Film che non ho gradito particolarmente, per quanto in alcuni frangenti presenti una messa in scena di discreto livello, ha il difetto di quei film italiani che non riescono mai ad osare, è il tipico dramma di formazione che si impantana su binari già troppo sfruttati, la tipica dicotomia dei caratteri impostata, tra il primo mentore, il padre, rigido ingegnere che punta tutto sul figlio e la sua passione per il tennis per sbancare il lunario, con rigidi schemi, quadernetti, segnali e tutti questi elementi macchinosi, in estremo contrasto col nuovo maestro di tennis, che tende a vivere alla giornata e ripudia questo approccio, ma se lo fa andare bene per racimolare qualche quattrino, il viaggio dei due, tra i campi di provincia del tennis giovanile, è la più banale rappresentazione del riconciliamento tra due caratteri estranei che in qualche modo fa imparare qualcosa ad entrambi, ma ho trovato le figure fin troppo macchiettistiche, il personaggio di Favino in piena crisi esistenziale, una testa calda che ha fatto i tipici errori che questo personaggio può fare, come buttare al vento il suo talento, mandare in malora qualsiasi tipo di relazione e non riconoscere una figlia, con annesso pentimento che lo porta sul baratro a livello psicologico, il giovane con un sogno nel cassetto che si scontra con una realtà ben più dura del previsto, dopo la prima vittoria al torneo regionale, in una categoria che sembra troppo grande per lui e la mentalità che ha portato avanti fino a quel momento, il tutto coniugato ad una serie di enormi aspettative create dai genitori, che lo porta ad un grosso sgomento emotivo.
La narrazione procede episodicamente con momenti che sembrano quasi scollegati tra di loro, introducendo più aspetti ed approfondendone nessuno, la sessualità da poco scoperta, una nuova empatia sviluppata nei confronti dell'esuberante personalità del maestro, la comprensione di alcuni aspetti prima coperti dalla confort zone, il tutto però è trattato in maniera abbastanza didascalica, poco approfondita, andando a giocare con la solita banale metafora dello sport e della vita, arrivando al più scontato finale che può capitare in un film italiano, tutto sta andando male, ma chi se ne frega, balliamo Battiato, con una canzone che l'avranno messa in qualche altro migliaio di film italiani.