Sono di quella fazione che considera "Will Hunting" un film un pelino sopravvalutato, per carità, lungi dal considerarlo un brutto film, anzi, ma se vogliamo fare il classico giochino in cui faccio finta mi importi l'opinione del webbe - un po' mi importa in realtà, meglio evitare di fare l'ipocrita -, diciamo trovo immeritata la sua costante presenza nelle liste dei migliori film di sempre, ma potrebbe valere per tanti altri, in ogni caso, è un buon film, che in tanti frangenti mi ha pure emozionato, duro e toccante, che tratta diverse tematiche complementari con due ottimi protagonisti, anche se quasi il tutto gira attorno appunto a Will, giovane cresciuto nel quartiere un po' più malfamato di Boston, un piccolo genio che ha divorato migliaia di libri ma che non ha mai avuto la possibilità di studiare in un importante istituto, rimasto orfano fin da piccolo e avendo subito svariati traumi dalla famiglia adottiva passa le giornate tra un lavoro umile, inizialmente come bidello al MIT e poi come meccanico, e le scorribande con i suoi amici, tra serate alcoliche, donne e qualche rissa ogni tanto, è il suo risolvere un teorema complicatissimo, anche per il professore di matematica del MIT, considerato un luminare del suo campo, e vincitore di uno dei premi più prestigiosi, che porta alla svolta, nonostante sia finito in carcere per aggressione il professore vuole a tutti i costi non sprecare l'immenso potenziale di Will, è così che lo affianca in alcune lezioni di matematica e lo costringe a fare delle sedute con lo psicologo per non tornare in prigione, è qui che incontra Sean, interpretato dal mitico Robin Williams ed è nei loro confronti dolceamari che emerge prepotentemente l'interiorità dei personaggi, ben approfondita da ottimi dialoghi ed emozionanti momenti, dopo l'iniziale riluttanza di Will, che si oppone a tutti i costi alla terapia, i due stringeranno un profondo rapporto d'amicizia che tirerà giù i muri emotivi costruiti per autodifesa, prima di tutto da Will, ma che gioverà anche a Sean.
Will ha un po' il classico carattere traumatizzato che si mostra costantemente forte per impedire a tutti i costi agli altri di fargli del male, impaurito dall'abbandono tronca i rapporti prima che possa affezionarsi ed essere allontanato di nuovo, lo si vede anche nel burrascoso rapporto con Skylar, ragazza molto benestante a livello economico che si innamora di Will, con quest'ultimo che continua a negarle una relazione seria, anche per via di un certo pregiudizio nei confronti di una persona così ricca e anche conseguenza del conflitto di svalutazione, che gli fa pensare che la ragazza possa lasciarlo in futuro per qualcuno con una posizione migliore, l'atteggiamento di Will è evidente, rinuncia ancor prima di conoscere, perché ha vissuto costantemente in una confort zone circondata da altissimi muri e ha il terrore di abbatterli, lo stesso vale per il lavoro, nel quale risulta costantemente critico, trovando lati negativi in ogni proposta, emblematiche sono le scene dei colloqui dove Will si porta avanti pensando alle catastrofiche conseguenze che possano avere le sue azioni sul posto di lavoro.
Altro aspetto interessante è il dualismo tra il professore di matematica e Sean, il primo vuole indirizzare Will, abbastanza ciecamente, verso le prestigiose posizioni per non sprecare il suo potenziale, perché sarebbe davvero un peccato a suo parere, mettendo una certa pressione sia sul ragazzo che su Sean, il secondo, particolarmente empatico, comprende che la priorità è far guarire il ragazzo dai traumi subiti, dargli il coraggio di vivere una nuova vita, indipendentemente dalle scelte lavorative, il coraggio di tuffarsi ed andare oltre i miliardi di concetti scritti nei libri.
E Sean stesso, un Robin Williams che recita divinamente, uomo che ha perso l'amata moglie da poco e che dopo aver vissuto a pieno si è un po' rifugiato in se stesso, il suo apporto aggiunge quello che a Will mancava, l'esperienza, che non si misura in libri letti, ma in vissuto, un elemento fondamentale per la rinascita del protagonista, e fautore delle due scene più importanti del film, lo splendido monologo al parco, dopo il primo duro confronto, nel quale esalta poeticamente il vissuto di un uomo, quanto la vita non si vive sulla carta, ma uscendo dalla confort zone, buttandosi, immergendosi con tutte le sensazioni, la cultura ed il genio che diventano nulla senza il vissuto, e poi ovviamente quel bel momento del rapporto finale, in cui Will finalmente scoppia in lacrime e mostra per la prima volta la sua debolezza, elemento del quale fino a poco prima si vergognava, ecco qui ho avuto qualche brividino, è una scena emotivamente intensissima.
Nel complesso, è un buon film, capace di approfondire i caratteri fino in fondo senza scadere nel macchiettismo o nel pressapochismo, non mi fa strappare i capelli lo stile, colmo di verbosità, quasi sempre giustificata a dirla tutta, ma qui subentrano le preferenze personali, con Van Sant che dirige uno dei suoi film più standardizzati, passatemi il termine, con una regia che imposta il pilota automatico e non lo molla più, ma resta un ottimo lavoro, specialmente sotto il punto di vista narrativo.