"Grand tour", film di Miguel Gomes, famoso perlopiù per aver vinto la miglior regia a Cannes, è un gioiellino, un'opera estrosa dai tratti esistenzialisti che con uno stile bizzarro e costantemente sopra le righe riesce a riportare tutta la poeticità della vita, un flusso di immagini che accompagnano i viaggi dei due personaggi principali, che si sposano meravigliosamente con una splendida colonna sonora - i pezzi che si sentono più volte, su uno stile tipicamente free jazz sono qualcosa di stupendo - e trasportano lo spettatore nei meandri di questo viaggio, partendo da un incipit molto semplice, riguardante Edward, questo funzionario britannico che vive per lavoro nel sudest asiatico e sta per essere raggiunto dalla storica fidanzata per sposarsi, quando ad un certo punto, impaurito, decide di scappare ed intraprendere questo lungo viaggio tra le principali città asiatiche, passando da Rangoon a varie altre grandi città, Singapore, Bangkok, Manila, Hong Kong e via dicendo, il film prende ben presto una tipica struttura da road movie, almeno a livello narrativo, con una consistente dose di esistenzialismo, data dagli svariati incontri ed esperienze del protagonista che nella loro unicità sembrano dei pezzi di vita, a tratti inspiegabili, a tratti difficili da cogliere, a tratti esplicativi, ma che nell'insieme compongono un mosaico che alla fine, mostrando gli epiloghi di entrambi, racconta come effettivamente il finale rimanga sospeso, non sappiamo che fine abbia fatto Edward dopo la risalita del fiume, vediamo una sorta di celebrazione della morte di Molly dopo averlo cercato per tutta l'Asia, ma è proprio la sensazione di non sapere a cosa si va incontro che funge da perfetta metafora della vita e delle esperienze vissute dai protagonisti, che se da un lato vengono ricalcate, dato che Molly segue le stesse tappe di Edward, dall'altro riservano sempre nuove sorprese, cambiando continuamente l'esito, a livello personale quindi, nella sua non troppo pervenuta semplicità, il film mi è sembrato una grande metafora dell'esistenza, della sua natura mutevole e indefinita, la quale però sembra non rimuginare tanto sulla fine o il mai scontato futuro, quanto guardare con gioia e incondizionata curiosità gli avvenimenti lungo il viaggio, e sono tanti, in questo senso Gomes fa uno straordinario lavoro di messa in scena, regalando sequenze dal sentore poetico e particolarmente trasportanti, con anche diversi inserti onirici ed uno stile eterogeneo che dona alla pellicola, semanticamente, la stessa imprevedibilità della vita, mischiando continuamente le linee temporali, trasportando lo spettatore dagli eventi del passato riguardanti i personaggi in questione, a lunghe scene apparentemente del presente - in realtà è una cosa mai del tutto definita questa - con addirittura qualche momento nei sogni del protagonista, utilizzando anche l'alternanza colore e bianco e nero, contaminando continuamente la messa in scena con elementi totalmente estranei al contesto, cellulari, motorini, automobili moderne, oltre che con efficaci dialoghi bizzarri che danno al film un tocco fortemente ironico - in questo senso, diverse situazioni mi hanno ricordato vagamente la comicità tipica di Wes Anderson, un po' ingenua, un po' kitsch -
E tante sono le sequenze degne di nota, mi viene in mente tutta quella parte in cui Edward arriva al palazzo del principe e fa la sua conoscenza, con annessa fuga sui battelli che lo porteranno in una nuova città e il walzer di Strauss ad accompagnare tutto, fino a quell'inserto nel presente con il caos del traffico della città in slow motion che funge da contraltare al gradevole flusso musicale, come se l'autore volesse sottolineare il contrasto tra l'esperienza di vita del protagonista in un'Asia ancora legata a valori contemplativi e la frenetica vita moderna - un altro argomento che sembra venire accennato è l'impossibilità dell'uomo occidentale di comprendere a pieno la cultura orientale, per quanto esso ne rimanga comunque affascinato, come si vede nelle sequenze del monastero in Giappone -
"Grand tour" è uno splendido film, un doppio viaggio che si fa metafora delle esistenze dei due protagonisti, dallo stile trascinante, che mischia un certo postmodernismo ad una forte componente poetico-malinconica, una serie di esperienze vissute dai due caratteri che segnano profondamente, fanno riflettere su grandi tematiche, creano spunti e lasciano allo spettatore una grande componente soggettiva riguardo l'interpretazione, in ogni caso, è uno spettacolo lasciarsi trasportare dal flusso di un film del genere, lo straconsiglio.