Che dire, splendido capolavoro di Haneke, un'opera di straordinaria sensibilità sulla vecchiaia, sull'amore, sull'essere umano e la sua natura mortale, "Amour" è una delle opere definitive del regista austriaco che qui mostra con una delicatezza incredibile la lotta già persa in partenza dell'uomo contro il tempo, il destino ineluttabile di una fine già ovvia, di fatti il film inizia con una sequenza che già ci dice cosa accadrà, ma d'altronde lo sappiamo tutti come andrà a finire, per loro come per noi.
Haneke racconta la storia di questa coppia di vecchietti, maestri di musica che ancora mantengono una grande passione per la disciplina, ancora relativamente attivi, appena tornati da un concerto di un loro caro allievo che ha avuto successo e ha fatto tappa a Parigi, la loro città, dopo una bella e soddisfacente serata la mattina dopo la moglie mostra dei sintomi di demenza, così il marito la manda in ospedale dove subirà un'operazione che non andrà del tutto a buon fine, paralizzandole metà del corpo, da qui inizia un calvario, una discesa nella vecchiaia, che si fa sempre più ripida, passando dalle prime difficoltà, ancora contenute e capaci di rendere la vita ancora godibile tra la musica e qualche lettura, come succedeva anche tempo prima, a veri e propri momenti di sola sofferenza, è eccezionale l'analisi psicologica dei caratteri che viene messa in campo, con i due vecchietti ancora lucidi e consci di quello che sta per succedere, più volte rimarcato dalla moglie, quasi rassegnata al fatto che andrà sempre tutto peggio, cosa che effettivamente avviene, e infatti nella seconda parte del film, dopo il secondo ictus che le toglie anche la capacità di esprimersi chiaramente, sembra tutto diventare un mondo di sofferenza, tra mormori per il dolore che sembrano diventare un leitmotiv, interrotto solamente da pochi momenti di consolazione in cui vengono ricordate le bellezze della gioventù, deliri apparentemente senza senso, la perdita delle abitudini quotidiane, con la moglie ormai quasi incapace di mangiare e andare al bagno, avendo ormai perso totalmente la sua autosufficienza e dipendendo dal marito e dalle infermiere, mostrando la sofferenza da un punto di vista prettamente esistenzialista, quasi posta come una fase di transizione prima dell'inevitabile fine che avverrà con un'atto d'amore incondizionato in una scena estremamente straziante, che mostra la dolcezza dei racconti del marito venire bruscamente spazzata via da un gesto apprentemente terribile ma che anticipa senza ulteriore sofferenze quello che era già programmato, è un film che non ne fa una questione sociale, non vuole parlare di eutanasia, quanto di un atto di amore estremo, di trovare il coraggio e la forza di farlo dopo una vita passata insieme all'amata, col marito messo con le spalle al muro dal tempo che passa e non perdona nessuno.
Grandioso a livello stilistico, Haneke impone uno stile minimale, fatto perlopiù di inquadrature statiche - fatta qualche piacevole eccezione -, campi larghi negli ampi spazi della casa che offrono un punto di vista distaccato, senza entrare in dettagli espliciti, rinunciando al pietismo e alla retorica, ma anzi utilizzando una narrazione ellittica che sembra censurare alcuni momenti chiave - il secondo ictus per esempio, o l'operazione -, dilatando l'azione per incrementare la componente realistica e dando allo spettatore il tempo di metabolizzare l'accaduto, con dei dialoghi straordinari che però vengono valorizzati dai silenzi e delle urla strazianti del dolore della malattia, rinunciando anche ad una colonna sonora extradiegetica, le uniche musiche che si sentono sono quelle suonate al pianoforte, e concedendosi anche qualche sequenza vagamente surreale, come può essere quella del sogno del marito, emblema delle preoccupazioni estreme a cui va incontro e con diversi simbolismi di fondo - il piccione, che probabilmente rappresenta la libertà, intesa come una liberazione dalle sofferenze terrene -
Straordinari gli interpreti, da Emmanuelle Riva nel suo calvario di sofferenze a Jean-Louis Trintignant nel suo continuo smazzarsi tra l'assistere la moglie e cercare di assecondare il suo volere oltre che il mediare con un mondo esterno che sembra un po' troppo di facciata nella sua finta empatia, compresa la figlia, interpretata dalla Huppert e le sue rare comparse.
Film straordinario, uno dei più toccanti trattati sulla vecchiaia e sulla natura umana, coerentemente alla mentalità nichilista di Haneke con uno sguardo realista e disilluso sulla fine, senza fronzoli, spietato e diretto, eccezionale.