Il lungometraggio d'esordio di Lynch è un capolavoro, film immenso, un incubo ad occhi aperti, straordinario, immersivo, pulsante, una perla dal budget ridottissimo che ha fatto scuola e influenzato svariati autori - ed è stato influenzato a sua volta, basti guardare opere come "L'ora del lupo" di Bergman e "Repulsion" di Polanski - una delle opere più inquietanti che mi sia capitato di vedere, un film che mette fortemente a disagio con se stessi, un viaggio della parte più buia e sporca della psiche, semplicemente meraviglioso, una sequenza di immagini una più bella dell'altra, che come tipicamente accadrà anche in futuro con Lynch, crea un decoupage non di facilissima interpretazione, ma che tramite le suggestioni riesce a scavare nella mente dello spettatore, far emergere le paure e le pulsioni più recondite, "Eraserhead" è tutto questo, un'opera d'arte che si presta a svariate interpretazioni.
Ma allora, quale sarebbe la mia interpretazione? Io, penso che "Eraserhead" parli delle pressioni sociali, con due macrotemi che diventano imponenti, quello della relazione e quello della paternità, svariati sono gli elementi che mi hanno portato in quella direzione, a partire da una delle scene iniziali, quella della cena con i genitori della fidanzata, nella sua rappresentazione più grottesca e oscura, ho intravisto un protagonista come allergico a queste formalità, che vede la cena con i parenti di lei come un incubo dai tratti deliranti, con gli occhi addosso plasmati dal giudizio nei suoi confronti, una relazione basata sulla paura e sull'ansia delle aspettative sociali, in cui prende poco dopo vita l'incubo della paternità, inspiegabile, comparsa dal nulla, il bambino è già nato anche se lui non sapeva niente, ed è un mostriciattolo orribile - la leggenda narra sia un feto di vitello - che piange, caga e disturba tutto il giorno, ben presto il protagonista si ritroverà da solo con questo mostriciattolo verso il quale chiunque proverebbe una repulsione, nel suo appartamento sporco e trasandato, dominato da un buio infestante che rende ogni inquadratura una piccola opera d'arte, pieno di chiaroscuri e silhouette, il film di Lynch presenta una bellezza visiva tutta sua, lontana dalla tipica bellezza formale classica, una sorta di fascino sinistro estremamente magnetico, con il passare della durata la sceneggiatura prende dei tratti sempre più lisergici, fino a svarionare totalmente in visioni clamorose, mi viene in mente tutta la parte della donna che vive all'interno del termosifone, la sua canzone "In heaven everything is fine", il palchetto inquietante nel quale cadono continuamente delle teste simili a quelle del figlio e una marea di simboli, pieni di elementi che diventeranno ricorrenti della filmografia di Lynch - le tende, la stessa esibizione canora la rivedremo spesso -
Poi c'è la parte riguardante la vicina di casa, donna attraente che rappresenta il desiderio inespresso, le pulsioni sessuali del protagonista che immagina delle scene vagamente erotiche in una sequenza straordinaria in cui il volto della donna emerge in uno splendido primo piano totalmente circondato dal buio e in cui finiscono in una vasca piena di liquido bianco, una svarionata meravigliosa che mostra un protagonista desideroso di un rapporto extraconiugale che però rimarrà soltanto nelle sue visioni perché intrappolato in un lugubre appartamento e in una famiglia e relazione che vede come una vera e propria prigione.
Ma ovviamente, c'è il solito disclaimer che uso quando parlo dei film di Lynch, queste sono solo le mie impressioni, il film nel suo essere così surreale e poco definito lascia spazio a tante altre interpretazioni che variano in base alla sensibilità dello spettatore.
Per il resto, capolavoro, impossibile non menzionare lo splendido sonoro fatto di suoni gutturali che sembrano provenire dagli angoli più remoti della mente e contribuiscono ad aumentare esponenzialmente l'inquietudine dello spettatore.