Lo definirei un Altman minore, in ogni caso valido esempio del suo stile applicato al contesto della psicoterapia, utilizzando la sua classica narrazione corale che incorpora svariati personaggi, con anche due terapeuti e un luogo chiave in cui tutti loro sono spesso di passaggio, ovvero il ristorante francese, location dei maggiori avvenimenti del film.
Altman sfrutta questo suo stile molto personale per narrare la confusione e lo spaesamento di queste persone considerate mentalmente instabili, dando in pasto la narrazione ad un caos fatto di personaggi sopra le righe e situazioni al limite del grottesco, con diversi episodi che sfidano le tipiche convenzioni borghesi, dal personaggio di Goldblum, che in fondo potrebbe considerarsi il protagonista della pellicola, uomo bisessuale, impegnato con un altro uomo ma che diventa ossessionato da una nuova donna conosciuta, con un modo di fare particolarmente molesto e un'esplorazione della propria sessualità che si ripercuote anche sui personaggi esterni, la scena di feticismo al ristorante ne è uno degli emblemi, ma l'opera mostra pure gli stessi terapisti in balia delle proprie pulsioni, il risultato del puzzle è un'umanità in balia dei propri istinti, sia da una parte, quella dei pazienti, che dall'altra, quella dei terapisti, sfociando in una marea di situazioni caotiche, tra qualche colluttazione, risse verbali, gelosie, ripicche e via dicendo, con la solita peculiarità dell'autore di spezzettare il tutto e fornire progressivamente i pezzi del mosaico allo spettatore, enunciando tanto la componente teatrale che si viene a creare, tra dialoghi acuti e delle buone interpretazioni di un cast in palla, sinceramente non mi è dispiaciuto e strappa anche degli amari sorrisi nel suo mostrare questa modernità nevrotica e i personaggi in palese burnout tra aspettative non rispettate ed esagerate evasioni dalla realtà, coinvolgimento dei genitori incluso.