Prima trasposizione shakespeariana di Welles, ed è un grandissimo film, il genio dell'autore, sia alla regia che nel ruolo del protagonista, regala una pellicola che mantiene inalterato lo spirito solenne e spietato del dramma ed anzi lo valorizza con le splendide immagini e trovate registiche tipiche del suo cinema, gestendo anche molto bene le tematiche, da quella del destino, esplicitato dalle tre streghe e dalla loro ineluttabile profezia, contro la quale nessun uomo sembra poter far nulla, alla splendida caratterizzazione dei personaggi, dallo stesso protagonista, uomo divorato dall'ambizione, arrivista e meschino, ma allo stesso tempo dilaniato dai sensi di colpa, dai rimorsi per gli atroci atti commessi, la splendida sequenza della visione a tavola di Banquo col viso pieno di coltellate è una delle tante grandi trovate del film, e con una costante paranoia, una preoccupazione latente per la paura del definitivo compiersi della profezia, così come il personaggio di Lady Macbeth, donna spietata che sprona il marito al compimento di questi atti, una sorta di femme fatale in un contesto totalmente diverso, che assaggia una piccola speranza di potere e ne diventa assuefatta, l'ego di entrambi i personaggi è uno dei cardini della narrazione, non soltanto per la conquista del trono, ma per la stessa continuazione della dinastia, ritenuto un fattore indispensabile, che tuttavia viene attribuita a Banquo dalla profezia delle streghe, portando non poche rogne nelle vicende interne di corte.
E Welles, ovviamente è straordinario nella messa in scena, col suo bianco e nero estremamente contrastato, capace di regalare meravigliose sequenze, soprattutto al calar della notte, basti vedere gli esterni nei momenti in cui Macbeth e Lady Macbeth pianificano e compiono l'omicidio di Duncan, o i momenti a corte, con la geniale idea di Welles di quell'inquadratura dietro le spalle del trono, col personaggio di Macbeth ingombrante che copre buona parte della corte, trovata semantica per indicare il suo atteggiamento di sopraffazione nei confronti degli altri, il suo attaccamento al potere, anche con mezzi illeciti e privi di ogni etica, il continuo uso di primi piani ed inquadrature dal basso, i primi per valorizzare l'espressività dei personaggi, spesso impegnati negli splendidi monologhi shakespeariani, ma anche per sottolineare i loro sentimenti, spesso contrastanti, tra paranoia, rimorsi e sete di potere, le seconde per dare una certa imponenza agli stessi, una componente soffocante di persone senza scrupoli che farebbero di tutto pur di arrivare al loro scopo.
E poi c'è la scena della foresta, la profezia finale, che vede compiere il destino finale dell'uomo, visivamente straordinaria, tra la foschia e questi alberi che si muovono avanzando lentamente, come il fato che rimette le cose a posto, dopo tutto il sangue che è stato versato, in realtà ben poco nel film, visto che gli omicidi sono spesso fuori campo, probabilmente a causa del codice Hayes, tuttavia un genio come Welles porta la cosa a suo favore, basti vedere la morte di Macbeth, nel quale casca la testa della statua, con l'uso del montaggio analogico per simboleggiare la caduta del tiranno, e che dire, strepitoso.