Recensione figli regia di Marco Bechis ITALIA 2001
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Recensione figli (2001)

Voto Visitatori:   7,13 / 10 (8 voti)7,13Grafico
Migliore Attrice Non Protagonista (Stefania Sandrelli)
VINCITORE DI 1 PREMIO DAVID DI DONATELLO:
Migliore Attrice Non Protagonista (Stefania Sandrelli)
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locandina del film FIGLI

Immagine tratta dal film FIGLI

Immagine tratta dal film FIGLI

Immagine tratta dal film FIGLI

Immagine tratta dal film FIGLI

Immagine tratta dal film FIGLI
 

Il 24 marzo del 1976 il paese di Che Guevara e di Tania la guerrigliera, il paese dei "tangos" di Astor Piazzolla e di Osvaldo Pugliese, il paese ricco delle culture dei libri di Jorge Luis Borges e di Manuel Puig, il paese dei gauchos e delle pampas sterminate, precipitava in una dittatura militare, brutale e sanguinaria. Comunque la si chiami, dittatura, guerra "sucia", o stagione dei desaparecidos, il regime che, tra il '76 e l'83, ha sottomesso l'Argentina ha scritto una pagina tra le più tragiche e buie della storia dell'America latina e del mondo intero. Per capire bene cosa è successo bisogna ripercorrere un po' di storia.

Tutto era cominciato il 1 luglio del 1974, quando Maria Estella Martinez, detta Isabelita, terza moglie di Juan Domingo Peron, per continuità costituzionale, era diventata presidente dell'Argentina, succedendo al marito morto lo stesso giorno del '74.
Isabelita Martinez era una mediocre ballerina di un gruppo folkloristico che aveva conosciuto Peron nel 1955 durante il suo esilio a Panama. Abbandonata la cariera artistica aveva sposato, nel 1961 a Madrid, l'uomo politico argentino e lo aveva seguito nel suo esilio spagnolo, fino al suo rientro in patria nel 1973 per presentarsi alle elezioni. Vinte le elezioni, Peron diventò nuovamente Presidente dell'Argentina e Isabelita assunse la carica di vicepresidente. L'anno successivo Peron morì e Isabelita Martinez Peron, per continuità costituzionale, assunse la carica presidenziale lasciata vacante dal marito.

Totalmente inetta a ricoprire l'incarico, incapace di controllare l'economia e l'ordine pubblico, la donna, fin dai primi momenti, si trovò a fronteggiare una situazione per la quale era impreparata e inadeguata, subendo l'influenza dell'uomo forte del suo governo (il vero capo del governo), il ministro Josè Lopez Rega, che instaurò uno stato di polizia e cercò di favorire l'ala destra del peronismo, utilizzando fondi pubblici per finanziare un gruppo armato di lotta anticomunista.
Lo stato argentino era sull'orlo del collasso economico, causato da una inflazione galoppante, dalla paralisi degli investimenti e dal blocco delle esportazioni della carne e dei prodotti industriali. I militari cercarono di convincerla a lasciare la carica, ma la donna si rifiutò di lasciare il potere e progettava di ripresentarsi alle prossime elezioni.

In un clima di sempre maggiore incertezza politica ed economica, il 24 marzo del 1976, le forze armate (Gen. Videla per l'esercito; Agosti per l'areonautica e Massera per la marina) rovesciarono il governo di Isabelita Peron e assunsero il potere instaurando di fatto una dittatura militare.
Con il pretesto di salvare la patria dal pericolo comunista e di programmare il "Processo di Riorganizzazione Nazionale", la giunta militare presieduta da Videla (che era il Presidente di fatto) istituì il terrorismo di stato e dichiarò lo stato d'assedio, abrogò inoltre i diritti costituzionali con il pretesto di sterminare la guerriglia, di riordinare l'economia e di riorganizzare la società. Vennero sospese le attività dei partiti, imbavagliati i giornali non allineati e sciolti, di fatto, le organizzazioni sindacali e studentesche.
Apparentemente venne sciolta anche la "Triplice A" (Alleanza Anticomunista Argentina, un gruppo paramilitare, sul modello degli "squadristi della morte", che aveva il compito di eliminare gli oppositori), ma in effetti tutti i membri entrarono a far parte dei "gruppi clandestini della dittatura".

