Recensione il fiore del mio segreto regia di Pedro Almodovar Spagna, Francia 1995
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Recensione il fiore del mio segreto (1995)

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locandina del film IL FIORE DEL MIO SEGRETO

Immagine tratta dal film IL FIORE DEL MIO SEGRETO

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Valutato forse a ragione film minore, questo lungometraggio di Almodòvar uscito nel 1995 andrebbe tuttavia riconsiderato poichè segna una svolta verso il percorso che condurrà il regista a "capolavori" quali: Tutto su mia madre e Volver. Se si guarda Il fiore del mio segreto dopo questi ultimi, infatti, è evidente come in esso siano già presenti temi e considerazioni riproposti e approfonditi negli altri due. Certo, si potrebbe obiettare che fin dai primi lavori TUTTI i film di Pedro siano legati fra loro dal filo conduttore della riflessione del regista su se stesso e sul proprio sistema di valori; tuttavia in questo film emerge un Almodòvar , ormai maturo, sensibilmente più riflessivo sul suo mondo, ormai lontano da quello giovane e bizzarro di "Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio" (per citare il primo dei tanti suoi lavori giovanili).

E' plausibile che proprio questa svolta sia da ritenersi motivo di perplessità fra i suoi estimatori, abituati agli estetici tuffi nel kitsch esasperato e allo stile dissacrante dei canoni classici.

Non si può dire, tuttavia, che il regista ne "Il fiore del mio segreto" rinunci del tutto ai toni grotteschi e dissacratori ormai familiari; semmai li lima, li addolcisce e, con quella spiccata sensibilità verso l'interiorità femminile che lo contraddistingue, li adegua perfettamente alla personalità della protagonista.

Ancora una donna è al centro del plot, circondata da altre donne che le ruotano intorno come satelliti e che crescono insieme a lei, ognuna con la propria storia.

Tutto il film è quindi fondato su un unico personaggio, Leo, che attraverso la drammatica elaborazione del distacco dal marito, scopre se stessa o meglio finalmente si riconosce, libera dal peso del passato.

La storia di tradimenti e di abbandoni è lineare, persino ordinaria, se vogliamo, ciò che la eleva sono l'attrice protagonista e l'inconfondibile regia.

L'eccellente Marisa Paredes, che ritroveremo in "Tutto su mia madre" nel ruolo di Huma, popolare attrice teatrale, è straordinaria nel ruolo di Leo: donna sola, moglie tradita, scrittrice affermata (sotto pseudonimo) di romanzi rosa, in preda ad un ripensamento professionale prima, esistenziale subito dopo. Perfettamente a proprio agio nel ruolo, l'attrice spagnola sa rendere vero e sincero il drammatico percorso di Leo, prima il lutto della perdita, poi la rinascita e la consapevolezza del proprio autentico Io.

E se come afferma il regista: "la fine di un sentimento è dolorosa quanto la perdita di una persona cara", il sofferto percorso compiuto da Leo conduce ad una vera e propria resurrezione, dall'improvvido quanto disperato tentativo suicida fino al sereno ritorno al paese d'origine, passaggio chiave della storia. Si, perché proprio con il ritorno alle origini (che sono poi quelle del regista) la protagonista cala la maschera e si riconcilia con se stessa.

Il tema del ritorno sarà elemento preponderante in Volver, ma già in una breve sequenza de "La Mala educaciòn" appare un paesino della Mancha con la stessa strada assolata ripresa in questo film insieme alle suggestive immagini dei campi di terra rossa in contrasto con le case bianche "mancheghe".

Ritornando all'interpretazione della Paredes, c'è da aggiungere che il suo calvario introspettivo è sublimato dall'impronta registica.
Almodòvar lo carica dei simboli metaforici tipici: dall'uso del dettaglio e del colore (con il rosso sempre predominante) a quello personalissimo della macchina da presa e della colonna sonora, passando per i richiami cinefili. Tutti accorgimenti che rendono i suoi lungometraggi inconfondibili, come inconfondibili appaiono i quadretti carichi di tenera ironia, in cui il cineasta spagnolo risulta imbattibile. Per esempio la sequenza in cui Angel, il redattore di "El Pais", uomo sensibile e intelligente, maldestramente innamorato di Leo, per conquistarla improvvisa una goffa citazione di "Casablanca" nella Plaza Mayor di Madrid; o quella finale in cui Leo, in un ambiente caldo e rassicurante, brinda con Angel, richiamando esplicitamente il film "Ricche e famose", dove la Bisset e la Bergen davanti a un caminetto brindano all'anno nuovo e all'amicizia sopravissuta alle personali irrefrenabili ambizioni di scrittrici.

"Il fiore del mio segreto" non appare sicuramente tra i più popolari film di Almodòvar, certamente non tra quelli più originali, anche solo paragonato al meraviglioso ma poco conosciuto "Cosa ho fatto io per meritarmi questo", di cui non mostra la stessa geniale creatività.
Ciononostante, rispetto al passato, esso rivela da parte del regista una differente interpretazione della realtà tramite una riflessione più lucida e matura, per questo merita attenzione.
Ancora di più se si pensa che ogni nuovo film di Almodòvar è intimamente collegato ai precedenti in una sorta di autobiografia dei sentimenti.
Ad esempio in questo lo spazio iniziale dedicato alla questione dei trapianti è quasi identico a quello dell'incipit di "Tutto su mia madre"; la tematica del ritorno ad Almagro, con la dicotomia fra la solitudine della grande città e la vita corale delle donne del villaggio mancego, sarà ampliata in "Volver"; curiosa, infine, l'autocitazione ironica: Leo tradisce la sua vena di scrittrice rosa e abbozza "La cella frigorifera", romanzo noir dove una donna iberna il marito, ucciso dalla figlia, in una cella frigorifera del ristorante di un vicino.
Cosa vi ricorda?

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Recensione a cura di Pasionaria - aggiornata al 28/02/2008

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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