Lungometraggio d'esordio per De Feo, è un horror dalle tante sfaccettature, che mischia in maniera anche abbastanza originale il folk horror di stampo classico con un po' di metacinema tipicamente postmoderno, tante le influenze all'interno dell'opera, da "The Wicker man" a "The blair witch project", sfruttando una leggenda locale della Calabria rurale, ricollegata alla nascita della ndrangheta, con queste tre figure di criminali edulcorate per renderli caratteri dell'orrore.
Discreto nel concept, che inizia con questo viaggio tramite un'app simile a blablacar, con questo giovane calabrese che darà un passaggio ad altre quattro persone nella sua roulotte, che per colpa di un incidente si ritroveranno bloccate in questo posto isolato, inspiegabilmente lontano dalla strada, con evidenti indizi che sono finiti nelle mani di qualche pazzo che vuole divertirsi con loro, da qui il film inizia a creare una discreta tensione di stampo claustrofobico, ripetendo anche un po' il topos del genere, dai cellulari che non prendono, al bosco che circonda il luogo che sembra infinito e riporta i personaggi al punto di partenza fino ad inquietanti ritrovamenti che fanno pensare a sette, torture e sacrifici umani, con appunto il giovane del luogo che narra questa leggenda appartenente al folklore del luogo.
L'orrore farà presto a scatenarsi, la componente gore non è particolarmente significativa, ma regala qualche sequenza interessante, come può essere il primo omicidio del ragazzo straniero che gli vengono cavati gli occhi, anche se il regista mostra tutto fuori campo, scandito da terribili urla, ma anche gli omicidi successivi fatti di sgozzamenti e tagli di orecchie, probabilmente l'opera vuole metaforizzare la mafia tramite questa rappresentazione horrorifica, che, esattamente come gli assassini, tramite il ricatto e grazie all'omertà dei cittadini, sembra togliere gli occhi, le orecchie e la lingua alla popolazione, troppo spesso costretta a subire in silenzio e restare inerme.
La seconda parte, che tira in ballo le tematiche prettamente metacinematografiche, comunque serve la causa semantica del film, con l'utilizzo di queste telecamere, messe ovunque a riprendere i massacri, continua a metaforizzare il concetto mostrando una mafia che ha occhi ovunque e riesce sempre a mantenere il controllo grazie alla fitta rete d'informazioni.
Nel complesso, è un buon horror italiano, prodotto abbastanza raro in tempi recenti, discretamente teso e colmo di critica sociale, parecchio originale nonostante sia un po' derivativo - ma ad oggi è raro non esserlo - carino tecnicamente, soddisfacente a livello fotografico con un uso preponderante delle luci al neon negli interni - il rosso è il colore dominante - e un taglio di luce più realistico nella solare campagna negli esterni, buon film.