Insieme al tracollo economico (verrà accumulato uno dei più grandi debiti esteri del mondo, i cui effetti si sono protratti fino ai giorni nostri) ebbe così inizio il terrorismo di stato e il più grande genocidio della storia argentina.
Debole, quasi inesistente, fu la reazione internazionale (il segretario di stato americano, Kissinger, ebbe un lungo colloquio col Ministro degli esteri argentino e, benchè sapesse esattamente cosa stava succedendo, diede via libera al rappresentante della dittatura: "se ci sono cose da fare bisogna farle in fretta... poi bisognerà tornare alla normalità"), anche perché non si videro carri armati per le strade, non furono usate armi, non venne ostentata la forza, non furono attuati arresti di massa, nè fucilazioni clamorose, anche se la dittatura militare aveva introdotto la pena capitale.

>I militari ancor prima di assumere il potere avevano creato un clima di terrore, per cui non avevano bisogno di comandare, anzi nemmeno di parlare, in quanto, la costrizione creava una sorta di dipendenza psicologica ad obbedire. La giunta militare si impegnò ad eliminare tutti i suoi oppositori senza che l'opinione pubblica internazionale avesse piena coscienza di tale annientamento. I sequestri avvenivano senza dare eccessivamente nell'occhio, di notte o in luoghi isolati; in ogni caso, anche se veniva dato l'allarme da parte di qualche testimone, la polizia non arrivava mai oppure arrivava quando tutto era finito.
I prigionieri venivano portati in centri clandestini di detenzione (sinistramente famosi il garage Olimpo o la Sere Mansion; a tal proposito si veda la recensione di Buenos Aires 1977, cronaca di una fuga), incarcerati, torturati, fatti sparire o gettati in mezzo all'oceano. Secondo il "Centro studi per la pace" sarebbero oltre 30.000 gli scomparsi e oltre 2 mila gli esiliati politici.

È l'inizio del dramma dei desaparecidos ed è l'inizio del dramma dei figli dei desaparecidos.
Secondo le informazioni fornite dall'Associazione di Plaza de Mayo, alla fine degli anni '70 circa 500 bambini, nati nei campi di concentramento, vennero sottratti dopo la nascita ai desaparecidos argentini e adottati illegalmente da famiglie di militari che non potevano avere figli. Di questi 500 bambini solo 250 sono stati denunciati come tali e solo 72 ritrovati vivi.

Comincia da qui il film Figli - Hijos, naturale continuazione di Garage Olimpo, col quale Marco Bechis, un regista italo-cileno trasferitosi in Argentina, che ha vissuto sulla propria pelle quattro mesi di detenzione in una di quelle prigioni-lager, torna a parlare della dura e irrisolta realtà di quei 500 bambini, figli di una generazione oltraggiata, costretti a diventare figli senza storia.

Buenos Aires, dicembre 1977. Una donna sta partorendo un bambino, mentre due loschi figuri aspettano fuori dalla porta.
Con un salto temporale lungo ventiquattro anni ci spostiamo a Milano, nel gennaio 2001, dove vive, in una lussuosa villa, una ricca famiglia di origine argentina. Il particolare che lega questi due avvenimenti si rivela allo spettatore poco alla volta con la storia degli stessi protagonisti. Tutto era iniziato in quell'Argentina della disperazione, tanti anni fa. Infatti la donna in preda ai dolori del parto è una prigioniera politica, una delle tante donne oltraggiate e disperse dalla dittatura e i due uomini che sostano dietro la porta aspettano di portarsi via il bambino che sta per nascere. Nascono però due gemelli, un maschio e una femmina. Il maschietto viene subito portato via, mentre la femminuccia viene nascosta dall'ostetrica dentro una borsa e fatta uscire furtivamente dall'ospedale, mentre la giovane madre, ancora debilitata dal travaglio viene trascinata via dai militari.

A Milano vive Javier, un ragazzo benestante di 24 anni, con il padre Raul, ex pilota dell'aviazione argentina, e con la madre, Victoria, una donna annoiata e premurosa. Javier è un giovane sano e robusto, pratica il parcadutismo acrobatico ed ha una fidanzata italiana. Da qualche tempo Javier continua a ricevere e-mail da una ragazza argentina, Rosa, che asserisce di essere sua sorella gemella e che lui non è il ragazzo che crede di essere. Costretta dai silenzi di Javier, un giorno, Rosa arriva a Milano e racconta a Javier la loro storia (o meglio, quella che lei crede essere la loro storia). Javier non crede a ciò che dice la ragazza, ma intanto il dubbio si è insinuato nel suo animo e tutte le sue sicurezze e tutti i suoi affetti crollano inesorabilmente.
Affronta allora i genitori chiedendo loro spiegazioni. I due dapprima si chiudono in un ostinato mutismo, poi reagiscono in modo scomposto: il padre diventa aggressivo (come se indossasse nuovamente quella divisa che aveva smesso venti anni prima, quando pilotava uno di quegli aerei che sorvolavano a bassa quota l'oceano per gettarvi i corpi, vivi o morti, dei giovani desaparecidos argentini), mentre la madre, se possibile, si fa ancora più premurosa e affettuosa.

