calcolo preciso di un regista arrivato a una maturità insperabile per tanti suoi colleghi. Ciò che vediamo (scegliamo di vedere, o qualcuno sceglie per noi) è più che sufficiente per formulare giudizi. "L'Amore Bugiardo" è per metà un thriller su una persona scomparsa: quindi cerchiamo un responsabile. Fincher muove i fili delle nostre congetture, portandoci dove vuole, ma fornendo ai più attenti elementi per dubitare di tutto. C'è una dissonanza latente che non deve sfuggire. Qualcosa non torna.

Il casting è intelligentissimo, oltre che di qualità. Ben Affleck è semplicemente perfetto per dimostrare il punto di Fincher. Il suo aspetto piacevole, sommato al suo passato turbolento e sovraesposto mediaticamente crea il cortocircuito giusto nella mente dello spettatore. Che lo assolve, poi lo condanna, poi lo assolve nuovamente, poi...

Rosamund Pike, invece, è ancora sufficientemente sconosciuta al grande pubblico, e può quindi liberamente costruire un personaggio affascinante ma sfuggente, la donna che il pubblico maschile vorrebbe incontrare e quello femminile vorrebbe essere.  Anche nel suo caso, il giudizio si forma da solo nella mente del pubblico, e cambia più volte.

L'inverosimiglianza della trama è un elemento fondamentale. Non è la storia della fine di un matrimonio, né quella della scomparsa misteriosa di una donna, né quella dell'effetto dei media sui fatti di cronaca. Mentre particolari poco edificanti della vita di Nick vengono a galla e il cerchio si chiude intorno a lui, ci si rende conto che è proprio la distanza tra ciò che siamo e ciò che ammettiamo di essere che potrebbe rovinarci, e che anche se abbiamo l'aspetto salutare di Ben Affleck potremmo non essere la bella persona che tutti pensano. L'effetto è devastante: mentiamo a noi stessi, ma lo facciamo così bene da non renderci conto del confine delle nostre bugie, così scegliamo una persona che è perfetta per l'immagine di noi, ma che a sua volta è solo una proiezione della persona reale. Ci apriamo al mondo attraverso un avatar fatto di tanti piccoli pezzi sconnessi e incoerenti, come in un fotomosaico: ogni tassello è un'immagine diversa, ma da lontano l'effetto è la composizione di un'altra immagine più grande. La rete dei social network amplifica tale effetto, stimolando il narcisismo e aprendo nuove strade per mentire agli altri, fino al tracollo. Che magari non è necessariamente un reato, ma anche solo la sensazione costante di aver sbagliato qualcosa, che manchi qualcosa di fondamentale nella nostra vita. L'infelicità è la punizione destinata ai bugiardi, consapevoli e inconsapevoli. Forse non a David Fincher, che firma un altro capolavoro.

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Recensione a cura di JackR - aggiornata al 18/12/2014 18.09.00

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