Personalmente mi è piaciuto molto quest'ultimo film di Guadagnino, azzarderei a dire il suo film che ho preferito, vuoi perché il regista ha sempre avuto un tocco particolarmente fine nello stile quanto una scrittura che spesso non mi ha convinto a pieno, qui però c'è dietro un gran soggetto come il romanzo di Burroughs, che probabilmente dà quella valenza narrativa in più che valorizza il film, ritengo anche sia un film tutt'altro che perfetto, con evidenti difetti stilistici, è anche parecchio pretenzioso, con qualche sequenza in cui Guadagnino si concede un po' di vanità tecnica non del tutto necessaria, specie sulle battute iniziali, tipo i vari momenti in cui Craig gira per la cittadina con la musica e lo slow motion, che boh mi è risultata anche un po' tamarra, e una computer grafica non sempre perfetta, cosa ormai abbastanza rara a questi livelli, che genera anche un lieve distacco, specie per quanto riguarda le ambientazioni, e da qui voglio ricollegarmi alla ricostruzione scenica che per puro gusto personale mi è sembrata fin troppo pulita, questi set di Cinecittà risultano troppo finti, troppo scintillanti, rispetto allo stile sporco tipico di un soggetto del genere, non valorizzando del tutto un'ambientazione decadente che alla fine vorrebbe essere lo specchio della condizione del protagonista, però i difetti finiscono qua, poi arrivano i pregi e ce ne sono tanti.
Guadagnino crea un incubo ad occhi aperti, un film tormentato con un protagonista in piena crisi esistenziale, una narrazione estremamente simbolica e visionaria che però risulta ben chiara, il protagonista è un omosessuale con una forte dipendenza da droga e alcool, specialmente droga, che si innamora di questo giovane bisessuale con cui intrattiene rapporti sessuali nel mentre lui continua comunque ad avere rapporti con le donne, Guadagnino descrive bene un amore a senso unico, che spesso sfocia nella disperazione e nel grottesco, data la personalità esuberante e particolarmente bisognosa di attenzioni e affetto del protagonista, la prima parte è un continuo trascinarsi tra i locali della movida di questa cittadina messicana in un contesto sporco e degradato alla continua ricerca di sesso, alcool e droga, spesso usati come metodo per alleviare le proprie sofferenze interiori, nella seconda parte diventa prevalente il tema della tossicodipendenza, col protagonista che chiede al ragazzo di cui è innamorato di accompagnarlo in questo viaggio in America del sud alla ricerca della ayahuasca, dato che è convinto questa pratica possa innescare una telepatia tra loro due, il lungo viaggio e le successive sequenze, mostrano l'estremo bisogno di un legame affettivo da parte del protagonista, con quella grande sequenza di unione dei corpi che diventa il climax perfetto della vicenda, il finale mostra come il personaggio anni dopo sia rimasto in un limbo ed è incapace di risolvere la sua condizione, esattamente come il serpente a forma di infinito che si morde la coda che viene mostrato, ma il linguaggio surreale di Guadagnino è efficacissimo nella descrizione della sua interiorità, un tormento che emerge continuamente, delle sequenze cupe che vanno a scavare in una coscienza senza pace, i modelli presi in considerazione sono tanti dallo stesso Cronenberg, che aveva già trasposto Burroughs in "The naked lunch" di cui questo film ricalca alcune atmosfere, specie nella prima metà, che Lynch e i suoi viaggi all'interno della psiche, trasmettendo una passionalità incredibile, con un Daniel Craig in una delle sue prove più mature che riesce a far passare tutta la sofferenza e gli istinti più morbosi e ossessivi del personaggio.
Queer è un'ottima trasposizione di un colosso della beat generation, sarebbe potuto essere migliore con qualche scelta stilisticamente più aderente, ma ne sono rimasto molto soddisfatto, è un viaggio lisergico che riesce a trasmettere bene le torbide sensazioni del protagonista e allo stesso tempo è splendido visivamente, esperienziale, morboso, autodistruttivo, uno dei migliori lavori del regista.