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THE APPRENTICE - ALLE ORIGINI DI TRUMP regia di Ali Abbasi

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stratoZ     8 / 10  28/11/2024 12:23:25 » Rispondi
ATTENZIONE POSSIBILI SPOILER

Bel film di Ali Abbasi, autore che già in passato era stato parecchio caustico con le sue pellicole intrise di critica sociale, dopo essere stato tra Europa e Medio Oriente, questa volta la sua critica feroce si abbatte sull'America, in particolare su Trump, analizzando da un punto di vista un po' romanzato le vicende del periodo di formazione del futuro presidente degli Stati Uniti, trasportandoci nel particolare contesto degli anni 70's dove l'America sembrava aver perso lo splendore dei tempi addietro, tra la delusione del Vietnam, movimenti di protesta e via dicendo, con il giovane imprenditore che approfitterà della situazione per emergere come una delle figure cardine della rinascita economica americana, facendosi sempre più strada sia a livello economico che come figura pubblica, sfruttando un terreno fertile e le falle governative di un sistema tutt'altro che perfetto, ciò che viene messo più in evidenza non è soltanto la spietatezza, l'arrivismo e la faccia tosta del protagonista quando come gli enti si pieghino al suo volere anche togliendo ciò che spetta di diritto alla popolazione più povera, Abbasi descrive nel dettaglio la base del capitalismo più disumano, che negli Stati Uniti e in particolare nella grande mela fermenta vertiginosamente, accrescendo il divario tra il ricco, che diventerà sempre più ricco e il povero, che ovviamente diventerà sempre più povero, un gioco in cui vince sempre il più astuto e mai il più onesto, in cui l'apparenza gioca il ruolo più importante, in cui i media fanno il gioco dei potenti, un sistema asservito all'arricchimento del singolo.

Il film mostra la crescita del personaggio, col giovane Donald che passa dall'essere il figlio di un discreto imprenditore, un po' imbranatello, con dei problemi legali dovuti alla discriminazione delle persone di colore nell'affittare i suoi appartamenti, ad essere uno squalo famelico in un contesto che favorisce la sua personalità esuberante ed egocentrica, tutto grazie al suo metore, tale Roy Cohn, spietato avvocato poco dedito all'etica professionale che ricorre anche ai metodi più meschini come il ricatto per vincere le sue cause, diventerà il perfetto esempio di vita per il giovane Trump, che ne prenderà spunto, partendo dalle sue tre regole base, e creando un personaggio se possibile ancora peggiore, in fondo, col passare del minutaggio anche Roy mostra di avere un lato umano, cosa impensabile nella prima parte di film in cui gli esce continuamente il veleno - terribile il discorso sui due coniugi che ha fatto condannare, accanendosi sulla donna, madre di due bambini, pur di dare l'esempio in nome del patriottismo - diciamo che i due personaggi compiono un percorso opposto, se Trump passa dall'essere un ingenuo imprenditore ad uno spietato arrivista, Roy con la malattia, la perdita del coniuge sembra provare dei forti rimorsi di coscienza, arrivando quasi ad annullarsi, facendo cadere ogni armatura portata fino a quel momendo e creando anche una sensazione di pietà nello spettatore, con buona probabilità è un modo del regista di mostrare le debolezze spesso nascoste dal repubblicano medio, messe in disparte e represse, spesso catalizzate in odio verso il prossimo, anzi più precisamente verso il più debole, ma il rapporto tra Trump e Roy diventa una delle chiavi del film, considerato il grande aiuto che l'avvocato ha dato al giovane Trump, viene cancellato velocemente col progredire della carriera imprenditoriale, azzerando del tutto la riconoscenza, con alcune scene particolarmente indigeste emotivamente.

Poi c'è tutta la parte dei rapporti familiari, che rispetto alla macrotematica del contesto del paese è una bazzecola, per carità comunque interessante mostrare il rapporto molto di convenienza con la moglie - la scena del contratto prematrimoniale è fantastica, e ha un'ironia di fondo splendida - e la prevedibile deriva che prende il contesto familiare, con Donald che trascurerà i genitori e i fratelli, e la morte del fratello maggiore con problemi di alcool e droga lasciato troppo solo.

Carino stilisticamente, estremamente dinamico, colmissimo di dialoghi e situazioni incalzati, dominato dalle riprese a camera a mano e uno stile visivo che ricorda molto gli anni 70's in cui è ambientato e che si slava leggermente quando si passa ai più patinati anni 80's, pieno di interpretazioni di livello, da Sebastian Stan che è pressoché perfetto nella parte, sia come somiglianza che come gestualità, sia Jeremy Strong nella parte dell'avvocato Roy che è un mentore straordinario, cinico, freddo, apparentemente senza cuore, ma che riesce a spogliare efficacemente il personaggio nella seconda parte.

Gran Film.