A questo punto Javier segue Rosa a Barcellona dove risiede l'ostetrica che li ha fatti nascere, deciso a sottoporsi all'esame del DNA. Il viaggio offre ai due ragazzi l'occasione per conoscersi più profondamente e, dopo le iniziali diffidenze, per instaurare tra loro un sentimento di profonda familiarità, che culmina nella suggestiva e toccante scena della reciproca conoscenza fisica, con i due ragazzi seminudi sul letto di un albergo di Barcellona mentre esplorano i loro corpie e la loro pelle alla ricerca dei più piccoli segni della loro gemellanza.
A Barcellona i due incontrano l'ostetrica, che conferma la versione di Rosa e svela come si sono svolti i fatti. Al momento della nascita lei era riuscita a nascondere la bambina, mentre il maschietto veniva prelevato dai due sgherri e consegnato ai coniugi Ramos, che avevano finto una gravidanza della moglie.

Mentre anche i genitori di Javier arrivano a Barcellona e hanno una violenta discussione con Rosa, il risultato negativo dell'esame del DNA esclude che tra loro ci sia un legame di consanguineità, anche se entrambi sono figli di desaparecidos. Delusi e amareggiati per quel legame che ormai sentivano indissolubile e che ora gli viene negato, i due ragazzi si separano: Rosa tornerà a Buenos Aires, mentre Javier ritorna a Milano a riprendere la vita di sempre. Lo vediamo, infatti, in barca a pescare, insieme col padre, oppure lanciarsi col paracadute nel vuoto, in una scelta libera di vita, a ripercorrere quei lanci di morte di tanti anni prima, di chi libero non era.

Dicembre 2001, ritroviamo Rosa ed Javier a sfilare per le vie di Buenos Aires insieme a tanti altri Hijos, in ricordo dei desaparecidos e dei loro figli rapiti come bottino di guerra.

Con questo film Marco Bechis approfondisce il discorso su un momento terribile vissuto dall'Argentina (ma che possiamo estendere agli anni bui di tutte le dittature sudamericane) in una visione più intimista e, per questo, più raggelante. Per raccontare la vicenda, il regista sceglie, con forte partecipazione, di rappresentare il dolore dei figli speculare rispetto a quello dei genitori, di quei figli che neppure conoscono la loro origine e, costretti dalla rielaborazione del loro lutto e dei loro ricordi, si trovano, spesso, a rinegoziare la loro identità, per inventarsene una nuova e, se possibile, meno dolorosa. Quei figli che non sanno che le persone con cui sono cresciuti sono i responsabili della morte dei loro veri genitori.

E' stato un piano concepito per cancellare la memoria, il crimine più aberrante della dittatura, attuato con straordinaria freddezza e con sistematica crudeltà. Quei bambini oggi sono adulti che vivono l'intimo travaglio di coloro che si trovano sospesi nel limbo angosciante di vedere messi in discussione le loro certezze, le loro sicurezze, i loro affetti; di coloro che si trovano davanti al bivio di dover scegliere se accettare l'identità che gli è stata confezionata o di rinnegarla per cercare di recuperare quella reale, con un percorso difficile e doloroso, ma che rappresenta, pur sempre, la strada della loro liberazione.

Crudo nella sua essenza, vero nei continui rimandi temporali, coinvolgente nei suoi parallelismi (i lanci di Javier paracadutista contrapposti ai lanci dei cadaveri dei desaparecidos nell'oceano), il film riesce a trasmettere un senso di profonda oppressione, con la sua fotografia "sporca", con il grigiore dell'umido inverno padano, con la penombra inospitale degli ambienti chiusi, e fa riemergere orrori che lo scorrere del tempo vuole cancellare e che riguardano tutti noi, non solo chi li ha vissuti sulla propria pelle.

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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 30/12/2008

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