Grande esempio di fantascienza anni sessanta, film di grande importanza all'interno del genere, che si mischia con l'horror, il post apocalittico, ed una forte componente psicodrammadica, tratto dal romanzo "I am legend" la cui trasposizione più famosa è quella ciofeca con Will Smith, narra la storia di questo uomo restato da solo dopo la diffusione di questa catastrofica epidemia causata da un virus che tramuta le persone in delle terribili creature particolarmente vicine ad un mix tra vampiri e zombie, per qualche motivo questo scienziato tuttavia ne è totalmente immune, la prima grande tematiche si viene a trattare è quella della solitudine, flagello di quest'uomo che ha perso tutti i suoi cari, dalla moglie all'amata figlia, tra l'altro in una scena mostrata in flashback dilaniante emotivamente, e che ora si ritrova solo in una blanda quotidianità, una sorta di limbo a base di tormento e disperazione ma soprattutto senso di colpa, facendo vendere un aspetto alternativo della sopravvivenza, che prende quasi una valenza negativa per il dolore che affligge al protagonista, ormai condannato a vivere in un mondo desolato, in cui le splendide scenografie della Roma periferica mettono in mostra la totale noncuranza dell'ambiente, tra cadaveri ammassati per strada e oggetti sparsi, la trasandatezza di una città di giorno deserta e di notte dominata da queste temibili creature.
Molto bella la parte in flashback in cui si approfondiscono i rapporti familiari del protagonista, la minaccia del virus che sembra diffondersi col vento e l'iniziale noncuranza dello scienziato che sembra sottovalutare il virus, pentendosene amaramente e rimanendo con la moglie e la figlia nella coscienza, tornando al presente in cui sfoglia le foto di famiglia in ricordo di queste ultime, ma probabilmente la parte migliore è quella che viene dopo, dall'incontro col cane che sembra una nuova speranza di avere la compagnia di qualcuno, purtroppo amaramente spezzata, alla scoperta di questa sorta di tribù di infetti che sembrano stare formando una nuova società, riuscendo temporaneamente a contenere tramite questo siero, alcuni effetti del virus, molto belle le sequenze finali, con una fuga al cardiopalma del protagonista, ormai bollato come nemico da parte di questi infetti per aver ucciso dei membri della loro tribù e la riflessione finale, in un mondo ormai distrutto, per puro istinto di vendetta uccidono l'uomo che tramite il suo sangue immune poteva dargli ancora una speranza di guarigione, una metafora sull'umanità amara e disillusa, che tuttavia, riesce ad annullare la famosa linea tra il bene ed il male con l'ultimissima scena, in cui Ruth consola un bambino che piange, dicendogli che ormai sono tutti salvi, un cambio di prospettiva, che mostra il punto di vista degli infetti, ormai diventati la specie dominante sul pianeta, che ribalta il concetto di mostro, facendolo passare al protagonista per gli efferrati gesti nei confronti della popolazione infetta.
Grandissimo film di genere, con buoni effetti visivi per il periodo, una splendida fotografia, cupa e straniante e la buona regia di Ubaldo Ragona che riesce ad alternare bene la tensione di vivere in un mondo in cui il protagonista è costantemente in pericolo, con lo psicodramma vissuto da un uomo solo e pieno di rimpianti, con un ottimo Vincent Price col viso stanco ed amareggiato.
Piccola riflessione: stupisce sia una produzione italiana, ed ora, non voglio fare il boomer nostalgico, ma pensare che in due anni, tra il 1964 ed il 1965 l'Italia abbia fatto uscire due filmoni di fantascienza come questo e " Terrore nello spazio " di Bava, e quanto siano stati influenti sul cinema, anche straniero, mi fa rimpiangere quei tempi - che non ho vissuto - ad oggi pensare a due operazioni del genere sarebbe pura follia.