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SINFONIA D'AUTUNNO regia di Ingmar Bergman

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Beefheart     7 / 10  03/09/2007 12:05:46Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Altro approfondimento del tromentato rapporto genitore/figlio che Bergman ripropone 17 anni dopo "Come in uno specchio"; allora il genitore "distratto" era il padre, stavolta la madre, mentre l'oggetto della distrazione è il medesimo: quell'arte al cui altare tutto è sacrificabile, persino la salute dei propri cari e l'amore verso di essi. Si tratta di un implacabile egoismo genitoriale che cagiona accumuli di rancore, paure, insicurezze e, soprattutto, muri di incomunicabilità. Diciassette anni prima, il romanziere David (Gunnar Bjornstrand) subordinava l'essere padre alla sua arte, contrapponendo il successo ottenuto dalla totale devozione per la scrittura, alla cura, all'attenzione ed al riguardo verso una figlia, la cui "provvidenziale" malattia progressiva, forniva addirittura un cinico ed irragionevole spunto di analisi ed ispirazione letteraria. Diciassette anni dopo è l'acclamata pianista classica Charlotte (Ingrid Bergman) a commettere gli stessi errori, stavolta ai danni non solo della fragile secondo genita Helena che, somatizzando negativamente la sensazione di abbandono, si ammala gravemente, ma anche di Eva, sua figlia maggiore, da sempre vessata, che per tutta la vita non ha potuto fare altro che prodigarsi per il bene della sorella malata e tentare di sopire il rancore verso una madre sconsiderata che anni prima, decretando ciò che "era meglio per lei", la costrinse persino ad abortire. Si, perchè "la sconfitta della figlia è il trionfo della madre". In entrambi i film, leggermente a margine, si staglia la figura del marito della figlia-vittima: uomo piuttosto equilibrato che, per necessità o virtù, rimane piuttosto distante da quei turbamenti che deviano le menti umane ma che, almeno intenzionalmente, non manca di dare il proprio appoggio. Il film si basa sui lunghi dialoghi di confronto tra madre e figlia, con altalenanti picchi emozionali che, nell'arco del film, vanno e vengono sui volti dei bravi interpreti e nelle teste di chi li osserva e pensa e si immedesima. Praticamente tutto girato in interni che rappresentano l'abitazione di Eva e famiglia con qualche brevissimo e sporadico flash-back ad illustrare il pregresso. I capisaldi sono sempre quelli: le difficoltà nei rapporti sentimentali, la presenza della malattia, la tragedia sempre in angoscioso agguato. Se mai, ciò che rende questo film subalterno rispetto ad altri più "felici" ed azzeccati del regista, è la minore efficacia espressiva che scaturisce dall'eccessiva ed artificiosa tendenza al virutosismo; un'affettazione che ne inficia la naturalezza e, in un certo senso, ne annacqua la sostanza. Nel complesso comunque lo ritengo un discreto film.