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L'OCCHIO CHE UCCIDE regia di Michael Powell

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stratoZ     8½ / 10  05/11/2025 14:59:42 » Rispondi
ATTENZIONE POSSIBILI SPOILER

Grande cult di Michael Powell, un film di straordinaria importanza, avantissimo con i tempi, tanto che diventerà fonte di influenza per molti film negli anni novanta, mi vengono in mente tra i primi "Natural Born Killers", "Snake Eyes" ed "Il cameraman e l'assassino". L'opera narra di questo giovane uomo che lavora nell'ambito cinematografico, appassionato del settore fin da piccolo, quando suo padre gli regalò una telecamera, che va in giro costantemente a fare riprese per questo suo documentario, dovendo anche compiere qualche omicidio per ottenere il realismo assoluto che cerca, il film porta a svariate riflessioni, da una parte vi è l'annullamento di quella linea che separa finzione e realtà, la bellissima scena dell'omicidio negli studios, alla sostituta della protagonista ne è l'esempio più emblematico, la puntigliosa ricostruzione del set del protagonista per girare una scena apparentemente finta, un terrore inizialmente solo simulato dalla donna, ma che nel giro di pochi secondi si tramuterà in un cruento omicidio reale e le stesse conseguenze del giorno dopo con l'attrice protagonista che ritroverà il cadavere della donna durante le riprese del film vero, regalando un terrore genuino che la farà finalmente svenire per davvero dopo tanti tentativi andati male - e qui vi è anche una splendida ironia di fondo del regista che si incavola perché sviene nella scena sbagliata - è così che il film mischia costantemente questi due elementi, portando anche una riflessione sulla presenza sempre più ingombrante del video nella vita del protagonista e di chi sta attorno, le stesse riprese del padre, mostrano un bambino la cui vita è documentata costantemente, senza rinunciare ai momenti privati per antonomasia, come possono essere l'addio alla madre moribonda o il successivo lutto, una grande iperbole su quanto la presenza del media sia diventata costante, e diciamocelo, avantissimo con i tempi.

Poi c'è la riflessione sul voyeurismo, che va più a fondo nella psicologia del personaggio, il suo continuo spiare, che sia dalla tenda, che da sopra il teatro di posa per le riprese, in questo caso il protagonista è come lo spettatore, che alimenta la sua curiosità in un angolino in cui non può essere visto, sempre più incuriosito man mano che le vicende diventano scabrose, certo il film ha una componente horrorifica che porta questa tendenza alle più estreme conseguenze, come un finale deflagrante nel quale il cinema si trasforma in arte performativa, l'estrema ricerca della perfezione che va oltre ogni possibile concetto sperimentale, l'ossessione per l'opera stessa che supera il valore della propria vita, e qui si crea il tipico dilemma riguardante il contrasto tra la vita stessa ed il ricordo eterno che l'arte può donare al soggetto, un sacrificio in nome non soltanto della sua opera ma anche del suo ego.

Bellissimo tecnicamente, con un'estetica pop tipicamente sixties, una fotografia ipersatura che alterna la radiosità degli esterni al buio della camera dove il protagonista sviluppa le pellicole e le proietta, tante belle sequenze che favoriscono anche un'ottima tensione, come l'inizio, visto totalmente dalla soggettiva della camera, o l'incontro con la madre della ragazza, che mette una certa angoscia per la fine che potrebbe fare, un'ironia ed un cinismo tipicamente british e diverse riflessioni sul mezzo, rendono il film una perla di metacinematografia ed orrore.